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Caudullo, qui il pistacchio di Bronte da questione di famiglia è diventato un brand internazionale

Di Maria Elena Quaiotti |

Anno dispari, anno di raccolta. È la prima legge non scritta tramandata da padre in figlio per la raccolta del pistacchio, che in quel di Bronte non si smette mai di ricordare sia in famiglia che ai tanti turisti che ogni anno vengono richiamati nel territorio alle pendici dell’Etna proprio per la preziosa produzione che lo ha reso famoso in tutto il mondo.

Sono i produttori i primi a verificare costantemente le proprie piante di pistacchio nei terreni più o meno estesi che, qui si, rappresentano ancora la vera “ricchezza siciliana”. «Il mese di aprile è la fase centrale per l’impollinazione delle piante: c’è bisogno del pistacchio maschio per produrre il polline che andrà a fecondare il pistacchio femmina e garantire la produzione. In questo mese le gemme stanno fiorendo, con la raccolta che di prassi si effettua da fine agosto fino alla terza settimana di settembre, ma dipenderà tutto dal clima e dalle temperature».

È rassicurante la voce di Nunzio, che insieme al fratello Alberto ha proseguito l’attività iniziata negli anni 60 del Novecento dal padre Antonino Caudullo e dalla madre Maria Luca, mentre insieme a noi scava nei ricordi della sua famiglia. «Purtroppo non abbiamo fotografie degli inizi della nostra attività» commenta, raccogliendo la sfida di cercare di farci immaginare come tutto è iniziato per tante famiglie di Bronte come la loro, unite dalla consapevolezza di essere riusciti a far diventare il loro territorio un “brand” conosciuto in tutto il mondo.

«Siamo praticamente cresciuti in azienda – prosegue Nunzio – il mio primo vero ricordo nitido inizia all’età di sei anni. Nostro padre per motivi “educativi” ogni pomeriggio dopo la scuola ci faceva lavorare in magazzino e la domenica in campagna; lui, figlio della sua epoca, era un uomo autorevole e noi figli sentivamo di dover meritarci ogni cosa. Certo, con il senno di poi capisco che forse noi non abbiamo avuto lo stesso approccio con i nostri figli, io ne ho 3 e Alberto 2, ancora in età scolare. Di certo gli abbiamo dato di più di quanto si potessero meritare, ma teniamo le porte aperte per ogni loro decisione sul futuro».

Alcuni ricordi derivano dai racconti dei genitori, non visti direttamente con i suoi occhi, in particolare quelli relativi agli anni precedenti all’arrivo delle macchine. Quando tutta la lavorazione del pistacchio avveniva manualmente, in particolar modo la fase della cosiddetta “smallatura” ovvero la prima operazione effettuata subito dopo la raccolta del pistacchio. «Il mallo, la polpa che avvolge il pistacchio – precisa – quando matura, ovvero quando è rosa, si deve togliere per sfregatura e il pistacchio si mette ad asciugare al sole, perché è umido. Prima delle macchine per la smallatura, che poi negli anni ’60 erano costituite da un semplice rullo passato su una rete, l’operazione veniva effettuata con una spazzola con chiodi d’acciaio. Certo, le produzioni erano inferiori, ricordo cesti di vimini piccolini che potevano contenere si e no 10 kg di prodotto ciascuno, con i pistacchi che venivano raccolti uno a uno dagli alberi. In un certo senso non è cambiato molto, perché gran parte del lavoro di raccolta ancora oggi viene effettuato manualmente, non c’è possibilità di meccanizzazione specie sul substrato delle colate laviche dove le piante crescono. E anche questo giustifica il prezzo del prodotto. Dietro una produzione biennale c’è tutto un lavoro che deve essere fatto e richiede molta manodopera: negli anni pari si parla delle operazioni di potatura e degemmazione, ovvero la rimozione manuale delle gemme da parte dei brontesi in modo da indurre una fruttificazione più consistente nell’anno dispari».

«Come non ricordare quando nostro padre – prosegue – ci portava nelle vie di Bronte con il furgone carico di sacchi. C’erano persone che si mettevano sedute fuori casa con il “cippo”, una ciotola di pietra lavica, e utilizzando una pietra liscia di fiume sgusciavano i pistacchi uno a uno. Noi lasciavamo un sacco da sgusciare e poi tornavamo a recuperare il prodotto sgusciato. Ho osservato attentamente mio padre seguire il proprio istinto imprenditoriale: all’inizio, potevo avere sette anni, tutto il lavoro che si faceva a Bronte veniva portato a Catania dove c’erano gli esportatori che commerciavano frutta secca, pistacchi e mandorle in Europa , in particolare Francia e Germania. Ad un certo punto mio padre decise che sarebbe stato lui, senza intermediari, a esportare il nostro prodotto. Così rimane fissa nella mia memoria l’immagine di queste casse di legno con la reggetta d’acciaio e il sigillo di rame che ogni 15 giorni portavamo al porto di Catania. Qui le casse venivano prelevate e sollevate con una gru, sistemate dentro la stiva di grosse navi pronte a partire per i porti principali negli anni ’60, Amburgo e Marsiglia. Grande era la mia meraviglia durante tutta questa operazione».

«Poi negli anni ’70 ecco il cambiamento – racconta – inizia il trasporto su gomma e con autotreni, fino agli anni ’80 la crescita della cultura del pistacchio e dal 2000 la definitiva affermazione a livello internazionale. Nel 2010 si è concluso l’iter per il riconoscimento della Dop, denominazione d’origine protetta, una tutela della tipicità del prodotto di cui si sentiva il bisogno considerato il terreno lavico su cui il pistacchio nasce, un ambiente unico anche dal punto di vista turistico, l’incanto delle piante in fiore o delle operazioni di raccolta fanno parte del fascino del nostro “oro verde”. Di sicuro oggi in tutto il mondo chiunque dica pistacchio non può che pensare subito a Bronte, questo grazie all’efficace promozione commerciale seguita all’ottenimento della Dop. Di contro resta il problema della tutela del prodotto, imitazione e contraffazione sono diffuse e proliferano grazie anche alla disinformazione del consumatore. Perfino nello stesso territorio di Bronte, dove sono sorte tante attività di trasformazione del pistacchio, si sfrutta la notorietà del prodotto per fare business, magari senza utilizzare il vero pistacchio di Bronte. Bisogna imparare a leggere le etichette: non basta che ci sia scritto “prodotto e confezionato a Bronte”; l’utilizzo del pistacchio di Bronte Dop deve essere indicato negli ingredienti, cosa che può avvenire solo dopo autorizzazione appositamente rilasciata dal Consorzio. Il pistacchio di Bronte ha trainato tutte le attività collaterali, soprattutto aziende dolciarie, ma è il consumatore il primo a dover tutelare se stesso verificando sempre la dicitura con marchio Dop».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA