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Mascara: «Il mio Catania, il gol al Palermo, la Nazionale e Maradona. Ma sono rimasto uno del popolo»

L'attaccante si racconta in redazione a La Sicilia: le esperienze, i tecnici, la sua carriera da allenatore. «Ma il calcio di oggi non mi piace»

Giovanni Finocchiaro

07 Luglio 2025, 08:15

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“Ma come hai fatto?” Sedici anni dopo il tiro al volo da 40 metri durante il derby Palermo-Catania la domanda resta una e una sola. E quando Peppe Mascara torna a distanza di qualche stagione in redazione per raccontare i suoi nove anni senza calcio giocato (ma con tanta esperienza accumulata in panchina) chi lo incontra chiede sempre e comunque: «Ma cosa hai pensato in quel momento? Come si fa a calciare al volo da quella distanza siderale?»

Si sente prigioniero di quel gol, Mascara?

«No, ma gli altri 148 non li ricorda nessuno. A Udine la settimana dopo segnai ancora da lontano».

C’è anche il gol a San Siro a Julio Cesar nel confronto con l’Inter.

«L’ho visto leggermente avanzato. Giocavo d'istinto e poi mi allenavo sempre tentando la botta da centrocampo. Gli allenatori a volte non capivano e mi rimproveravano».

Ha mai rivisto quei capolavori?

«No, tendenzialmente non rivedo le mie partite».

Nove anni fa ha smesso di giocare a pallone. Nostalgia?

«Un po' la partita manca. Ma ho 45 anni e zero rimpianti. Non ripenso a quello che ho fatto, resterei prigioniero del personaggio che ero. Da calciatore mi divertivo e riuscivo a fare divertire. Oggi il ruolo è cambiato».

Da allenatore ha fatto bene a Novara, ma adesso ha deciso di andarsene.

«Sto cercando un progetto che sia serio. Ma serio davvero».

In Piemonte ha completato una stagione importante.

«Quando sono stato chiamato dal direttore Lo Monaco ho allenato la Primavera e alla fine la prima squadra. Mi hanno dato fiducia perchè avevano visto come ho lavorato».

Ha ottenuto buoni risultati.

«Primi in classifica in Primavera al termine del girone, i ragazzi hanno disputato i play off ma intanto li ho dovuti lasciare ed è stato anche spiacevole. Ma approdavo in Serie C e pure li ho conquistato l’accesso ai play off. Ho allenato in Eccellenza, in D, ho trovato a Novara una squadra splendida, grandi professionisti. Quando arrivi dalla periferia e hai tutto quello che un allenatore può chiedere lavori meglio».

Che rapporto ha con Lo Monaco?

«È un legame speciale, il direttore mi ha tirato su come persona e come calciatore. Ci siamo sempre tenuti in contatto. C'è un grande rispetto».

Perchè ha deciso di allenare?

«Mi piace, mi rende vivo e ne vado fiero».

Il rapporto con i giocatori guidati da Mascara come si sviluppa?

«Non voglio presentarmi come Mascara che ha giocato in A. Oggi se sei capace di comunicare hai ottenuto l'80 per cento del lavoro».

A Catania è rimasto un idolo.

«La disponibilità che la gente ha avuto verso di me è stata eccezionale. Io penso di avere ricambiato in campo. Non me la sono mai tirata, resto un uomo del popolo. Mi sono fermato a vivere qui con la famiglia, mi hanno accettato in città come un catanese. L'amore e il rispetto sono reciproci».

Dal 2001 al 2003 ha giocato nel Palermo in Serie B.

«E per la prima volta ho vissuto il calcio ad alti livelli. Me la sono goduta poco, quell’esperienza. Ero stato acquistato dalla Salernitana dopo che Zeman mi fece esordire. In rosanero nelle prime sei gare segnai sette gol. Poi mi feci male. Al rientro il club era passato da Sensi a Zamparini che fece le proprie scelte».

Cosa ha imparato da Zeman?

«Il mister è un mito, aveva costruito una squadra giovane. Ha metodi di grande impatto. Mi ha dato tanto, poi a Catania col 4-3-3 mi sono ritrovato alcune basi che Pasquale Marino aveva curato in maniera simile».

A Marino è rimasto molto legato.

«Mi ha dato tanto ed è uno dei pochi che insegna calcio, poi tra siciliani abbiamo un rapporto speciale».

Quando allenava l’Udinese gli rifilò anche due gol.

«E dopo la partita giocata al Massimino mi salutò con la solita ironia: “Mi dovevi rompere le uova nel paniere proprio tu… Dovevo portarti con me a Udine”. E abbiamo riso insieme».

Nel 2006 la promozione in A del Catania fu un evento indimenticabile.

«Risultò decisiva la costruzione della squadra con veri uomini. Solo Baiocco, Spinesi e Sottil avevano giocato a certi livelli. Caserta non lo conosceva nessuno. De Zerbi e Bianco non erano affermati, ma avevamo creato una famiglia. La società è stata brava a gestire con Lo Monaco. Si creò una magia in città e con i tifosi».

Com’era sul campo Mihajlovic?

«Sembrava forte fuori ma era timido, un buono. Era umile anche quando ti spiegava il suo calcio. Sembrava aggressivo ma ti faceva capire le cose con gentilezza».

Marco Giampaolo?

«Fissato con la tattica, un integralista ma una persona vera».

Silvio Baldini?

«Un vincente. Aveva una vita naif o esagerava sul personaggio che è diventato. Ti parlava della natura e noi ad ascoltarlo. Con i suoi metodi riesce comunque ad attirare attenzione».

Zenga?

«Mi ha portato a Dubai facendomi vivere un’esperienza unica. Ha idee molto chiare che a volte non sono state valorizzate».

Negli Emirati ha giocato a calcio con Maradona.

«Un ex del Catania, Muntasser, era amico di Diego. Giocammo a calcetto e me lo presentò senza dirmelo prima della partita. Entrammo in un capannone enorme dove, pensate, si giocava a padel e in Italia nessuno ancora conosceva questo sport. C'era una fila infinita di persone. Me lo ritrovai di fronte. Si ricordava di me perchè avevo giocato a Napoli. Siamo stati a cena e in campo. Maradona è la persona più buona e onesta che abbia mai conosciuto. Rispettava tutti ed era Diego».

Nel 2009, a Pisa, esordì in Nazionale e in squadra c’era anche Gattuso.

«Fu il coronamento della mia carriera. Arrivavo da Comiso, 25 mila anime. Per andare a giocare a Ragusa finivo di lavorare al mercato rionale e prendevo il bus alle 14 mangiando un panino. Se perdevo il bus arrivavo agli allenamenti in autostop».

Roba da non credere.

«E sa quante volte mi hanno scartato nei provini perchè mi dicevano che ero gracilino?»

Gattuso rivitalizzerà la nazionale?

«In Italia le squadre vengono formate per l’80 per cento da stranieri. I ragazzini spesso vanno all’estero. I vivai? Anche lì pochi italiani nelle formazioni di vertice. Oggi i ragazzi vogliono tutto e subito. Io andavo in autostop al campo, le mamme a volte portano i figli a giocare entrando con l’auto fino a centrocampo. Nei vivai fino a 14 anni bisogna far divertire i ragazzi, poi viene la tattica».

Guarda il calcio in tv, Mascara?

«Poco. Non mi diverte. Tutto è diventato schematico. C’è sempre poco tempo per insegnare ai bambini le cose che contano. Vogliamo tutto e subito. Le altre nazioni schierano i talenti anche ad alto livello. Noi li mandiamo in tribuna».