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Il caso di Pietro Santapaola, «cacciato dal Cosenza per colpa del cognome»

Di Redazione |

CATANIA – Una lettera indirizzata nei giorni scorsi al presidente del Cosenza Calcio, Eugenio Guarascio, per esprimere “amarezza nell’aver appreso le determinazioni assunte dalla società” nei confronti del calciatore messinese Pietro Santapaola Junior, classe 2003. A scriverla è stato l’avvocato Salvatore Silvestro, del Foro di Messina, che assiste il giovane e la sua famiglia e che stamani ha presentato una formale denuncia alla Procura della Repubblica di Cosenza nei confronti del Cosenza Calcio. 

Secondo quanto ricostruito dal legale, infatti, il giovane non sarebbe gradito a causa del suo cognome. “Nei giorni scorsi il signor Pietro Santapaola – scrive l’avvocato Silvestro rivolgendosi al presidente della squadra – padre del minore in forza alla Cosenza Calcio, mi ha rappresentato che lei, dopo aver avuto contezza delle sue vicissitudini giudiziarie, ha ritenuto opportuno disporre il totale isolamento di Pietro Junior non permettendogli di proseguire gli allenamenti con il resto della squadra” si legge in un passaggio della lettera.

“Non mi pare umanamente comprensibile e giuridicamente corretto – scrive l’avvocato – adottare provvedimenti lesivi della dignità del minore in forza di quella sorta di colpa d’autore ravvisata nell’essere legato da un non scelto rapporto di filiazione ad un imputato ancora non colpevole”.

 Il riferimento del legale è ai precedenti penali del padre accusato di far parte della criminalità organizzata e condannato per mafia in primo grado a 12 anni. Mentre il prozio di Pietro Santapaola Junior è Benedetto «Nitto» Santapaola, oggi 82 anni, considerato tra i boss più sanguinari di Cosa Nostra, condannato all’ergastolo nel maxiprocesso di Palermo per l’omicidio del giornalista Pippo Fava.

Ma il giovane calciatore con la mafia e con la criminalità in generale non ha mai avuto niente a che fare. «Mi chiedo e le chiedo, pertanto, – aggiunge l’avvocato Silvestro – se possa considerarsi legittimo frenare le aspirazioni di un ragazzo come Pietro Junior che con sacrificio ed abnegazione sta cercando di inseguire il suo sogno che è anche quello di affrancarsi dal peso delle ingombranti parentele attraverso il gioco del calcio a cui da anni si è dedicato anche sacrificando gli affetti familiari”.

“Da ultimo – scrive ancora il legale – il mio pensiero si rivolge verso quegli uomini delle istituzioni che con il loro impegno continuo e costante garantiscono l’allontanamento da contesti devianti dei figli minori o dei familiari di coloro che sono stati invasi o sfiorati dallo squallore della mafiosità, sperando che l’ancora minore Pietro Junior non subisca l’ennesima beffa da una situazione rispetto alla quale non gli si può muovere alcun rimprovero. Ed allora mi chiedo e le chiedo – conclude il legale – perchè se fosse stato mio figlio avrebbe avuto la possibilità di continuare ad allenarsi con la squadra? A sentirsi come i suoi compagni e invece oggi deve avvertire il peso di essere lo sfortunato figlio di?”. 

Il giovane, è scritto invece nella denuncia presentata in Procura, è stato «allontanato dal direttore sportivo del Cosenza Calcio dalla seduta di allenamento del 3 marzo scorso e poi allontanato definitivamente dalla squadra e costretto a lasciare il convitto dove risiedeva in data 10/3/2021, perché affetto dal virus della mafiosità». Secondo quanto riportato nell’esposto, il giovane attaccante non ha collegamenti con gli ambienti criminali e il suo sogno resta quello di giocare a calcio e diventare un professionista.

L’invito a non prendere parte agli allenamenti, secondo quanto si legge ancora nella denuncia, sarebbe arrivato «per volere del presidente Guarascio dopo aver appreso delle vicende giudiziarie del padre di Pietro Junior, coinvolto nell’operazione Beta».

L’accusa più grave mossa, riguarda la possibilità, paventata dal presidente Guarascio – sempre secondo quanto si legge nella querela – «che il ragazzo potesse rendersi protagonista di rapine o lesioni gravi nei confronti dei compagni di squadra».

Secondo il legale, persistono le condizioni che prefigurerebbero il «reato di mobbing, con la reiterata ostilità del datore di lavoro nei confronti del dipendente». La stessa denuncia sarà trasmessa agli organi ispettivi della Lega Calcio. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA