Sprofondo Fiorentina: ko anche a Parma, la contestazione dei tifosi si fa più dura
Al Tardini arrivano in 3500 e dicono basta: l’ora della verità per i viola, tra panchina confermata, mercato in bilico e un gennaio già decisivo
Al minuto settanta, quando lo svantaggio è ancora rimediabile solo sulla carta, il settore ospiti del Tardini si compatta, i cori cambiano tono e l’onda viola — circa 3500 persone — smette di accompagnare per iniziare a chiedere conto. Non è furia cieca, è un verdetto lucido: “Andate negli spogliatoi”. La squadra della Fiorentina non viene “chiamata sotto”: i tifosi vogliono riprendersi il diritto di guardare dritto in faccia il proprio fallimento, ma senza la liturgia di fine partita. E quando il triplice fischio certifica lo 0-1, il primo a defilarsi verso il pullman è Edin Dzeko. Una fotografia, più che una notizia: e in certe stagioni, le fotografie contano come gol.
Il peso di un pomeriggio: Parma-Fiorentina e il segno sulla pelle
Il campo dice Parma-Fiorentina 1-0, rete di Sorensen a inizio ripresa, in una gara che conferma due destini contrari: i ducali di Carlos Cuesta si tirano su, i viola precipitano ancora. Nel secondo tempo, l’occasione di Comuzzo e la respinta istintiva di Corvi tengono in vita un finale che non arriverà mai davvero. La cronaca è asciutta; ciò che resta, invece, sono i contorni umani. A Parma, la Fiorentina chiude un 2025 che ha consumato certezze e appartenenza, proiettando su gennaio la responsabilità di un’inversione che non può più attendere.
Il comportamento del settore ospiti, compatto e numeroso, ha un significato superiore al risultato: la curva — tradizionalmente cuore e metronomo della temperatura cittadina — crea un solco netto tra sostegno e legittimazione. Si sostiene la maglia, ma non si legittima più nulla a priori. È una distinzione cruciale per capire Firenze, e ancora di più questa Fiorentina.
Un’onda che si alza al 70’: quando la curva decide che è abbastanza
La contestazione comincia a salire intorno al 70’, quando la squadra di Paolo Vanoli non trova finestre tecniche né energetiche per rientrare. Si alzano i cori, cambiano i messaggi. Non ci sono scontri: è una contestazione civile, che non rinuncia alla durezza del giudizio. L’invito ad andare negli spogliatoi è deliberato: niente passerelle, nessuna catarsi improvvisata sotto la curva. I tifosi prendono il controllo del finale, si riprendono il diritto all’insoddisfazione. Nel post, il primo movimento è quello di Dzeko, che lascia il terreno e si dirige al pullman. Un dettaglio? A volte i dettagli spiegano lo stato di un gruppo più di mille conferenze.
Silenzio stampa, ritiro e una classifica che pesa come piombo
Il contesto è noto e spietato: la Fiorentina è reduce da un mese che ha scavato la classifica e l’autostima. Dopo il ko contro il Verona del 14 dicembre 2025, il club ha imposto il silenzio stampa e un ritiro a tempo indeterminato. È una misura estrema che, da sola, non sposta risultati ma certifica l’emergenza. Gli effetti collaterali, però, sono evidenti: senza voci, parlano soltanto il campo e la tifoseria. E non è un caso che proprio la tifoseria, a Parma, abbia scandito la liturgia del finale.
La fotografia dell’andamento recente aiuta a leggere la rabbia: una stagione inchiodata sul fondo, un rendimento che ha trasformato ogni partita in uno spareggio emotivo. La fiammata contro l’Udinese (prima vittoria in campionato, larga ma figlia anche dell’inferiorità numerica avversaria) sembrava poter ridare ossigeno. Il Tardini ha rimesso tutto al proprio posto, con la crudezza delle giornate invernali: la Fiorentina resta in apnea.
