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“Fear-food” a Natale: come disinnescare i cibi che fanno paura senza perdere la festa

Una guida pratica in 7 passi (più un esercizio) per affrontare pranzi, cene e brindisi quando si convive con un disturbo alimentare, con consigli verificati e numeri che aiutano a capire perché questo periodo non è “solo” gioia

Redazione La Sicilia

17 Dicembre 2025, 16:28

17:33

“Fear-food” a Natale: come disinnescare i cibi che fanno paura senza perdere la festa

Sulla tavola c’è una fetta di pandoro. Non enorme, non minuscola. Dentro chi ha un disturbo della nutrizione e dell’alimentazione si accende un allarme: battito che accelera, mente che calcola, corpo che tenta la fuga. Eppure è “solo” una fetta di dolce. È in questo cortocircuito che nascono i cosiddetti “fear-food”: alimenti che non sono pericolosi in sé, ma che diventano simboli capaci di attivare ansia, evitamento e senso di colpa. Durante le feste di Natale — tra pranzi, cene, aperitivi e biscotti ovunque — questo fenomeno può amplificarsi. Per rispondere a questa sfida, Adnkronos rilancia la guida in 7 step (più un esercizio) messa a punto da Lilac – Centro DCA, con il contributo della biologa nutrizionista Luna Pagnin e dello psicoterapeuta Giuseppe Magistrale: un percorso semplice, concreto, rispettoso dei tempi di ciascuno. Non una “cura” né una gara di forza, ma una serie di strumenti per ritrovare sicurezza e libertà nel piatto.

“Fear-food”: cosa sono davvero e perché fanno così paura

Con “fear-food” si indicano quegli alimenti o categorie di alimenti che, nelle persone con DCA, evocano un’ansia intensa e spingono all’evitamento rigido: dal pane alla pasta, dai dolci ai fritti, fino a piatti “misti” o con ingredienti non controllabili. Il punto non è la “bontà” nutrizionale del cibo, ma il suo valore simbolico: rappresenta — come ricorda Giuseppe Magistrale — la paura di perdere il controllo, il timore del giudizio altrui, il cambiamento del corpo. In altre parole: i fear-food non sono “nemici oggettivi”, sono etichette che il disturbo mette sul cibo.

A livello clinico, diverse realtà che si occupano di disturbi alimentari spiegano che i fear-food rientrano spesso in categorie “ad alto contenuto calorico” o “percepiti come proibiti”, ma possono variare molto da persona a persona e includere anche cibi perfettamente comuni. L’obiettivo del lavoro terapeutico, sottolineano le associazioni, non è “togliersi il pensiero” con l’eliminazione, ma ri‑apprendere una relazione non giudicante con il cibo.

Perché a Natale è più difficile

Le festività moltiplicano le occasioni in cui il cibo è protagonista. Le organizzazioni di riferimento — dalla britannica Beat (Eating Disorders Charity) al NHS — raccomandano di pianificare i momenti a tavola, ridurre le pressioni sociali, trattare i pasti delle feste con la massima routine, e spostare il focus su attività non alimentari appena finito di mangiare: giochi, film, passeggiate. Suggerimenti semplici che, se concordati in anticipo con la persona che soffre di DCA, possono fare la differenza e prevenire crisi d’ansia o episodi di perdita di controllo.

Numeri e contesto aiutano a capire quanto sia rilevante il problema. In Italia, secondo Istituto Superiore di Sanità (ISS), i centri specializzati mappati per i disturbi dell’alimentazione sono saliti a 214 nel 2025, segno di una domanda crescente di cura sul territorio. Stime diffuse da Ansa e dati richiamati dal Ministero della Salute parlano di oltre 3,5 milioni di persone coinvolte e di un incremento dei nuovi casi nel 2023 superiore a 1,6 milioni, con età media d’esordio intorno ai 17 anni.

La guida in 7 step: come avvicinarsi ai “fear-food” con gentilezza

La proposta di Lilac – Centro DCA nasce con un intento preciso: non impartire regole, ma fornire strumenti. “I fear-food non si superano forzandosi, ma imparando a restare accanto alle emozioni che evocano”, ricorda Luna Pagnin. Il percorso è personale e non lineare: conta la gentilezza verso sé stessi, la possibilità di chiedere aiuto, e il rispetto dei propri tempi.

