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Teatro, “Il gabbiano” di Cechov volteggia, tra arte e vita, sullo Stabile di Catania

Di Redazione |

Catania – Riflessione su Arte e Vita. Questo vuol essere “Il gabbiano” di Antonio Cechov,  un classico del teatro moderno, capace di parlare con linguaggio attuale a tutte le generazioni: ai giovani vittime del loro dolore esistenziale e agli adulti che stentano ad accettare il trascorrere degli anni. Ritratto “dal vivo” di un’umanità autentica e vera, che ritroviamo nella recente produzione realizzata dal Teatro Nazionale di Genova. Dopo il successo di critica e pubblico al suo debutto, nel marzo del 2017, lo spettacolo  è applaudito, da due stagioni a questa parte, nelle maggiori piazze italiane toccate dalla lunga tournée nazionale, che approda ora allo Stabile di Catania, dal 19 al 24 marzo sul palcoscenico della sala Verga. La regia è di Marco Sciaccaluga, ne sono interpreti(in ordine alfabetico) Roberto Alinghieri, Alice Arcuri, Elsa Bossi, Eva Cambiale, Andrea Nicolini, Elisabetta Pozzi, Stefano Santospago, Roberto Serpi, Francesco Sferrazza Papa, Kabir Tavani, Federico Vanni. 

 Per la prima volta in Italia “Il gabbiano” viene rappresentato nella versione del 1895, quella precedente alla censura zarista, la cui traduzione è curata da Danilo Macrì.  La scena e i costumi sono di Catherine Rankl, le luci di Marco D’Andrea, le musiche di Andrea Nicolini. La  mise en scene esalta uno dei testi teatrali più noti di sempre; i personaggi della giovane Nina, del tormentato Konstantin, di sua madre Irina Arkadina, celebre attrice e del suo amante, lo scrittore Trigorin, sono stati portati sui palcoscenici di tutto il mondo dai maggiori attori di teatro e messi in scena dai più celebri registi. E conviene ricordare che il titolo dell’opera viene da un accostamento simbolico: come l’ignara felicità di un gabbiano, in volo sulle acque di un lago, viene stroncata dall’oziosa indifferenza di un cacciatore, così accade alla sorte di Nina. La ragazza sulle rive del medesimo lago, s’innamora di Trigorin, il quale, senza alcuna malvagità, approfitta della sua femminile smania di aprire le ali, la porta via con sé a fare l’attrice, la rende madre di un bimbo che però muore e infine, la lascia tornare a casa annientata. Ad attenderla c’è il giovane Konstantin, anch’egli scrittore in cerca di gloria, che la ama da molto tempo. La madre di lui però, Arkadina, disprezza l’inconsistenza delle sue liriche fantasie, mentre l’amata Nina non vuol saperne di lui. Primo dei quattro capolavori che Čechov scrisse per il palcoscenico, “Il gabbiano” è un dramma delle illusioni perdute: nelle angosce, nei turbamenti, nelle sconfitte dei suoi protagonisti, c’è tutta la complessità dell’uomo moderno.

«Guardando il vostro teatro, bisogna essere dei mostri di virtù per amare, compatire, aiutare a vivere queste nullità, questi sacchi di trippa che siamo… Vedete, a me pare che trattiate gli uomini con il gelo del demonio!». Con folgorante sintesi, così scriveva Maksim Gorkij a Cechov, dopo aver assistito ad una rappresentazione di “Zio Vanja”. «A me pare – sottolinea il regista  Sciaccaluga condividendo l’analisi di Gorkij –  che stia proprio lì l’essenza del genio di Cechov: la feroce denuncia del nostro nulla, coniugata in una continua altalena di ridicolo e patetico, diventa uno stringente invito a compatire, ad amare questi esseri inutili che siamo. Il palcoscenico di Cechov è la forma più gentile, condivisa, ironica di spietatezza. Il suo “Teatro della Crudeltà” è il più “umano” che io conosca.»COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA