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Molestie, Guia Jelo: «Non è violenza e io ho sempre rifiutato»

Di Salvo Cutuli |

«Quelle sono attrici – esordisce -, gente che si vuole portare avanti col lavoro attraverso uno scambio».

Cosa intende? Si spieghi meglio…

«Non si tratta di violenza in senso stretto del termine, ma quelle donne sono state molestate “corteggiosamente”: “Ci stai? Forse fai il film. Non ci stai? Sei fuori!”. Guardi, non c’entra niente con la violenza. Io difendo gli uomini».

Ed è normale che ci si debba piegare alla volontà predatrice di personaggi senza scrupoli per un ruolo?

«L’uomo è un animale imperfetto. La donna, al contrario, raggiunge quasi sempre la perfezione, con qualche lieve difetto che accentua la sua perfezione. Io sono piena di difetti, quindi sono al top della perfezione. Non è un paradosso. L’uomo è un animale inferiore alla donna e, quando vuole la femmina, fa di tutto per ottenere il suo scopo, ed è normalissimo».

Veniamo a lei. Non ha mai ricevuto avance di tipo sessuale?

«Sta scherzando? Lei mi offende. Io ero una donna bellissima (lo è ancora, ndr), ne ho ricevute tantissime, ma non ci andavo. Tanto è vero che ho una carriera zoppicante, piena di ferite, stracolma di disastri economici. Sono un pochino affermata, grazie alla mia terra, ai siciliani e a molti imprenditori di cinema e teatro che hanno creduto in me e mi hanno scelta per i miei valori artistici. Ma quanta fatica».

Cosa dice delle colleghe che con le loro accuse hanno aperto uno squarcio nel sistema?

«Io non mi sono mai “stinnicchiata” per motivi di lavoro. Altre lo hanno fatto. Che la finiscano di dire che questa è violenza sulle donne e di farsi pubblicità emulativa. Da che mondo è mondo, questo scambio nepotistico-sessuale c’è sempre stato nel cinema e non solo».

Un copione che lei conosce a fondo…

«Certo. Ed ho sempre compreso e schivato le trappole che mi hanno teso. Elio Petri, un grande registra degli anni Settanta, mi aveva scelto per una parte importante in un suo film e il mio agente mi informò che ero stata scelta, ma che Elio voleva incontrarmi. Lui, furbo, comunicò l’indirizzo, omettendo di dire che si trattava di un albergo. La mattina successiva, come sempre con largo anticipo, mi recai sul luogo dell’appuntamento, un noto hotel di via Veneto. Mi rifiutai di incontrarlo, così presi la macchina e andai in ufficio dal mio agente. Trascorsa qualche ora, arrivò la telefonata del maestro al quale comunicai che in albergo non avrei potuto incontrarlo, a meno che non fossi andata con la mia compagna, fingendo di essere gay. Lui sorrise e riattaccò».

Ottenne la parte in quel film?

«No!»

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