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Elena Piacenza: «In Italia la mia lotta hi-tech a infezioni»

Di Redazione |

Palermo – Biologia, chimica, nanomateriali e medicina si fondono nel progetto della giovane ricercatrice Elena Piacenza, una delle sei vincitrici dell’edizione italiana del Premio L’Oreal-Unesco «Per le Donne e la Scienza». E’ rientrata in Italia dal Canada per portare avanti qui la sua ricerca, come aveva sempre pensato di fare, e adesso potrà realizzare il suo progetto anche grazie alla borsa di studio di 20.000 euro frutto del premio. L’obiettivo è utilizzare composti a base di nanomateriali compatibili con i tessuti biologici per prevenire le infezioni che possono essere generate dagli impianti di protesi ortopediche . Tornata da un anno in Italia, all’università di Palermo, con una borsa di studio in scadenza questo mese, dopo il suo dottorato in Bionanotecnologie all’università canadese di Calgary, Elena Piacenza, 29 anni, è entusiasta di questa nuova possibilità di ricerca, che le permetterà di approfondire meglio l’aspetto chimico della sua formazione. «Formulerò dei nanocomposti a base di idrossiapatite, che è la componente principale delle ossa, usata di solito per rivestire gli impianti ortopedici, perchè favorisce la ricrescita dell’osso senza rigetto della protesi», spiega all’ANSA. Il passo successivo sarà inserirvi delle nanoparticelle di selenio, micronutriente essenziale per l’essere umano, dotato di un forte potere battericida, e due antibiotici specifici per due tra i batteri causa di molte infezioni ospedaliere e che hanno sviluppato molte resistenze ai farmaci, lo Staphylococcus aureus e lo Psedomonas aeruginosa.

L’obiettivo ultimo è creare dei nanocomposti che si possono iniettare o inserire in pellicole con cui rivestire le protesi, in modo da evitare contaminazioni una volta che vengono impiantate. «Lo studio durerà 10 mesi e i test verranno fatti in laboratorio su colture di ceppi patogeni. Si faranno anche delle prove di tossicità per vedere gli effetti sulle cellule umane», continua Piacenza. Quanto al suo futuro, una volta terminata la borsa, la ricercatrice è ottimista. «Qui all’università di Palermo c’è un parco macchine che non ha nulla da invidiare a quello che avevo in Canada. Ho voluto studiare all’estero, ma sempre con l’idea di tornare, per offrire le mie competenze al mio Paese. Vediamo – conclude – quali possibilità si apriranno. Io spero di poter rimanere qui».  COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA