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«Io, Fiorello e i fantasmi di Portopalo: per aver detto la verità ho dovuto cambiare lavoro»

Di Gianni Nicola Caracoglia |

La vicenda dell’oggi sessantatreenne ex pescatore, già raccontata nel 2007 nel libro I fantasmi di Portopalo del giornalista, allora di Repubblica, Giovanni Maria Bellu, da stasera sarà più pubblica che mai, grazie alla tv.

«Sono emozionato, ho anche pianto – commenta Lupo – Ho conosciuto Beppe Fiorello 10 anni fa a Roma, e lui, che da poco aveva letto il libro di Bellu, subito mi disse che avrebbe voluto girare un film su questa storia. Sono stati molto bravi a rendere la vicenda».

Le riprese la scorsa estate, periodo in cui Lupo ha scelto di non essere in paese: «Ho contribuito nel dare indicazioni, quando necessario, per via telefonica ma, durante le riprese, mi sono defilato, chiedendo di lavorare fuori Sicilia in quel periodo, per non influenzare il loro lavoro».

La scelta di Lupo di rendere pubblica una tragedia che molti volevano nascondere sotto il tappeto, lo ha reso nemico in casa propria. La storia era nata nella notte tra il 24 e il 25 dicembre 1996, quando la marineria era ferma per le festività. In quella notte tragica, a 20 miglia da Portopalo, in acque internazionali, una bagnarola carica di 400 migranti fu urtata dall’imbarcazione che gli aveva trasferito il carico umano, e affondò. Qualche decina fu salvata ma quasi 300 restarono tragicamente sotto. «Quando riprendemmo il mare, il 27 dicembre – racconta Lupo – molti marinai cominciarono a recuperare cadaveri, ributtandoli subito dopo in mare. Temevano di avere sequestrata la barca e questo era una danno economico. Quando poi nel 2001 io mi sono imbattuto con l’ecoscandaglio del mio peschereccio Tanina Lupo nel relitto della nave affondata, ho denunciato l’accaduto alla Capitaneria di porto di Portopalo che non diede molta importanza alla mia scoperta».

Dopo qualche mese è l’accostamento fra un fatto privato e uno pubblico a fare scattare la molla definitiva. «Nella stessa pagina del quotidiano locale leggevo della notizia di mia figlia che tentava un concorso di bellezza a Roma, e sotto che a Pachino i 13, fra comandante e equipaggio della nave di trafficanti di uomini stavano per venire prosciolti perché mancava la prova dell’affondamento della nave e non erano stati trovati i cadaveri. Io avevo ripescato il tesserino di un ragazzo srilankese, coetaneo di mia figlia. Alla fine mentre ero a Roma con lei, sono andato a Repubblica per rivelare quello che sapevo. All’inizio non mi hanno dato credito, poi dietro mia insistenza Giovanni Maria Bellu mi chiese di verificare l’esistenza della nave. Tramite un rov, un sistema di rilevamento subacqueo, la trovammo là dove si trovava dal 1996. Ne nacque il libro “I fantasmi di Portopalo”. Grazie a noi l’equipaggio fu arrestato e i familiari delle vittime seppero che i loro cari erano purtroppo morti qui».

Il libro causò la frattura totale fra Lupo e il suo paese. «Il parroco dei tempi cominciò a dire che ero una tartaruga sollevata in alto da un’aquila e che mi sarei frantumato una volta caduto a terra – ricorda amaro Lupo – Tartaruga di certo non sono, ma Lupo di nome e di fatto, lupo di mare. Io sono un portopalese di vecchio stampo che non mi ritrovo più nei miei coetanei ma piuttosto nei giovani che stanno cambiando mentalità. I veri amici che mi sono rimasti sono pochi. Tutti gli altri mantengono un rapporto semplice di saluto che finisce lì. L’invito a lasciar perdere mi era venuto anche da uno dei miei fratelli».

L’attuale amministrazione comunale, guidata da Giuseppe Ferdinando Mirarchi, aveva chiesto alla Rai di non riprendere il titolo del libro di Bellu, “I fantasmi di Portopalo”, perché giudicato «inquietante», come recita anche un volantino che si trova in questi giorni in vari esercizi commerciali del paese. Il volantino dell’Amministrazione si chiude comunque con l’invito a tutti di vedere il film, perché aiuta a riflettere. «Molti portopalesi non capiscono il perché del titolo I fantasmi di Portopalo anche se io ho sempre detto che fantasmi non erano loro, ma quelle centinaia di persone che sono morte in quest’area di mare. Perché fantasmi? Perché rischiavano di essere dimenticati se qualcuno non tirava fuori questa storia».

Questa frattura sociale ha messo fine a tanti anni di lavoro di pesca di Salvo Lupo, anni trascorsi sui pescherecci di famiglia, prima il Tigre, poi il Tanina Lupo che nel 2005, dopo alcuni episodi inquietanti, Lupo si è visto costretto a demolire e a vendere. «Il peschereccio non era più sicuro in porto. Una mattina mi avvertirono che avevano tagliato le cime di ormeggio. Fortunatamente riuscimmo a recuperarlo ma da allora ho capito che non mi volevano più tra i pescatori. Non mi hanno voluto più neanche sui pescherecci di altri».

Da qui la necessità di cambiare lavoro. Fortunatamente Lupo, da vero uomo di mare, è riuscito a trovare un nuovo impiego, lontano però da Portopalo, a Livorno o tra Tunisia e Libia, a bordo di rimorchiatori, dove spesso effettua anche azioni di recupero di imbarcazioni in difficoltà o con migranti a bordo. «Dopo 30 anni di pesca è stato difficile rinunciare a una sfida che era quotidiana. Ora si lavora due mesi in mare, seguiti da due mesi di riposo a terra. Poi ho aperto un b&b, oggi in mano a mio figlio Vincenzo, che ho voluto chiamare “La nave fantasma”».

Adesso dopo la vasta eco del libro, arriverà quella immensa della tv. C’è il rischio che la frattura fra Lupo e la sua Portopalo si acuisca? Mai, però, il pensiero di andarsene lo ha sfiorato: «Nonostante i disagi, per me, mia moglie Maria, i miei figli, le mie radici sono qui, e non me ne vado. La presidente della Camera Laura Boldrini mi ha voluto ricevere per congratularsi. Io sono stato sempre convinto delle mie azioni e non temo nulla. Spero di aver dato un contributo alla famiglie che hanno perso i figli in mare. Questa è la giustizia morale che mi interessa. Per me questo film è un riscatto».

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