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La gimkana dei cicloturisti fra i rifiuti della Sicilia del Sud Est foto

Di Carmen Greco |

CATANIA. Pagano fra i 6 e gli 8mila dollari a testa per un viaggio “attivo” in Sicilia. In bici, a piedi, in kajak, sono turisti americani (ma anche canadesi e brasiliani) di alto target, dormono in resort spettacolari anche da 1.000 euro a notte, visitano cantine e caseifici, musei rurali e mulini ad acqua, seguono corsi di cucina e fanno quelle “esperienze” che oggi vanno tanto di moda nel mondo del turismo da retroinnovazione. Ma, fra queste, farebbero volentieri a meno dell’”esperienza” della spazzatura che incontrano per strada durante i loro tour.

Cumuli di rifiuti, materassi e frigoriferi abbandonati nelle vie secondarie, nelle stradine rurali, nelle riserve naturali, tutti luoghi da percorrere in bici. E qualcuno, dopo aver visto strade piene di rifiuti senza soluzione di continuità, benché folgorato da arancini e barocco, in Sicilia decide di non mettere più piede.

Alessandro Casuccio è catanese e da cinque anni accompagna questi turisti come Operations Expert della zona Orientale della Sicilia per “Backroads”, tra i dieci tour operator al top nel mondo . «Mi ritrovo sempre più spesso a dover studiare degli itinerari non in base alle bellezze da visitare – racconta – ma in base alle discariche da evitare. Volevo passare da Vizzini, ho dovuto fare una settimana di lavoro in più per tracciare un nuovo percorso che allungava il tour in bici di tre km, proprio per evitare loro la visione delle montagne di rifiuti».

Questo genere di turisti è “altospendente” – termine bruttissimo per indicare chi non guarda al portafogli – e altrettanto alto pretende che sia il livello dei servizi. Se non viene loro garantito, vanno altrove. «Il punto – continua Casuccio – è che noi possiamo garantire i servizi, ma non la pulizia delle strade. Finisce che la sera, a cena, invece di parlare di parchi archeologici, di tramonti, di Greci e Romani, quello che tiene banco sono le domande sul perché i siciliani buttino la spazzatura per strada. Noi cerchiamo di “canonizzarli” sulle aspettative, diciamo loro che – su certe cose – si ritroveranno come negli Anni Sessanta e questo lo apprezzano, ma la spazzatura per la strada non la capiscono, pensano di trovarsi in un paese che su queste cose “basic” ha già trovato una soluzione da tempo, non di fare un giro in bici e trovare divani, frigoriferi e materiale di ogni genere mentre pedalano».

La cosa più difficile è cercare di dare delle risposte. «Le spiegazioni – aggiunge Casuccio – ad un certo punto vengono a mancare. Hai voglia a dire che “sta cambiando il sistema di raccolta”, che “siamo in una fase di transizione”… Arriva un momento in cui non puoi far altro che allargare le braccia. Quando uno ti dice “a noi sembra che sia questa la vostra cultura”, cosa rispondi? Loro ti guardano e ti dicono “Vabbé, lascia stare, ho capito…”», ed io mastico amaro, come tour operator e come siciliano».

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Il problema della spazzatura purtroppo va crescendo di stagione in stagione. «La settimana scorsa – si sfoga – ho colto la conversazione fra due turisti americani sull’argomento. Uno si lamentava con l’altro proprio della spazzatura in giro e quello gli rispondeva “Mah, sai dopo quattro giorni non ci faccio più caso, si vede che i siciliani fanno così, buttano la spazzatura per strada”».

Il rischio più grave per il comparto turistico siciliano, non sarebbe tanto (ed è già grave) la perdita economica, quanto proprio questa “abitudine al degrado”, anche per i turisti. Lo hanno capito albergatori ed organizzatori dei tour che, per qualche tempo, hanno provveduto a sgomberare dai rifiuti le strade d’accesso alle strutture ricettive, ma è un lavoro immane che andrebbe fatto tutti i giorni (e che a loro non spetterebbe). «Quelli sono stati gli unici momenti in cui ho notato qualche miglioramento – ricorda Casuccio – i dipendenti degli hotel sono andati a pulire le strade, altrimenti ci sarebbero stati metri e metri di spazzatura, ma da quando sono stati eliminati i cassonetti non abbiamo più saputo dove gettarla e tutto si è arenato lì».

Oggi, nelle zone più belle della Sicilia orientale non si salva nessuno, la riserva del Plemmirio (Siracusa), la provincia di Ragusa, buona parte della provincia di Catania, per non parlare delle discariche sull’Etna. «Una cliente ha scritto in un commento che non vorrà più venire in Italia se le condizioni delle strade saranno queste», sottolinea la guida.

C’è un limite al “fascino del primitivo”, anche per gli americani. Passi il wifi che non funziona bene perchè l’hotel si trova in un palazzo del 1400 con i muri spessi un metro, passino le cene siciliane che per gli americani durano troppo. Le guide di Backroads, si affidano al termine “flessibilità” per cancellare l’idea del siciliano “lazy” (pigro), ma sulla spazzatura c’è poco da essere flessibili. Tutto questo quando, paradossalmente, i turisti sono in aumento. «Sarebbe un peccato se dovessimo chiudere il tour per i feedback negativi – fa gli scongiuri Casuccio -, ne risentirebbe anche l’economia del territorio. Noi lavoriamo con guide locali, piccole trattorie, i produttori agricoli, artigiani ceramisti, bar, insegnanti di “gestualità” siciliana, cuoche, sarebbe un danno enorme per noi ma anche per loro. Se i luoghi degradati fossero uno o due, si potrebbe raccontare il fenomeno “munnizza” come caso isolato, ma quando i nostri clienti vedono la signora che esce dal supermercato e getta per terra lo scontrino o il tizio che apre il pacchetto di sigarette e butta per terra la plastica, si convincono che da noi si fa così, ed il ragionamento, purtroppo, ci sta tutto».

Twitter: @carmengreco612

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