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Di cosa soffrivano (e morivano) i siciliani dal Neolitico all’Età Moderna?

Di Antonio Fiasconaro |

Di quali malattie soffrivano gli antichi siciliani? Di cosa si ammalavano? Come si curavano? Sono alcuni degli interrogativi a cui dovranno rispondere i ricercatori di tre prestigiose università europee – quella di Vilnius in Lituania, e quelle britanniche di Oxford e Cranfield – che insieme a quelli dell’Ibam-Cnr di Catania, affronteranno lo studio dei resti riferibili a vari contesti cimiteriali che coprono il periodo compreso tra il Neolitico e la prima metà dell’Età Moderna.

Dallo studio delle ossa si possono quindi rivelare frammenti di vita e morte degli antichi siciliani.

Il progetto dal titolo “Salute e malattia in Sicilia” e ha come obiettivo quello di ricostruire la storia nosologica degli antichi siciliani attraverso l’ispezione dei loro resti mortali, diagnosticare eventuali condizioni patologiche che abbiano lasciato segni inequivocabili sulle ossa, analizzarne lo stress fisiologico correlandoli alle strategie di sussistenza. Il progetto, infatti, ha previsto una prima fase di selezione dei materiali e di standardizzazione dei protocolli, una seconda fase di formazione dei ricercatori, per poi passare a una fase operativa, grazie alla cooperazione di numerose istituzioni regionali che hanno reso disponibili i preziosi reperti. Archeologia e paleopatologia, insomma, si affiancheranno per raccogliere una nuova sfida. Che non sarà soltanto un affascinante e articolato viaggio nel passato, ma anche una ricerca fondamentale per il presente e il futuro.

«Abbiamo già completato lo studio di due ampie necropoli – rileva il coordinatore siciliano dello studio paleopatologico, Dario Piombino-Mascali, che è anche docente di antropologia forense all’Ateneo di Messina – e stiamo per iniziare un’ulteriore missione insieme con vari dottorandi e giovani ricercatori estremamente competenti e motivati. Dopo aver schedato i materiali, i dati verranno elaborati attraverso un software specifico che permette di ottenere un indice di salute e valutare attraverso il tempo la presenza di stress biologico e di specifiche malattie tra i campioni in esame». L’analisi degli isotopi stabili da campioni ossei o dentari è una tecnica biogeochimica molto comune in archeologia. I rapporti di carbonio e azoto provenienti dagli individui in esame saranno utilizzati per ricostruire la loro dieta (alimentazione a base di prodotti animali o vegetali, consumo di carne o pesce), ma anche per identificare periodi di stress fisiologico nelle loro ossa, corroborando i risultati delle analisi paleopatologiche.

Accanto a ciò, i valori di ossigeno e stronzio saranno invece utili per determinare la provenienza geografica di alcuni di questi gruppi umani, che consentirà di identificare eventuali migrazioni sul territorio isolano.

«Si tratta di un progetto senza precedenti – dichiara Massimo Cultraro, archeologo e primo ricercatore dell’Istituto per i beni archeologici e monumentali di Catania – che ci permetterà di acquisire una banca dati e delle statistiche attraverso lo studio del materiale scheletrico proveniente da diversi contesti siciliani, dalla preistoria alle soglie dell’Età Moderna, senza limiti territoriali né culturali. Attraverso una mappatura di imponenti dimensioni, che a oggi costituisce un unicum, con analisi legate agli ambiti dell’antropologia biologica e della paleopatologia, sarà possibile rilevare l’insorgenza di alcune malattie, circoscriverle per aree geografiche e interpretarle attraverso il contesto ambientale».

I primi risultati di questo importante progetto multidisciplinare verranno presentati la prossima estate a Vilnius, durante il Congresso europeo di paleopatologia che si terrà dal 20 al 24 agosto all’Accademia delle Scienze.

Il progetto non si limita però a valutare le condizioni che afflissero le popolazioni antiche. «Infatti – sottolinea l’antropologo forense Nicholas Marquez-Grant dell’Università di Cranfield – stiamo procedendo anche a indagini chimiche minimamente invasive, attraverso lo studio degli isotopi stabili».

«Dobbiamo molto, in termini logistici – aggiunge Piombino-Mascali – agli studiosi di varie sedi di Siciliantica, che hanno contribuito alle diverse fasi di catalogazione, e spero che questa ricerca diventi un modo per coinvolgere giovani archeologi siciliani attraverso dottorati o borse di studio in un futuro abbastanza prossimo».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA