Mihajlovic e il miracolo sportivo compiuto a Catania fra trionfi e aneddoti
La storica salvezza della stagione 2009/2010 con la vittoria in casa della Juve e la lezione di calcio all'Inter del Triplete
Ha allenato tutti noi, Sinisa. Il Catania, i tifosi rossazzurri, i giornalisti. Bastone e carota. Perché dietro il carattere rude che faceva emergere durante la mirabolante rincorsa salvezza del 2009, c’era un Sinisa godibilissimo. Che abbiamo vissuto a pieno ritmo, come fosse una seduta di rifinitura.
Sinisa arrivò in Sicilia a sorpresa al posto di Atzori. Il Catania giocava bene ma non vinceva. Era ultimo in classifica, così la società ordinò un ritiro improvviso a Roma, alla Borghesiana, vicino l’Eur. Era cominciato un rischiosissimo dicembre, era la vigilia della partita contro il Livorno penultimo. I rossazzurri languivano in fondo alla classifica di una Serie A che sembrava l’Everest. Impossibile da scalare per gli umani. Non per l’uomo dalle punizioni-copertina.
E, allora, in quel ritiro romano a un passo dall’Eur (eravamo in compagnia di Francesco Lamiani, allora a Dahlia tv: due soli inviati, una telecamera, la parole che rimbombavano nella stanza quasi vuota), Mihajlovic si presentò dopo aver diretto un allenamento durissimo finito dopo aver calciato dieci punizioni battendo sistematicamente il portiere Kosicky: «Ho combattuto due guerre - disse - Non ho paura di nessuno. Se i giocatori mi seguiranno bene, altrimenti saranno c... amari per tutti». Restammo di stucco.
Il Catania perse in casa col Livorno e il malcontento in città era palese, giustificato. La settimana successiva, il 20 dicembre 2009, la squadra era attesa dalla Juve capolista. «Andiamo a Torino e lì vinceremo» ripetè per tutta la settimana Sinisa. Nessuno poteva credergli. Dopo il 2-1, nella pancia dello stadio piemontese, il tecnico rossazzurro ci venne incontro ringhiando: «Cosa ti avevo detto? Perché non mi hai creduto?». Dopo aver cercato di pescare dal fondo di un tunnel senza uscita una risposta plausibile, fu proprio lui a toglierci dall’imbarazzo: «Dai, ti perdono, non potevi scrivere diversamente». Un abbraccio con due pacche sulle spalle (eufemismo) segnarono l’inizio di un rapporto bellissimo, sempre oltre le righe. In quella partita segnò Izco, il 2-1.
Ma dopo il pari di Martinez su rigore, Sinisa prese di peso un Ricchiuti che esultava e lo scaraventò in panca: «Non è il momento» gridò. Quelle immagini fecero il giro di mezzo mondo. Il derelitto Catania che violava il campo della prima: «Siamo solo all’inizio della rimonta», sibilò il guerriero di Vukovar.
Mihajlovic era un condottiero. A gennaio la società gli comprò un centravanti importante ma in cerca di riscatto, Maxi Lopez. E l’argentino, alla prima occasione, in casa della Lazio, segnò il gol vittoria e tese le orecchie come per carpire le maledizioni di Lotito che lo avrebbe voluto con sé. Fu una scalata magnifica, culminata con il 3-1 all’Inter del “triplete” al Massimino. Una vittoria che fece rabbuiare Mou, relegato in un box sopra la tribuna vip. E visto che tutti lo inquadravano, Josè ordinò ai suoi costernati collaboratori di spegnere la luce. Ma l’Inter, contro il Catania di Sinisa, aveva spento ben prima i fari.
I catanesi si identificarono in quel Catania partigiano e pratico. Anche spettacolare perché la serpentina di Martinez in occasione del 3-1 ai nerazzurri diventò poesia, anzi leggenda. Come il “cucchiaio” dal dischetto che s’inventò Mascara contro il povero Julio Cesar, sua vittima preferita: «Se avesse sbagliato quel rigore, Peppe sarebbe fuggito lontano dallo stadio, lontano da Catania». Ironizzava, ma forse neanche tanto, Mihajlovic. Che indossava anche a maggio uno sciarpone rossazzurro per scaramanzia. Come, proprio perché portava bene, alla vigilia delle gare, in conferenza, era solito raccontare aneddoti della sua militanza nella Samp alle dipendenze di quel geniaccio di Boskov.
E, allora, il suo racconto diventava quasi una rappresentazione teatrale. Balleri che a San Siro il tecnico jugoslavo di etnia serba non aveva riconosciuto lo interpretava Angelo Scaltriti. A turno dovevamo mimare il protagonista dei suoi esilaranti racconti. Un giorno, Sinisa non era dell’umore giusto e l’angolo delle chicche di Boskov stava per saltare: «Sinisa, non ci racconti niente? La settimana scorsa il Catania ha vinto... » accennammo. E, allora, il tecnico rossazzurro si fermò di scatto, tornò sui propri passi e s’inventò un’altra storia.
Quando Alberto Brandi, dopo anni di corteggiamento, riuscì ad ospitarlo a “Controcampo”, seguimmo in taxi Sinisa accompagnato dall’addetto stampa Angelo Scaltriti fino agli studi televisivi: «Ma che cosa sei venuto a fare fin qui?», ci ammonì scendendo dall’auto. Poi, dopo una finta piazzata, ci prese a braccetto facendoci entrare dalla porta principale.
Il Catania si salvò, fece il record di punti, il pubblico celebrò un allenatore innamorato della città. Un amore che nell’ultimo nostro colloquio, datato 5 gennaio di quest’anno, l’allora allenatore del Bologna celebrò nel bel mezzo della conferenza stampa parlando dei suoi ricordi catanesi più che della partita della sua squadra che andava a presentare.
Amava mangiare pesce. Sinisa. E barattava le maglie rossazzurre con i prodotti freschi che arrivavano in barca vicino la “Baia Verde”. «Siete gente di cuore - ci disse prima del commiato - qualcuno all’epoca mi aveva sconsigliato Catania. Accettai perché mi sentivo di aiutare la società. Avevo visto giusto, Catania mi ha dato tutto quello che poteva. Mi sono trovato benissimo con gente educata, passionale, innamorata dello sport».
Ieri Catania ha pianto per il guerriero con il cuore gentile che arrivava in Bentley, vestiva alla moda, lasciava una scia di profumo inconfondibile. E lavorava con una passione che non aveva eguali. Si dice sempre così quando se ne va qualcuno che hai voluto bene. Ma questa città ha amato Mihajlovic al di là dei risultati. Nell’anno della Serie A, ma anche dopo, nel periodo della terribile malattia. Anche negli ultimi giorni speravamo potesse superare un ostacolo che, in realtà, era insormontabile.
Porta la sciarpa rossazzurra in cielo, komandante Sinisa. Anche se non serve. Perché da qui ti scalderà una città intera.