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Etna mania: tutto il mondo guarda il vino del vulcano

Di Ombretta Grasso |

«L’Etna doc tira da matti. Si respira bellezza, voglia di fare. Adoro il Sud che non si lamenta, quelli che pensano di aver avuto un culo pazzesco a essere nati in uno tra i posti più belli del mondo», sintetizza Oscar Farinetti, l’inventore di Eataly, mentre si aggira tra gli stand.

«Una importante critica inglese veniva a trovarmi sull’Etna e mi ha chiesto gli indirizzi di altri produttori, io li ho invitati nella mia cantina ed è cominciato tutto. L’interesse c’era già» racconta ora Franchetti, romano, una cantina, Tenuta Trinoro, in Toscana, e Passopisciaro sull’Etna, una storia da romanzo: casato antico, bisnonno che fa di Ca’ d’oro a Venezia un museo privato, donato alla città, tra gli avi quel Leopoldo che con Sonnino scrive un’inchiesta sulla Sicilia nel 1876, nonno alpinista, madre americana, filosofia del vino appresa a Bordeaux.

«Ora tutto il mondo del vino guarda l’Etna – prosegue – una cosa impressionante, tutti ne parlano e vogliono venire qui. Nessuno capisce bene perché abbia successo fino a questo punto, non si può spiegare tutto. La magia è quella che conta». L’Etna è un “brand” conosciuto, il paesaggio è indimenticabile, il vino potente. “Contrade dell’Etna” – «il nome nasce dal fatto che le uve si compravano a contrade, diverse per qualità, sono i cru dell’Etna» – è nato per far incontrare i produttori, per costruire una rete, confrontare esperienze. «C’era un vino di tale novità che nessuno sapeva che direzione prendere, quale fosse lo stile, così i produttori assaggiano i vini degli altri, si parlano».

Nel frattempo le cantine aumentano e la manifestazione diventa un Vinitaly all’ombra della montagna. Si assaggia il vino del 2016, non ancora in bottiglia. Molti produttori organizzano pranzi nelle loro tenute con agenti e distributori soprattutto stranieri. «Ci sono stati molti investimenti. Credo che in nessun altro territorio ci sia qualcosa di simile a quello che è accaduto qui, in uno spicchio dell’Etna. Ci sono produttori minuscoli, piccoli, medi e grossissimi. C’è tutto, come in ogni regione importante del vino». Una moda? « C’è un fascino enorme, la qualità va chiesta ai singoli bicchieri di vino». Franchetti arriva in Sicilia nel 2000 in vacanza. «E di botto trovo freddo, 15 gradi in meno e il paesaggio si riempie di vigneti. Non mi sarei fermato qui se non avessi trovato grande qualità. L’Etna doc è simile al nebbiolo, ma non c’è in nessun posto un vulcanico così, è unico. E’ la bellezza a rendere buono il vino». Cosa manca? «Magari una seconda doc per quei terreni più in alto, importanti». Il vino come traino per il turismo? «In Sicilia negli ultimi due anni il turismo è molto aumentato, il vino è qualcosa in più da aggiungere, anche questo è un movimento in crescita».

Più che un Vinitaly, Farinetti suggerisce un confronto con il Winefestival di Merano. «Ma quello che apprezzo è lo stile socialdemocratico – dice – tutti gli stand con la stessa immagine, gli stessi spazi, viaggiano insieme e poi se la battono con il vino. Mi piace l’idea dei produttori che si assaggiano l’un l’altro. Un romano che organizza, enologi da Piemonte e Toscana, mi sembra una bella squadra. Vedo la Sicilia in forma, basta lamentarsi, dovete essere voi a farcela».

Per farcela bisogna crederci. «Dobbiamo essere coscienti di quello che abbiamo – aggiunge Giuseppe Mannino presidente del Consorzio Doc Etna – Il settore si amplia e potrebbe farlo ancora di più migliorando le infrastrutture, quando c’è maltempo, ad esempio, manca la luce…». Per crescere si reimpiantano vigneti, anche con l’aiuto dei fondi europei. «Stiamo lavorando con il Parco dell’Etna per quelli dove c’erano terrazzamenti». Gli enoturisti rischiano di trovare cantine chiuse e poche segnalazioni. «Spesso sono piccole strutture, fanno fatica a stare sempre aperte – replica Mannino – per il turismo è importante mantenere integro il paesaggio, far trovare case intonacate, strade pulite». Sarà una moda come è stato il Nero d’Avola? «Penso sia un percorso duraturo ed è importante far crescere il valore dell’uva. Benanti è stato il primo a far conoscere l’Etna nei contesti internazionali, un processo ancora in cammino. Facciamo vino da più di duemila anni».

Sull’Etna ci sono 250 produttori di uve e si producono due milioni di bottiglie. «Un balzo notevole – spiega Bianca Conversi, direttore del consorzio Etna Doc – il disciplinare prevede che tutto il percorso produttivo avvenga sull’Etna». Ci sono piccole aziende familiari che hanno ereditato la vigna, elenca, le grosse cantine, gli imprenditori che producono per passione e quelli che si sono innamorati del vino dell’Etna e che dal Belgio o dal Giappone hanno deciso di produrre qui. Come aiutare il turismo del vino? «Magari con un calendario di eventi che riunisca appuntamenti comuni e singole iniziative».

«È la prima volta che vengo sull’Etna, sono senza parole – commenta Prisca Boffa , da vent’anni a Oslo, manager di un grande importatore norvegese – Conoscevo già i vini dell’Etna, scoperti con la cantina Al-Cantara, e penso che siano molto cresciuti. Credo che si debbano portare all’estero ancora di più. Questo è un territorio unico con un potenziale enorme».

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