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Quei “fantasmi” fanno ancora paura: Portopalo diserta l’anteprima della fiction

Di Francesco Midolo |

La paura, anche solo di parlare, regna ancora in Sicilia. È una triste verità. Oggi come 20 anni fa. I fantasmi di Portopalo, la miniserie di 2 puntate, in onda su Rai1, ha sollevato un polverone nell’estremo sud della Sicilia. A partire dal titolo stesso della fiction definito dal primo cittadino Giuseppe Mirarchi «inquietante» in un manifesto fatto affiggere lungo le vie. «Non mi è piaciuto» dice il sindaco al termine della proiezione in anteprima ieri a Portopalo, boicottata dagli abitanti del borgo marinaro: pochissimi quelli che hanno accettato l’invito alla proiezione. 

«Il messaggio – ha detto ancora il sindaco – è focalizzato come se questa storia appartenesse solo a Salvatore Lupo (il pescatore che nel film viene interpretato da Giuseppe Fiorello) e tutti gli altri portopalesi siano dei maramaldi. È stato usato un termine inquietante: “omertà”. Questo termine non è appropriato. Portopalo, la sua gente, non è, omertosa».

La storia che ha ispirato la fiction risale a 20 anni fa. È raccontata nel libro del giornalista Giovanni Maria Bellu “i Fantasmi di Portopalo”. È la storia di una tragedia umana: la notte di Natale del 1996 nel canale di Sicilia è avvenuto il più grande naufragio della storia del Mediterraneo dalla fine della seconda guerra mondiale. Nel tentativo di sbarcare in Sicilia, circa trecento clandestini di origine pakistana, indiana e tamil, muoiono per l’affondamento di una “carretta del mare” . Il fatto passa quasi completamente sotto silenzio. All’inizio di gennaio del 1997 arrivano dalla Grecia le prime denunce dell’accaduto. La reazione delle autorità italiane è il rifiuto di credervi: come poteva veramente essere successa una tragedia di simili proporzioni senza che il mare e le coste siciliane ne portassero la traccia? Infatti anche a distanza di settimane non era ancora venuto a galla alcun resto del naufragio.

Il libro e la fiction raccontano che i pescatori, giorni o settimane dopo la tragedia, trovarono nelle proprie reti, insieme al pescato, corpi umani. L’avvio di qualsiasi indagine avrebbe significato la chiusura dello spazio di pesca per un tempo indeterminato. Un danno economico. Senza pesca da queste parti non si vive. Fu un tacito accordo. Rotto nel 2001 da Salvatore Lupo, il pescatore che “pescando” il documento d’identità di un giovane dello Sri Lanka, lo custodisce. Lo porta a terra, lo consegna al giornalista che scoperchierà il vaso di pandora. Quel relitto e quella tragedia ci sono stati. In molti lo sapevano e nessuno ha detto. Tranne Lupo, ma solo nel 2001. Fin qui il film, la storia.

Poi c’è Portopalo di Capo Passero oggi. Una comunità che il film dice «di non volerlo guardare» ma che alla fine lo vedrà. Sul banco degli imputati sale Salvatore Lupo. «Si nna lavato i mani – dicono al porto – i piscatori nun lu fa acciue». Altri: «Se iddu è eroe, allura Currao, Nino e Santino chi su?». I pescatori raccontano di altra gente di mare, di altri pescatori che dal mare non hanno portato «in salvo» un documento, ma decine e decine di migranti «messi in salvo». Hanno subìto processi, blocco delle imbarcazioni e danni economici. «Bonu lassamu stare, ri sta storia nun ni voju parrare». Si sentono traditi. Dal patto non scritto delle regole del mare.

Il sindaco non fa altro che fungere da megafono alla voce del popolo. «L’abbiamo vissuta – dice Mirarchi – tutti con ansia e trepidazione l’attesa che questa fiction venisse messa in onda. A prescindere da quello che è stato il processo stesso di produzione, mi sia consentito un passaggio di giusta ragion di Stato. Si è molto parlato del protagonista, Salvatore Lupo al quale va tutto il rispetto per quello che ha fatto. Però corre l’obbligo di dire che questo discorso di “esclusività dell’eroe” non ci sta bene. Noi viviamo tutti il fenomeno dell’immigrazione e delle sue conseguenze. L’intera città. Nel bene e nel male, una storia che narra di Portopalo doveva ascoltare tutta Portopalo di Capo Passero. Prima della Rai, dell’Arena di Giletti, e prima di Porta a Porta, c’è questo territorio, c’è questa località, ci sono queste persone. Perché la narrativa della fiction andrà a coinvolgere una parte della collettività, di lavoratori. Avevano tutto il diritto di essere ascoltati».

