il personaggio
Mattia Ceccato, da Comiso all'Olimpia Milano: l'esordio in serie A per un sogno “a spicchi” tutto da vivere
Domenica sera in campo nella sfida tra Olimpia Milano e Virtus Bologna. «Un momento che non dimenticherò mai. Dove voglio arrivare? Il più in alto possibile»
C’è una maglia che pesa più delle altre. Non perché stringa, ma perché racconta. Quella dell’Olimpia Milano è un romanzo cucito addosso, con capitoli scritti da campioni e copertine illuminate d’Europa. Quando Mattia Ceccato la indossa, domenica sera, per l’esordio in Serie A, il parquet del Forum diventa una pagina bianca che fa un po’ paura e un po’ innamorare.
Succede tutto in pochi secondi, come nelle storie che cambiano la traiettoria di una vita. Il coach Peppe Poeta chiama, la panchina si apre, il pubblico rumoreggia. Mattia entra. Dentro una partita (e che partita, contro la Virtus Bologna), dentro un sogno, dentro una Milano che non regala nulla ma, se lo meriti, ti lascia spazio. La Serie A non ti chiede chi sei stato: ti domanda chi sei adesso.

Ceccato entra nel primo quarto, con Milano avanti 21-11, deve difendere su Pajola, può anche spendere un fallo. Non c’è fretta di lasciare il segno, perché il segno - quello vero - è esserci. Con la testa alta e le gambe pronte. L’Olimpia è una cattedrale del basket: anche il silenzio, lì, insegna.
Mattia, quando hai capito che stava succedendo davvero?
«Non subito, a dire la verità. Il coach mi aveva detto di tenermi pronto, ma non pensavo di entrare già nel primo quarto. Comunque, è stata una grandissima emozione».
Quanto pesa la maglia di Milano?
«Tanto. È il club più titolato d’Italia. Ma non ci penso più di tanto: faccio lo sport che mi piace, voglio solo divertirmi. Ed è quello che mi ripetono tutti i miei compagni. Anche quelli più grandi».
La prima azione...
«Il coach mi aveva chiesto di difendere forte su Pajola, magari anche con un fallo. Non ce n’è stato bisogno...».

A chi hai pensato guardando le tribune?
«Ai miei genitori che erano presenti, grazie a loro sono diventato un giocatore, sono stati fondamentali per la mia crescita».
Alla sirena che ti sei detto?
«Che è stato un momento indimenticabile, ma che deve essere uno stimolo per crescere ancora».
Cosa c’è nel futuro di Ceccato?
«Non mi pongo limiti. Voglio arrivare più in alto possibile. Ma con i tempi giusti».
La storia di Mattia parte lontano dai palazzetti luccicanti. Parte da Comiso. Parte da una piscina che lo faceva ammalare spesso. Sua madre Laura, ex pallavolista, lo aveva accontentato. Niente da fare. Suo padre Davide, veneziano trapiantato al Sud per giocare, allenava. E Mattia, allora, entrò in palestra, giornate intere, finché il basket non è diventato una scelta naturale, come respirare. Minibasket a Comiso, prime vittorie a Ragusa, poi un video che gira, uno sguardo che si accende. San Lazzaro di Savena, praticamente Bologna. Poi la svolta vera, in un torneo Under 15 in Toscana. Tra il pubblico c’è Simone Halabi, allora allenatore dell’Olimpia. Mattia non lo sa. Ma Milano sì. Arriva l’invito, poi il trasferimento. E qualcosa cambia. Allenamenti che sono partite, partite che sono esami. Ed esami con vittorie: due scudetti Under 19, due argenti con la Nazionale Under 16 e Under 17 a Europei e Mondiali, un bronzo agli Europei Under 18. Tutta roba seria.
Playmaker o guardia, poco importa. Ceccato si definisce altruista. Gli piace passare la palla, far giocare gli altri. Il suo faro è Milos Teodosic, il playmaker più forte che abbia mai visto. Ma adora Jordan e Kobe e ha “rubato” l’uscita dai blocchi di Belinelli. Insomma, il basket come un mosaico, non come un assolo.
