Notizie Locali


SEZIONI
Catania 23°

Archivio

Patto della polpetta (avvelenata) Pd, la moratoria sulle “pierinate”

Di Mario Barresi |

L’ultima istantanea è Matteo Renzi, in maniche di camicia, che chiama alle armi tutto il popolo dem sul sì al referendum. Negli smartphone dei deputati siciliani resta lo scatto di lui che, in un incontro-lampo, motiva lo “spogliatoio”. «Ci sono, sarò con voi», risponde Renzi all’appello del segretario regionale Fausto Raciti sull’impegno diretto per le future scadenze elettorali: dalle Amministrative (Palermo, ma non soltanto) alle Regionali del 2017. «Basta polemiche – aveva detto Renzi nell’intervista al nostro giornale – la Sicilia riparta dalle soluzioni». Parole più da premier che da segretario di partito, ma il messaggio è chiaro: lui, adesso, vuole metterci la faccia. E non soltanto perché l’Isola, secondo alcuni sondaggi, è una delle regioni-chiave per l’esito del referendum. «Vi do una mano, ma più per le Regionali che per le Amministrative, dove io porto sfiga», avrebbe detto – fra il serio e il faceto – ad Angelino Alfano durante la colazione al golf resort di Sciacca. La sera prima, Renzi aveva incontrato ad Agrigento i deputati regionali di Ncd, mettendo la ceralacca sul loro ruolo all’Ars. «Noi in Sicilia siamo un partito del 15 per cento – calcola il leader isolano Giuseppe Castiglione – e avremo la forza di esprimere un nostro candidato governatore».

In una Regione dove già c’è quel premio di coalizione agognato dagli alfaniani a Roma. Vi risparmiamo la solfa della Sicilia “laboratorio politico nazionale”, ma è chiaro che il tema è sul tavolo. Allora il matrimonio, anche senza essere «promessi sposi di nessuno», si farà lo stesso? «Mi limito a registrare il rafforzamento di un rapporto politico col segretario Raciti e con tanti altri amici del Pd», chiosa il sottosegretario di Bronte.

Una pace. Anzi: una tregua. Più o meno armata. Più o meno incollata con la saliva. Il “Pd che dice sì”, nell’Isola, deve dire sì anche a questo patto. Che, in assenza di cibarie e bevande nell’area autorità, potremmo ribattezzare il Patto della Polpetta, in omaggio all’intensità dell’odore promanato dalla vicina griglia con specialità equine catanesi.

Raciti si fa garante – e anche un po’ badante – di questo patto. Rivendicando «l’eredità che ci lascia la Festa dell’Unità di Catania», ovvero «un partito un po’ più unito, meno attendista e con più spirito di protagonismo». Merito di quella che il segretario regionale definisce la «disintermediazione del rapporto con Roma» (tradotto: con Renzi, ora, possiamo parlare senza interposta persona), ma anche a una «nuova consapevolezza, che, al di là delle differenze reciproche, conviene a tutti evitare pierinate».

E c’è chi va anche oltre. «La compattezza nel Pd – ragiona a voce alta Enzo Bianco – va ulteriormente rafforzata alla luce delle scelte di Renzi, che ha voluto la festa a Catania e che ci sosterrà mettendoci la faccia». Il sindaco di Catania (che, se dovesse correre da aspirante governatore, dovrebbe dimettersi da Palazzo degli Elefanti a fine aprile) sostiene che «per le scelte sulle persone e per le prove di forza ci sarà tempo». Bianco, però, aggiunge un consiglio: «Questo spirito unitario dev’essere esteso agli alleati, quelli che lo sono e quelli che dovrebbero esserlo». Un riferimento, quest’ultimo, a Leoluca Orlando, con cui «dobbiamo trovare un’intesa per le elezioni a Palermo».

Tutto molto bello. E saggio. Ma il paradosso è che il Pd siciliano – col referendum a dicembre e poi il Natale, quando bisogna essere tutti più buoni – si possa risvegliare da un lungo letargo soltanto all’alba del 2017. Ad appena dieci mesi dal voto. Con i grillini già lanciati come cavallette verso Palazzo d’Orléans. E con Rosario Crocetta presidente uscente, auto-ricandidato col “modello Nardella”, senza cioè le primarie invocate da Davide Faraone, ormai in corsa da aspirante governatore. «Io le mie primarie – rivendica il governatore – le ho vinte, dando la Regione al centrosinistra per la prima volta». Da quest’ultima settimana, in effetti, Crocetta esce rafforzato. «Ad Agrigento e a Catania – racconta un big del Pd – era fiero ed emozionato. Rosario, con Palazzo Chigi, non soffre più della sindrome del brutto anatroccolo». Sentiment confermato da un’altra eminenza grigia dem. Che però sibila: «Magari Crocetta, se lo facciamo sentire più amato, accetterà meglio il suo destino, cioè farsi da parte».

E Faraone? «Le primarie se le faccia lui da solo», gli ha vomitato, alla Festa, Crocetta. E lui, il sottosegretario, muto. Ma è tutt’altro che mutismo e rassegnazione. Per ora, loda «la massima determinazione con cui il governo nazionale dà risposte alla Sicilia». Punto e basta. Ma dal suo entourage filtra il solito mantra: la «necessità di discontinuità» al governo regionale tanto quanto alla guida del Pd siciliano. «Davide non è uomo di pace», confermano i suoi. Eppure – oltre a uno ius primae noctis leopoldino con Matteo – Faraone rivendica di essere stato decisivo, turandosi il naso con Crocetta e con Raciti, in almeno tre risultati tangibili: la legge elettorale “ammazza-grillini” per i Comuni all’Ars, la fronda dei sindaci pd contro Orlando all’Anci e il “combinato disposto” Festa dell’Unità-Patto per la Sicilia all’insegna del profilo istituzionale. E tutto ciò «a prescindere» da Crocetta e da Bianco.

I fronti aperti, nel partito, non mancano. Lo scontro sui rifiuti: l’assessora faraoniana Vania Contrafatto è tutt’altro che rassegnata a essere partner sottomessa nella «coppia di fatto» evocata da Crocetta. E poi ci sono almeno altri tre nodi da sciogliere. Il più urgente è la voglia matta di Luca Sammartino, bancomat di voti per Faraone a Catania e non solo, di uscire dalla maggioranza di Bianco. Inoltre, prima della trattativa con l’assessore Alessandro Baccei per una «finanziaria più umana» (leggasi più pre-elettorale), invocata da molti nel Pd, c’è soprattutto lo scoglio della sanità. Con l’assessore Baldo Gucciardi assediato, ieri fino a tarda serata, dai deputati del gruppo all’Ars sul nuovo piano ospedaliero. Mal di pancia alimentati, oltre che da istanze territoriali, dal risiko di reparti, primari e medici. «Baldo, non puoi fare tutto da solo senza coinvolgere il partito».

E se Crocettainvoca un «chiarimento urgente» con l’assessore faraoniano, dalla commissione Sanità all’Ars, presieduta dal pasionario Pippo Digiacomo, arriva un sms chiaro: «Senza concertazione, a Gucciardi, gli bocciamo tutto!».

E infine le altre foto, quelle da cancellare dalla sim-card della Festa a Catania. Il cui successo politico, non essendo un concerto rock, non si misura soltanto con il numero di presenti. Ma è chiaro che i vuoti – in platea e in giro – ci sono stati. Talvolta imbarazzati e imbarazzanti. Formula sbagliata? Clima balneare? O, piuttosto, disaffezione alla politica, al Pd e in particolare al Pd siciliano e catanese? I politologi da Bar dello Sport potranno disquisire a lungo. Villa Bellini, comunque, ci racconta di un partito dilaniato da una guerra di bande. Con la transumanza di centinaia di presenti, che “dovevano” essere lì per questo o per quell’altro capobastone.

E che, appena firmata la presenza nel registro, scappavano alla velocità della luce. Per non rischiare di affollare, incidentalmente, anche l’evento evento del ministro del capobastone avversario. Oppure gli esponenti della Cgil, schierata per il no referendario, costretti, per kamasutrici equilibri interni, a fare massa (non critica, ma massa e basta) nel parterre dei dibattiti – senza dibattito – per il sì. Questo è il “lato B” della Festa a Catania. Un partito che prova a stare unito, ma che è tanto disunito da aver perso l’anima. Ed è stata questa l’assenza più visibile, a Catania.

L’anima. Che non si ritrova sotto il tappeto, laddove c’è la polvere da nascondere per i prossimi mesi. Né col Patto della Polpetta. Che, per antonomasia, può essere avvelenata. E magari, trattandosi di tritato equino tipico catanese, c’è un rischio ben più grosso. Ovvero: che la polpetta sia dopata.

Twitter: @MarioBarresi

COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA