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Viola Nocenzi, il colore del prog-rock italiano

Di Leonardo Lodato |

Se ancora credete che il colpo di fulmine non esiste, vi sbagliate di grosso. E tra queste righe vogliamo raccontarvi una storia di… amore a primo ascolto. Tutto nasce davanti a un “Cielo viola d’autunno, démodé”. quello descritto in musica da Viola Nocenzi nel suo Ep (termine desueto ma che mostra ancora tutto il suo fascino) che porta semplicemente il suo nome.Lo abbiamo ascoltato e ce ne siamo subito innamorati. Perché la voce e la musica di Viola fanno vibrare le corde del cuore; perché i testi di Alessio Pracarica, sono messaggi in una bottiglia che naviga solitaria tra le onde di un oceano di silenzio. L’intervista. Già, l’intervista per parlare di questo disco si trasforma all’istante in una piacevole chiacchierata davanti a un’ipotetica tazza di tè, con lo sguardo rivolto ai colori del cielo, del mare, delle rimembranze.

«Adoro la Sicilia – racconta subito Viola – ’a Trinacria (pronunciato in perfetto dialetto siculo) è la mia terra. Mio padre (Vittorio Nocenzi, fondatore del Banco del Mutuo Soccorso, ndr) ha fatto la proposta di matrimonio a mia madre, negli anni Settanta – mentre si trovavano in vacanza a Oliveri – sotto la statua della Madonna del Santuario di Tindari. Io, tra l’altro, sono stata concepita lì, e l’autore dei miei testi, lo scrittore Alessio Pracanica, è di Milazzo e vive a Lipari».Lo sentivamo che c’erano delle vibrazioni particolari in questo disco, primo progetto della cantante e compositrice, pubblicato da Santeria e distribuito da Audioglobe.

«C’è molta, molta Sicilia. Alessio è uno dei miei migliori amici da tantissimi anni, e il mio dottore è a Milazzo. C’è una relazione tra me e quest’isola davvero importante. Senza tralasciare che mia madre ha molti parenti in Sicilia. E non mettiamo in secondo piano una parte fondamentale della mia vita che, oltre alla musica, comprende il cibo. Sono cresciuta con gli arancini e tutte le specialità locali. Poi, quando ero ragazzina, andavo a trovare la nonna Maria, che non era mia nonna ma la chiamavo lo stesso così. In realtà era la mamma di mio zio, il marito della sorella di mamma, e ricordo che mi faceva la pasta al forno, le melanzane ripiene. Adesso, quando arrivo all’aeroporto di Catania, ho le mie tappe obbligate. E poi, la granita con panna. Nessuno può capire cosa vuol dire fare colazione con la granita siciliana».

Quest’intervista, insomma, sta prendendo una piega inusuale, ma Viola è un fiume in piena, un sole che squarcia le ombre della memoria, che rievoca odori, sapori, colori…

«Siracusa è una delle città che mi piacciono di più, Catania è la Barcellona italiana, meravigliosa. E poi è la città di Franco Battiato che è una persona molto importante nella mia vita e per la mia famiglia, soprattutto per mio papà».

Ma c’è dell’altro nel vaso dei ricordi “Made in Sicily” di Viola…

«Il mio primo amore, a 14 anni, era siciliano, mi piaceva la sua parlata perché adoro quell’idioma. Appena attraversavo lo Stretto sentivo questa parlata così esotica e caliente e me ne innamoravo. Mio zio era arrabbiatissimo e non mi faceva uscire. Sai, a 12 anni ero già una signorina e avevo questo stuolo di ragazzetti siciliani, un po’ arabi, un po’ normanni, che mi gironzolavano intorno. E allora, per evitare problemi, ero costretta a rimanere a casa con nonna Maria».

Scusa Viola, che ne diresti se parlassimo un po’ del tuo disco che, peraltro, è bellissimo?

«Ah, già, il disco. E’ uscito lo scorso 4 dicembre e in preordine ha subito registrato il sold out. Sono molto stupita, nessuno di noi aveva pensato di fare qualcosa che potesse piacere davvero. Faccio quello che mi va di fare e questo mi rende felice, è un disco nato per amore e me lo ritrovo tra i 10 dischi più belli dell’anno in Italia e tra i 35 nel mondo. In Giappone è stato il disco più venduto degli ultimi 20 giorni. Sta facendo grandi numeri anche in Paesi come Polonia e Stati Uniti».

Ti spiace se faccio per un momento il giornalista?

«No, anzi, fai pure».

E allora, non è che tutto questo successo dipende semplicemente dal fatto che sei Viola N-O-C-E-N-Z-I?

«No, davvero. Anzi, mio padre, che è un tipo autoironico, mi fa le battute: “Va a finire che sei tu che stai facendo pubblicità a noi!”. Sinceramente non credo che il fatto che il disco sia stato arrangiato, prodotto e missato da mio zio Gianni e che ci sia la supervisione finale di mio padre, abbia influito più di tanto. Sto vedendo tantissime recensioni, titoli importanti. Nel mondo del prog c’è stata una grande approvazione. E’ bellissimo vedere attraverso i social tutte quelle persone che mi mandano le foto con il disco. E molti di loro nemmeno conoscono il Banco».

A proposito, una persona che tu conosci molto bene, Mauro Pagani, ha detto poco tempo fa che il prog-rock è l’unica musica che l’Italia è riuscita ad esportare con successo. Sei d’accordo?

«Eccome! Lo dice anche mio padre. C’è stato un momento in cui la musica italiana ha fatto la differenza anche all’estero. Penso all’ultimo disco del Banco, “Transiberiana”. La “Bibbia” del prog-rock in Gran Bretagna, “Prog UK”, ha scritto che il prog è italiano e questo è il miglior disco in assoluto».

D’altro canto, non dimentichiamo che la Premiata Forneria Marconi è stata la prima band a registrare un album “live” addirittura negli States…

«Pensa che il Banco ha registrato con Keith Emerson a Londra. Un disco (“Banco IV”) prodotto dalla stessa casa discografica di Greg Lake e Keith Emerson. Concordo pienamente con te quando dici che una volta c’erano band italiane che si chiamavano Banco, PFM, Quella Vecchia Locanda e oggi, invece, si chiamano Måneskin o Afterhours. Odio parlare con termini non italiani laddove non ci sia una reale esigenza. Ho una formazione umanistica, ho studiato filosofia, mi piacciono l’italiano, il latino e le lingue latine. Ho scelto di chiamare il disco con nome e cognome perché non credo nelle parafrasi. Sono molto legata al concetto di “no slogan” pasoliniano, quest’idea di urlare degli slogan non mi piace proprio».

Fatto sta che il tuo è sicuramente un disco “difficile” che non strizza l’occhio né alle radio né a Sanremo. Ma la tendenza popolare va da tutt’altra parte…

«Io continuo a galleggiare in questa dimensione in cui il cielo è viola, vedo tutto attraverso un caleidoscopio personale che è la mia vista. Rodersi dentro non è utile. Le cose che capitano intorno a me le accetto, mi estraneo e costruisco la mia strada».

Grazie per avere stravolto la scaletta della mia intervista.

«E’ stato davvero un piacere…».

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