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Morto in caserma, chiuso il cerchio sul caso Scieri: “Parà fu ucciso”

Di Redazione |

ROMA – Emanuele Scieri, il giovane allievo paracadutista della Folgore, originario di Siracusa, morto il 13 agosto 1999 nella caserma “Gamerra” di Pisa, fu ucciso da tre caporali che, nell’intenZione di punirlo perché stava telefonando, lo percossero, lo costrinsero a salire su una torre da cui lo fecero cadere e lo lasciarono agonizzante a terra. Ne è convinta – apprende l’ANSA – la procura militare di Roma, diretta da Marco De Paolis, che ha emesso un avviso di conclusione indagini per il reato di «Violenza ad inferiore mediante omicidio pluriaggravato, in concorso».

I tre ex caporali della Folgore, per cui la Procura militare di Roma ha chiuso le indagini (l’atto che normalmente prelude alla richiesta di rinvio a giudizio), sono Andrea Antico, 41 anni, originario di Casarano (Lecce) ed attualmente in servizio presso il 7/o Reggimento Aves (Aviazione dell’Esercito) di Rimini; Alessandro Panella, 41 anni, nato a Roma e residente a San Diego, in California, ma domiciliato a Cerveteri (Roma); Luigi Zabara, 43 anni, nato in Belgio, a Etterbeec, e residente a Castro dei Volsci (Frosinone). Antico è l’unico ancora in servizio nella Forza armata.

La ricostruzione della procura militare (sulla stessa vicenda è in corso anche una parallela inchiesta della procura ordinaria di Pisa) è agghiacciante. I tre caporali, effettivi al Reparto corsi del Car (il Centro Addestramento Paracadutismo) della ‘Gamerrà, sono accusati di aver «cagionato con crudeltà la morte dell’inferiore in grado allievo-paracadutista Emanuele Scieri». Tutto comincia la notte del 13 agosto 1999, «tra le 22.30 e le 23.45», quando i tre incontrano Scieri mentre stava per fare una telefonata col suo cellulare, poco prima di rientrare in camerata. Lo fermano e, qualificandosi come caporali del Reparto corsi e suoi superiori, prima gli contestano di aver violato le disposizioni che gli vietavano di utilizzare il cellulare e, subito dopo (“abusando della loro autorità”), lo costringono a «effettuare subito numerose flessioni sulle braccia». «Mentre le eseguiva – si legge nell’avviso di conclusione indagini – lo colpivano con pugni sulla schiena e gli comprimevano le dita delle mani con gli anfibi, per poi costringerlo ad arrampicarsi sulla scala di sicurezza della vicina torre di prosciugamento dei paracadute, dalla parte esterna, con le scarpe slacciate e con la sola forza delle braccia».

Mentre Scieri stava risalendo, «veniva seguito dal Caporale Panella che, appena raggiunto, per fargli perdere la presa, lo percuoteva dall’interno della scala e, mentre il commilitone cercava di poggiare il piede su uno degli anelli di salita, gli sferrava violentemente un colpo al dorso del piede sinistro; così facendo, a causa dell’insostenibile stress emotivo e fisico subìto, provocato dai tre superiori, Scieri perdeva la presa e precipitava al suolo da un’altezza non inferiore a 5 metri, in tal modo riportando lesioni gravissime”: fratture alla sesta vertebra dorsale, traumi vari alla testa e ad altre parti del corpo. Immediatamente dopo la caduta, ricostruisce la procura militare, Panella, Antico e Zabara – «constatato che il commilitone, sebbene gravemente ferito, era ancora in vita» – invece di soccorrerlo «lo abbandonavano sul posto agonizzante” e, così, «ne determinavano la morte». Morte che, sempre secondo la procura, «il tempestivo intervento del personale di Sanità militare, da loro precluso, avrebbe invece potuto evitare». COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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