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Un anno di Covid: la forza delle immagini per ricordare, piangere ma anche vivere

Di Antonello Piraneo |

L’innocenza l’avevamo perduta tempo fa: di fronte all’orrore dell’Olocausto,  davanti al non sense del Vietnam, negli anni della strategia della tensione e poi in quelli di piombo, nel tunnel delle stragi di mafia, nel buco nero del fanatismo islamico. Ogni generazione del secolo breve e dell’alba del fatidico Duemila ha vissuto la propria tragedia collettiva e il proprio dramma interiore, sempre convivendo con i progressi della scienza, l’allunaggio e internet. Pur disorientati tra una crisi economica sistemica e un’involuzione valoriale profonda, ci sentivamo temprati, più o meno sicuri, confidenti in una ciclica e inerziale ripresa dopo ogni schiaffone datoci dall’attualità che si fa storia.

Poi è arrivato il 2020. E abbiamo compreso quanto noi fossimo fragili – il virus come una “livella” che annulla differenze tra  i ceti sociali – e quanto lo fosse il modello di società che ci eravamo dati o ci era stato costruito.  Poi è arrivato questo virus, e ancora non sappiamo come sia finito nelle nostre case, devastandoci di dolore per la perdita degli affetti più cari,  indebolendoci perché privati degli anticorpi della fiducia.

Dodici mesi e ci sembrano un’eternità, perché ci mancano  le abitudini più comuni, una stretta di mano e un bacio sulla guancia, un sorriso e financo un dente storto da mostrare al mondo, sul bus, in ufficio, a scuola, al bar. Perché, a ben pensarci, chi se li ricorda più gli incisivi del collega, dell’amico, del compagno di banco, avvolti come siamo dentro una  mascherina, il nostro burqa forzato e necessario.

Questi che viviamo adesso sono altri giorni di disorientamento,  di interrogativi e non ancora di esclamativi nella punteggiatura della pandemia. Cronologicamente sono le settimane che segnano un anno da quando tutto cominciò – il primo contagio in Italia, il primo in Sicilia, il primo Dpcm, la prima zona rossa –  con una timeline non ancora arrivata a fine corsa, purtroppo. “La Sicilia” riavvolge il nastro con la forza delle immagini del reporter catanese Fabrizio Villa, foto scolpite, cariche di emozione: scattandole, selezionandole, vedendole, impaginandole.  Fino a domenica prossima  ne proporremo una al giorno, ciascuna accompagnata da un testo autorevole. Per riflettere e capire. Soprattutto per ricordare. Perché ricordare è piangere. Ma è anche vivere.

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