Nella fiction Salvatore Lupo, alias Beppe Fiorello, viene emarginato dalla comunità. Gli sputano. Tentano di metterlo sotto con la macchina. Ci sono i “cannibali” da una parte, così sono stati definiti i pescatori “omertosi” che rigettavano in rete i cadaveri e Salvatore Lupo dall’altra. «Dal taglio che gli hanno dato, questo signore diventa un eroe, e invece il resto della marineria dice che non è così». Sono le parole dell’ex sindaco di Portopalo Fernando Cammisuli (ora professore e chirurgo al Policlinico di Catania), che ha esercitato il mandato proprio negli anni della rivelazione dei “fantasmi” dal 1999 fino al 2009.

«Qui – dice Cammisuli – c’è gente che ha salvato davvero i profughi e parliamo anche di numeri importanti. Per amore di verità bisogna dire che i pescatori non sono delinquenti o “cannibali”. Hanno pagato in soldi col mancato lavoro, dovendosi tutelare legalmente. Stiamo parlando di fatti avvenuti dopo la tragedia del 1996. Nel frattempo, parliamo di roba recente, nel 2013, quando sono finiti gli sbarchi qui, ci sono state barche che hanno avvistato i barconi che hanno avvertito le autorità competenti e gli hanno detto di rimanere lì sul posto finché non arrivavano i soccorsi. Hanno garantito la prima assistenza, hanno perso la giornata di lavoro, qui c’è un discorso che è molto più ampio, non si può circoscrivere tutto su Salvatore Lupo».

E Cammisuli continua: «Si è parlato di Portopalo come paese omertoso, perché tutti probabilmente sapevano che c’era un imbarcazione in fondo al mare ma nessuno ne parlava. Compreso Salvatore Lupo, anche lui non è che ha mai portato dei cadaveri a terra. Raccontò che aveva trovato dei documenti. Questi documenti non sappiamo se li ha trovati molto tempo prima, e poi li ha usciti dopo. Ci vuole uno che dica il contrario, ma chi è che lo dice, non c’è un contraddittorio. Si basa tutto sulle affermazioni di uno solo. Lupo fu assessore – arringa Cammisuli – nell’amministrazione comunale che mi precedeva. Durante il naufragio. Quando c’era il sindaco Figura, ora deceduto. Aveva un ruolo istituzionale oltre che pescatore, avrebbe potuto tirarla fuori prima questa storia e non so il motivo per cui a Bellu la raccontò solo nel 2001».

Lupo però ha un certezza dalla sua. Anche se sapeva. Anche lui, forse è stato omertoso per un tempo. Nel 2001 ha trovato la “pistola fumante”. L’imbarcazione, la prova che quel naufragio c’era stato. Nello stesso tempo tredici persone, ritenute responsabili del naufragio del 1996 della cosiddetta “nave fantasma”, erano state prosciolte perché il relitto della barca non era mai stato ritrovato. Lupo ha fatto ciò che andava fatto. Ha raccontato tutto. Forse tutto quello che la fiction non ha potuto raccontare. Si sono fatte delle scelte. Si è scelto il personaggio.

L’assessore regionale allo Spettacolo Anthony Barbagallo ieri ha preso parte dalla presentazione del film a Portopalo. Anche lui ha notato l’assenza della città durante la proiezione. Ha chiesto il perché. «Credo – dice Barbagallo – che intanto la prima considerazione è che il nome di Portopalo sul titolo del film è un veicolo di promozione per la città. Questa storia, come tutte le storie, si prestano ad interpretazioni, dibattito e critiche. Io posso dire da parte della Regione (che ha promosso il film) ognuno di noi deve fare autocritica, nessuno escluso. Se si fossero attivate procedure diverse, quindi niente confisca del peschereccio, né interdizione del tratto antistante la costa, oggi avremo raccontato un’altra storia. Ne sono sicuro. Se c’è stato qualche errore nel raccontare questa storia, come tutte le storie cinematografiche nel racconto del film, forse è stato indotto dalla paura che viene dal passato. Portopalo da ieri sera è più conosciuta nel mondo. Viene promossa la Sicilia. Anche se è una storia triste e lascia tanto amaro in bocca».

L’attore protagonista Beppe Fiorello ieri era atteso a Portopalo. Forse più dalla gente che dalle autorità. Non è arrivato. Forse a lui avrebbero parlato liberamente. Forse Portopalo e l’intera comunità avrebbe lasciato da parte le parole “bisbigliate” e avrebbe compreso che, in ogni caso, Lupo e i “fantasmi di Portopalo” possono essere solo un occasione di riscatto per la città.

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