la storia
Ojmjakon, il villaggio di ghiaccio: come si sopravvive a -50° C tra renne, slitte e tubature che scoppiano
Ojmjakon, il polo del freddo del nord dove è stato registrato il record di -71,2°C e che d'estate "soffre" anche a +30°C: le storie di resilienza, tradizioni, turismo estremo e un permafrost che si sta sciogliendo
Immaginate un luogo in cui il freddo non è soltanto un dato meteorologico, ma un’entità quasi animata: un drago siberiano che graffia la terra e cristallizza il respiro. È Ojmjakon, il “polo del freddo del Nord”, minuscolo villaggio di circa 800 abitanti incastonato nell’immensità ghiacciata della Jacuzia, dove il 26 gennaio 1926 il termometro sfiorò i leggendari -71,2 °C.
Qui, nell’emisfero boreale, la natura ingaggia con l’uomo un confronto perenne; chi resiste porta con sé storie degne di un romanzo di Jack London. Per raggiungerlo si parte da Yakutsk, capitale gelata della regione.
La strada—se così si può chiamare—è un nastro di ghiaccio solcato talvolta da renne nomadi e da vortici di neve che si inseguono come spiriti irrequieti. Dopo due giorni tra buche e bufere appare Ojmjakon, adagiato sulle rive dell’Indigirka e cinto da colline di permafrost.
Il toponimo, nella lingua even, significa “acque che non ghiacciano mai”: paradosso reso possibile da sorgenti termali sotterranee che, d’estate, spingono il mercurio fino a +30 °C trasformando per qualche settimana questo regno bianco in un’oasi effimera.
La voce del cacciatore: Nikolai, 62 anni
Sulla soglia della sua izba fumante accoglie Nikolai, cacciatore dai baffi brinati e dalle mani dure come corteccia. “Il freddo? È il nostro maestro crudele”, dice, mentre versa vodka in bicchieri scheggiati. “A -50 °C, il fucile si blocca, le renne si stancano, ma noi no. Mio nonno vide i -71 gradi: il cane si congelò in piedi, la barba un ghiacciolo. Oggi caccio cavallo polare – la carne si conserva da sola nelle nostre cantine naturali. Ma il permafrost si scioglie, eh? Case che pendono, antichi virus che escono dalla terra. Il clima cambia, e noi con lui”.
L’inverno qui regna per nove mesi, sovrano severo con medie tra -30 °C e -50 °C. Quando sorge, il sole è un disco pallido che illumina per quattro ore appena. L’aria è così satura di gelo da produrre una “nebbia congelante”: microscopici cristalli che si posano su ciglia, baffi e pellicce come uno zucchero a velo letale. Tubature? Impossibili: si ghiaccerebbero in pochi minuti. Le latrine restano all’aperto, un rito rapido sotto un cielo trapunto di stelle che sembra a portata di mano.
La lezione della maestra: Olga, 38 anni
Alla scuola del villaggio, Olga—insegnante e madre di tre figli—accoglie in aule scaldate da stufe. “Chiudiamo solo sotto i -52 °C, per legge”, spiega. “I bambini corrono fuori come cuccioli di lupo: a -40 °C giocano a palle di neve che non si sciolgono mai. Insegniamo matematica con il ghiaccio: misuriamo quanto dura un respiro trasformato in nuvola. Ma la tecnologia tradisce: i tablet muoiono, le lezioni diventano storie orali. Qui impari la vita vera: il freddo insegna pazienza, il sole estivo gratitudine”.
La quotidianità è un esercizio di resilienza. L’economia ruota attorno alla caccia e all’allevamento delle renne; un solo negozio rifornisce di vodka—“il nostro tè russo”—e conserve arrivate da Mosca. Muoversi all’esterno richiede calcolo e disciplina: partenze rapide, volti avvolti, mani nascoste nelle maniche.
Lo sguardo del turista estremo: Alexei, 45 anni
Alexei, ex minatore diventato guida per occidentali in cerca di brividi, accompagna i visitatori al monumento del record: un obelisco che sfida le raffiche. “Venite per Instagram, ma fuggite dopo un giorno”, sogghigna. “Turisti congelano le lenti delle macchine fotografiche, io vi do slitte trainate da renne. Concorriamo con Verkhoyansk per il titolo di posto abitato più freddo – Yakutsk è un tiepido -63 °C rispetto ai nostri picchi. Ma attenzione: il turismo porta soldi, però il ghiaccio si assottiglia. L’estate? +30 °C, zanzare grosse come uccelli. Ojmjakon è bipolare: inferno e paradiso”.
Ojmjakon non è solo privazione: è un’epica umana, seconda soltanto alla base antartica Vostok (-89,2 °C, disabitata). Gli anziani tramandano leggende di esploratori pietrificati dal gelo, mentre video su YouTube attirano nuove ondate di curiosi. Intanto il cambiamento climatico bussa alla porta: il permafrost cede, le case perdono stabilità. In questo villaggio al confine con l’impossibile, l’uomo continua a misurarsi con la morsa del gelo, adattandosi, giorno dopo giorno, al respiro del drago siberiano.