Vanoli resta, ma con un conto alla rovescia in testa
Dalla panchina, la società manda un messaggio di continuità: Paolo Vanoli viene confermato. Non è una scelta di comodo, è una mossa di calendario: cambiare ora, alle porte del mercato, avrebbe significato rimettere a zero la bussola con il mare grosso. Che la sua posizione sia “salda” è affermazione da maneggiare con cura: nella pratica, significa che si va avanti, e che le prossime due-tre partite peseranno più di quanto sarebbe saggio. L’allenatore ha provato a ricalibrare l’assetto, oscillando tra difesa a tre e a quattro, cercando di proteggere un centrocampo che fatica a ordinare e una fase offensiva che vive a strappi. Ma quando la squadra smette di credere nella propria struttura, anche le idee migliori diventano rumore.
Il nodo Paratici: attesa, incastri e conseguenze sul mercato
Sul tavolo societario c’è un altro dossier enorme: l’arrivo di Fabio Paratici come nuovo responsabile dell’area tecnica. La decisione politica del club è presa: Paratici ha detto sì alla Fiorentina, ma prima occorre sciogliere il vincolo con il Tottenham, dove è rientrato ai vertici sportivi dopo aver scontato l’inibizione. Una questione contrattuale e di incastri: finché non si formalizza la risoluzione con gli inglesi, il suo ingresso in organigramma non può essere ufficializzato. La previsione — prudente — è di una firma a cavallo tra fine dicembre e i primissimi giorni di gennaio 2026.
Le conseguenze? Due. La prima: il mercato di gennaio non può permettersi ritardi. La seconda: l’eventuale “mano” di Paratici dovrà essere visibile subito, sia nelle uscite che nelle entrate, perché questa rosa ha squilibri strutturali evidenti. Manca fisicità stabile in mezzo, manca profondità di corsa sugli esterni per sostenere due fasi, manca soprattutto una catena di leadership che tenga dentro la partita chi guida il pressing e chi detta i tempi con la palla. La presenza in rosa di veterani come Dzeko non ha, finora, colmato il deficit carismatico.
Dzeko e gli altri: quando il nome non basta
La scelta di evidenziare Edin Dzeko come primo a lasciare il campo dopo il fischio finale non è un bersaglio personale. È il tentativo di misurare lo scarto tra attese e resa. Il bosniaco, arrivato per dare gol, peso e mestiere, è rimasto intrappolato nello stesso pantano del gruppo: pochi palloni “buoni”, pochi attacchi all’area coordinati, poca capacità di orientare i compagni con movimenti da riferimento. Ma la responsabilità è diffusa. Il sistema viola si spegne quando la partita chiede maggiore precisione nel primo controllo, nel tempo di gioco, nell’ultima scelta. E quando manca un’identità tattica condivisa, anche i giocatori più esperti si affidano all’istinto. Che non basta.
Il paradosso dei singoli: talento intermittente e gerarchie fragili
È cresciuto a sprazzi Albert Gudmundsson, che alterna accensioni da giocatore superiore a momenti di evaporazione dal contesto. Nicolò Fagioli ha qualità nel primo passaggio e nella ricezione tra le linee, ma ha bisogno di sponde e di corse complementari; se intorno la squadra è piatta, lui si ritrova ad alzare il tasso di rischio e, inevitabilmente, a perdere pulizia. Cher Ndour e Rolando Mandragora sono chiamati a fare tre mestieri insieme: proteggere, costruire, accompagnare. Così si finisce per fare tutto e niente. Sulle corsie, Parisi e Dodò alternano iniziative efficaci a pause; e in area, se la palla non arriva con tempi riconoscibili, anche uno come Moise Kean finisce per ricevere spalle alla porta troppo spesso, lontano dal suo habitat.
“Andate negli spogliatoi”: il significato di un rifiuto
In molti stadi italiani la “chiamata sotto la curva” è diventata un gesto automatico. Farla saltare non è un capriccio: è la volontà di interrompere un rito svuotato di senso. I 3500 di Parma hanno scelto di rinunciare alla sceneggiatura e di scrivere una pagina diversa: non cercate conforto nei cori, non c’è tempo per gli alibi, prendetevi il peso della sconfitta e lavorate. Se c’è una frase che riassume l’aria che si respira, è quella scandita dal settore: “Meritiamo di più”. Un giudizio che non inchioda un singolo ma l’intero sistema Fiorentina: proprietà, dirigenza, area tecnica, squadra.
Proprietà, dirigenza, guida tecnica: la catena di comando che deve ritrovarsi
Il malcontento non riguarda solo il campo. Nelle ultime settimane, parte del tifo organizzato ha alzato il volume della critica verso la catena di comando della società, chiamando in causa la qualità della programmazione e le scelte che hanno portato a un organico senza contromisure. Il possibile arrivo di Paratici è letto da molti come la svolta: esperienza, conoscenze, capacità di manovra. Ma nessun direttore, da solo, può rimediare in poche settimane a un impianto che fatica. Servono decisioni nette e coerenti: profili funzionali più che nomi, innesti che anticipino — e non inseguano — i problemi ricorrenti.
Che cosa serve, subito: tre interventi concreti
Un centrocampista “ponte” tra la prima costruzione e l’ultimo terzo: profilo con gamba, pulizia di passaggio e senso del tempo. Non necessariamente un “regista puro”, ma un giocatore capace di legare le altezze della squadra. Oggi, senza quel collante, la Fiorentina si spezza.
Una corsia forte a tutta fascia: la struttura ibrida di Vanoli chiede almeno un esterno capace di sostenere 80-90 metri di campo, con qualità di cross su corsa. Senza profondità costante, le punte ricevono palloni “spenti”.
Un difensore aggressivo sulla prima palla: non per forza un “nome”, ma un centrale che anticipi e accorci, per alzare la squadra di 10-15 metri nei momenti di pressione. Con il baricentro basso, ogni recupero palla diventa lontanissimo dalla porta avversaria.
Tutto questo è mercato. Ma il mercato funziona se c’è una traccia di gioco chiara. E qui si torna a Vanoli: il tecnico va messo nelle condizioni di semplificare. Scegliere un assetto — che sia a quattro dietro o a tre — e “martellarlo” fino a renderlo naturale.
Il calendario non aspetta: Cremonese e poi un gennaio da brividi
La prossima stazione è già segnata: domenica 4 gennaio 2026 al Franchi arriva la Cremonese. È una di quelle partite che non si “preparano”, si giocano dentro: ritmo alto, zero pause, idee semplici e ripetibili. Nel giro di pochi giorni, poi, il calendario accelera: il margine d’errore è finito. Ogni punto pesa doppio, ogni black-out rischia di lasciare scorie che non si smaltiscono.
I numeri che non mentono (e come leggerli senza farsi travolgere)
Ultimo posto a quota a 9 punti prima di Parma, con uno scarto crescente dalle dirette concorrenti. La vittoria sull’Udinese ha solo fermato l’emorragia, non l’ha curata.
Strappo emotivo: in stagione, troppe gare si sono decise nei 15 minuti dopo l’intervallo, con la squadra sistematicamente in difficoltà nell’uscire dagli spogliatoi “accesa”.
Rendimento offensivo intermittente: senza un riferimento stabile in area — non per caratteristiche dei singoli, ma per qualità e frequenza dei palloni puliti — il numero di tiri qualificati resta basso.
Errori di gestione dei momenti: nei finali punto a punto, la Fiorentina non riesce a fissare la palla in alto campo per periodi lunghi; soffre la transizione avversaria e fatica a risalire in modo ordinato.
Questi dati non sono una sentenza definitiva, ma un invito alla lucidità. Leggerli serve a fare meglio, non a cercare colpevoli.