Step 1. Crea la tua lista personale

Scrivi la tua lista di fear-food, dal meno al più difficile: ad esempio pane bianco, pasta al pesto, pizza, croissant, gelato. Trasformala in una “to‑do list di libertà”: ogni volta che affronti un cibo, spunta la voce e annota perché ti spaventa e come ti fa sentire prima, durante e dopo. Questo gesto di monitoraggio emotivo aiuta a rendere visibili i progressi e a distinguere la paura dalla realtà del vissuto.

Step 2. Abbina un “safe‑food”

Mangiare un fear-food insieme a un safe‑food — cioè un cibo che ti fa sentire al sicuro — può ridurre l’attivazione ansiosa. Esempi: pizza con verdure preferite, biscotti con yogurt, pasta al pesto con una porzione proteica (formaggio, pesce, carne). Come chiarisce Giuseppe Magistrale, l’obiettivo è normalizzare il cibo, non controllarlo: “nessun alimento è proibito, è l’etichetta che gli diamo a renderlo tale”.

Step 3. Prepara il contesto giusto

Scegli un contesto accogliente per affrontare un fear-food: casa, un bar tranquillo, la presenza di una persona di fiducia. Mangia lentamente, allenando i sensi — gusto, profumo, consistenza — e, soprattutto, restando presente a ciò che accade, senza fuggire dall’esperienza.

Step 4. Costruisci una routine prima‑durante‑dopo

Prima: una frase di forza (“sono pronta/o a fare spazio alla libertà”, “ogni boccone difficile diventerà semplice se me ne do l’occasione”). Durante: sposta l’attenzione sul respiro più che sul pensiero. Dopo: pratica una “decompressione gentile” — una passeggiata lenta, chiamare un’amica/o, ascoltare una canzone. Piccoli rituali ripetuti creano un ponte di sicurezza che, col tempo, riduce l’ansia anticipatoria.

Step 5. Razionalizza con le affermazioni

Scrivi post‑it e affermazioni da rileggere: “il cibo non è un pericolo, è un bisogno primario”, “posso nutrirmi senza meritare punizioni”, “la mia salute non si misura in calorie”. Questo materiale, preparato a mente fredda, torna utile quando i pensieri disfunzionali prendono la scena.

Step 6. Tecniche di “grounding” e gestione dell’ansia

Quando la paura sale, prova a respirare profondamente per 1 minuto e a cercare i punti di appoggio del corpo: glutei sulla sedia, piedi a terra, schiena allo schienale. Ricorda: l’ansia ha un picco e poi scende. Se la sfida è troppo grande da affrontare solə, riconoscerlo non è un fallimento ma un atto di cura: chiedere supporto professionale può essere il passo più potente.

Step 7. Celebra le conquiste

Tieni traccia di come ti sentivi prima/durante/dopo aver affrontato un fear-food e nota se la paura si riduce nel tempo. Ogni conquista merita celebrazione: una serata con chi ami, un libro, un piccolo gesto simbolico. Il rinforzo positivo alimenta la motivazione e rende più probabile la ripetizione del comportamento funzionale.

L’esercizio finale: il “diario della libertà”

Usando i passi precedenti, crea un diario con uno schema essenziale: data, fear‑food, emozione provata/frase di forza. Rileggendolo a distanza di settimane, vedrai la curva dell’ansia diventare meno ripida, le note più misurate, la lista più corta. È un modo concreto per “misurare” la libertà che cresce.

Dati in crescita, aiuto in espansione: cosa sta succedendo in Italia

La domanda di cura è aumentata negli ultimi anni, specie tra adolescenti e giovani adulti. Nel 2025 l’ISS ha aggiornato a 214 la mappatura delle strutture tra centri pubblici, privato accreditato e associazioni dedicate ai DCA, +34 rispetto a ottobre 2024. È un segnale di risposta istituzionale a un problema che, secondo dati citati da Ansa e dalla Società Italiana di Farmacologia, coinvolge oltre 3,5 milioni di persone, con 1,68 milioni di nuovi casi registrati nel 2023. Questi numeri non descrivono “mode”, ma un’urgenza di salute pubblica e una richiesta di presa in carico multidisciplinare e continuativa.

Accanto ai servizi del Servizio Sanitario Nazionale, realtà come Lilac – Centro DCA hanno sperimentato modelli integrati in presenza e online, con équipe multidisciplinari — psicoterapeuti, dietiste, medici — che seguono le linee guida nazionali e internazionali (Ministero della Salute, ISS, APA, NICE). L’obiettivo non è prescrivere “diete”, ma ricostruire nel tempo una relazione funzionale con cibo e corpo, anche attraverso strumenti digitali.