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Quelle bracciate “made in Catania” dell’ingegnere elettronico di successo

Piermaria Siciliano, catanese, che ha scritto pagine di storia, oggi è un dirigente affermato nel campo della microelettronica. Ma per gli amici è rimasto...Piero

22 Luglio 2025, 18:54

Sport

C’è chi nuota per sport, chi per necessità, e poi c’è chi - come Piermaria Siciliano - nuota per sentirsi bene. Perché l’acqua, per lui, non è mai stata solo un elemento: è un rifugio, è stata una scuola di vita, una seconda pelle. Il cloro lo ha respirato sin da bambino, quando le prime bracciate erano ancora goffe ma già cariche di una determinazione rara. E oggi, dopo una carriera che lo ha visto protagonista anche due volte alle Olimpiadi, quella passione resta intatta. Piermaria non ha mai smesso di nuotare. Così, in estate, quando va al mare porta sempre con sé gli occhialini. Siciliano oggi è un prestigioso dirigente, punto di riferimento dell’ingegneria nel campo della microelettonica, ma per molti è rimasto Piero, il ragazzo che ha scritto pagine importanti del nuoto italiano distinguendosi per forza, tecnica e soprattutto per una dedizione fuori dal comune.

Quando è cominciata? «Quando avevo circa 5 anni i miei genitori (Rocco e Marisa Petrina) entrambi medici, visto il mio fisico gracilino pensarono di introdurmi al nuoto. Qui a Catania iniziai alla Nautilus, poco dopo passai alla storica Poseidon, società che mi ha sempre supportato (e più in là, compiuti 18 anni, fui tesserato anche per le Fiamme Gialle). Da piccolo soffrivo l’acqua fredda, dunque non fu certo un inizio piacevole, eppure nelle prime gare arrivarono ottimi risultati. Lì scoprii di avere un innato spirito competitivo che mi portava, in ogni allenamento, a cercare di primeggiare: era questo che faceva la differenza».


Si intravedeva già da piccolo che aveva del potenziale? «Ero molto “generoso”, non mi tiravo mai indietro, ad esempio nel 1994 ai Campionati italiani in vasca da 50 metri, pur senza aver mai “assaggiato” la vasca lunga sino a quel momento, determinato a qualificarmi per i mondiali nei 400 stile libero, senza rendermene conto passai a metà gara intorno al passaggio del record del mondo (1’52”51), anche se poi pagai negli ultimi cento metri (3’50”78 il tempo finale, tuttora record regionale assoluto dopo più di 30 anni!), ma il mio coraggio fece scalpore».

Chi la seguiva in vasca? «I miei allenatori sono stati innanzitutto degli educatori e li sento ogni anno, ringraziandoli. Salvatore Nania, Maurizio Coconi, Marco Colombo, Piero Camarda (da poco deceduto) e l’allenatore della nazionale, l’indimenticato Alberto Castagnetti. Hanno tutti avuto un ruolo importante nella mia crescita, sono stato davvero fortunato».

Durante la sua carriera ha avuto più volte la possibilità di andare via dalla Sicilia. Come mai scelse di rimanere? «Ho avuto proposte non solo da Roma e Milano, ma anche dalle Università Usa di Ucla di Los Angeles e Brown di Boston, ma in quegli anni i migliori mezzofondisti a stile libero erano proprio in Italia, dunque preferii restare, potendo avere il supporto della famiglia, devo moltissimo ai miei genitori. Sono sempre stato orgogliosamente “siculo”, e anche se a volte si soffriva per la mancanza di impianti (assenza di vasca lunga coperta d’inverno), compensavo con una grande forza di volontà negli allenamenti. Ho sempre voluto dimostrare che noi siciliani abbiamo una marcia in più».

Il punto più alto della sua carriera è stata l’Olimpiade di Barcellona. «Ho partecipato a due Olimpiadi (Barcellona 1992 e Atlanta 1996). La prima è stata più emozionante, era pure l’anno della maturità classica dove presi il massimo dei voti. In gara andai così così in staffetta, ma mi rifeci nei 400, arrivando a pochi decimi dalla finale A (dodicesimo al mondo a soli 18 anni). La seconda fu quella della maturità, le ambizioni erano diverse, con la staffetta 4x200 stile libero arrivammo in finale e per un po’ sognammo anche il podio (poi sesti). Fu esaltante incontrare leggende come Alexander Popov, Carl Lewis, Magic Johnson e Michael Jordan».

Se le dico Campionati Italiani di Catania. A cosa pensa? «Mi emoziona parlarne ancora adesso. Dopo l’Olimpiade nel 1996 avevo deciso di smettere ma scelsi di disputare prima i Campionati italiani di Catania. Il pubblico catanese rispose alla grande, erano presenti circa 5mila persone e la Plaia era una bolgia. Vinsi 100 stile, 100 farfalla e le tre staffette con le Fiamme Gialle, il pubblico mi trascinò. Fu un addio dolceamaro, avevo solo 22 anni, non fu facile lasciare quella vita esaltante, ma anche piena di sacrifici».


Lei ha saputo conciliare sport di altissimo livello e studio. Come c’è riuscito? «Siamo indietro rispetto ad altre Nazioni. Qualche passo in avanti è stato fatto col “progetto studente atleta” nelle scuole, ma esistono purtroppo ancora dei professori “vecchio stampo” che non guardano questi atleti di buon occhio, salvo poi ricredersi alla lunga. Gli atleti sanno sacrificarsi, sanno esaltarsi nelle difficoltà laddove gli altri si fermano e questo vale anche per lo studio. Nel campo universitario, non esistono borse di studio per gli atleti meritevoli come ad esempio succede negli Stati Uniti. Questo potrebbe essere uno step importante».


Di cosa si occupa oggi? «Sono ingegnere elettronico e da 25 anni lavoro nell’Etna Valley, dunque nel campo della Microelettronica. Lavoro alla Renesas, l’ultima multinazionale “sbarcata” a Catania, e sono dirigente anche se continuo personalmente a progettare i microchip per applicazioni Cloud e Intelligenza Artificiale. In passato ho lavorato alla STMicroelectronics, alla Maxim Integrated, alla Analog Devices, ed ognuna di queste mi ha dato molto. Tutto questo non sarebbe stato possibile senza avere un’adeguata preparazione che mi ha dato la facoltà di Ingegneria Elettronica di Catania, da sempre fortemente collegata alle industrie. Se si sceglie questa strada, decisamente suggerisco di restare a Catania. A parte l’eccellenza universitaria, nelle industrie, ormai gli stipendi sono al livello del nord Italia».

I suoi figli nuotano? «Entrambi. Mia figlia Sofia (18 anni, società Sicilia Nuoto) ha sempre dato priorità alla scuola, arrivando al cento e lode alla maturità classica. Nel nuoto preferisce la velocità, andando regolarmente sul podio regionale con le staffette. La sua determinazione le ha da poco permesso di passare i test di Medicina. Mio figlio Alberto Rocco (15 anni, società Idra Nuoto/Altair), ci sta ultimamente sorprendendo, facendo un grande salto di qualità nel nuoto, facendo intuire un bel futuro. Mia moglie Tiziana è stata ed è fondamentale nel sostenere la famiglia, senza di lei tutto ciò sarebbe stato impossibile. Spero che i miei figli capiscano che lo sport impegna la giornata in maniera sana, crea forti amicizie, e mi auguro che quando in futuro al lavoro o nella vita ci sarà da accelerare, loro saranno i primi a farlo».