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Catania, Enrico Trantino e la rivincita dell’eterno “Quasi” che ora tutti vogliono sindaco

Meloniano prima di tutti gli altri, già mancato deputato, candidato sindaco e vice. Il rapporto col mito del padre Enzo. Il gelo con Musumeci

Di Mario Barresi |

Una foto sfocata e due righe d’annuncio. «Enrico Trantino, colonna storica della destra siciliana, aderisce a Fratelli d’Italia-Alleanza nazionale». È datato 15 maggio 2014 il post di Giorgia Meloni. Poco dopo, alle Europee, il «partitino del 2-3 per cento» (cit.) in effetti totalizzerà il 3,67%.

Trantino era già lì. Perché è lì da una vita. Sempre in fondo a destra. Come la toilette al ristorante: una sicurezza, con lui non si sbaglia mai. Eppure nella carriera politica del figlio di Enzo Trantino (padre nobile della droit etnea, quella più di salotto che di piazza), finora non erano stati sufficienti i suoi principi sacri – la coerenza delle idee, la fedeltà a un simbolo, il senso d’appartenenza a una comunità – per avere ciò che altri, arrivati dopo, hanno avuto con molta meno fatica.

E perché non pensarci prima?

Chiunque, con alle spalle quasi due lustri di militanza meloniana e uno standing familiare e personale così di prestigio, oggi sarebbe ministro. O vicecapogruppo alla Camera, quanto meno senatore. Invece lui no. Un po’ per delle strane congiunture politico-astrali, un po’ per un eccesso di fiducia nelle persone sbagliate, un po’ per quel caratteraccio, orgoglioso e poco incline al compromesso, che si ritrova. Prima di essere scoperto all’improvviso da tutto il centrodestra – nazionale, regionale, catanese – come candidato unitario «di altissimo profilo» (ma se lo è perché non lo indicavano subito, anziché aspettare che quel diavolo d’un Ignazio La Russa lo tirasse fuori per sedare la faida interna in FdI?), Trantino è stato, suo malgrado, vittima della maledizione dell’eterno “quasi”.

Da sempre in procinto di…

In politica è stato in procinto di essere quasi tutto. Quasi assessore regionale, dopo il trionfo di Nello Musumeci alle Regionali del 2017, invocato a gran voce come «giovane più anziano» del “Pizzo Magico”: ma il governatore punta sul delfino Ruggero Razza. Il suo fratellino minore, accolto in studio come collega e poi socio, di cui Trantino suole dire: «Lui non ha cuore, ma ha due cervelli».

La delusione più cocente – quasi deputato nazionale – arriverà l’anno dopo. Quando, rimasto dirigente nazionale del partito pur da fondatore di DiventeràBellissima, al momento delle liste per le Politiche, la leader gli fa spallucce: «Enrico, mi dispiace: ti considerano troppo schiacciato su Nello». Ma dalle stesse urne Raffaele Stancanelli, all’epoca diversamente musumeciano, esce senatore.

Nella primavera di quel 2018 Trantino è anche quasi candidato sindaco di Catania. Meloni propone il suo nome agli alleati: ma non se ne fa nulla, prevale l’allora forzista Salvo Pogliese, che poi tornerà nel grembo di Giorgia. L’ex ragazzina conosciuta ai campi estivi del Fronte, che Enrico, consigliere di facoltà a Giurisprudenza, non frequenta mai con assiduità, pur garantendo patrocinio gratuito ai baby-“camerati” pizzicati ad affiggere manifesti abusivi. E poi, già nella campagna elettorale di 5 anni fa, Trantino è anche quasi vicesindaco: gli alleati si aspettano la sua indicazione, ma il leader di DiventeràBellissima punta su Roberto Bonaccorsi. Ed è inoltre quasi assessore, visto che non entra in prima battuta, fino a novembre 2019. Dopo che, grazie al recepimento di una norma nazionale all’Ars («L’unica cosa buona che ha fatto Miccichè per Catania», ironizzerà Pogliese), i posti in giunta salgono da 8 a 10.

L’esperienza da assessore

Il gran ritorno a Palazzo degli Elefanti, dopo l’esperienza da giovanissimo consigliere del Msi eletto nel 1988. Deleghe ai Lavori pubblici, Decoro urbano, Contenzioso e Rapporti con l’Università, poi anche l’Urbanistica. Musumeci prova a imporlo come vice. Ma resta sempre quel quasi: Pogliese stavolta resiste. I colleghi descrivono Trantino «molto puntiglioso e sempre preparato», ma c’è chi, con una certa malizia, sostiene che «non è il massimo del dinamismo». Niente moine, un pizzico snob, detesta il populismo. Come quella volta davanti agli sgomenti abitanti del Villaggio Goretti, la “laguna” etnea a ogni pioggia, che dall’assessore si sentono dire: «Qui, prima o poi, bisogna abbattere tutto». Non abbandona mai la nave, neppure nei periodi più tempestosi, ma il cuore del sindaco batte più forte per i colleghi Barbara Mirabella (candidata all’Ars con FdI, difesa da Trantino dopo l’arresto in piena campagna elettorale) e Sergio Parisi, sostenuto fino all’ultimo come suo erede.

L’ultimo no e il gelo con Nello

L’estate scorsa Trantino è ancora una volta quasi parlamentare. Stavolta gli spetterebbe davvero. Per le rinunce pregresse, ma anche per lo scenario più favorevole di cinque anni prima: Meloni, lanciata verso Palazzo Chigi, ha srotolato il tappeto rosso per accogliere il figliol prodigo Musumeci nel partito. «Ora tocca a Enrico», sostiene chi è certo che ci sia almeno un altro scranno oltre a quello riservato al governatore uscente. E invece no: dapprima scartato perché troppo musumeciano, ora tagliato fuori dal leader che balla da solo. «Noi siamo abituati al sacrificio: è il momento che ognuno faccia la sua corsa», la spiegazione del futuro ministro al quasi candidato.

Da lì in poi cala il freddo (che diventa gelo quando Musumeci punta su Razza per Catania) su un rapporto lungo decenni. Nato dalla venerazione del giovane missino di Militello per il maestro politico Enzo, mai in fondo divenuta stima autentica per Enrico. E c’è chi, nell’ex staff di Palazzo d’Orléans, è pronto a testimoniare sotto giuramento di averlo sentito etichettare, in uno dei rilassati caminetti di fine serata, come «’u figghiu babbu».

Il padre Enzo e il rito edipico

E dire che il rito edipico – una darwininana necessità di sopravvivenza, per chi ha un genitore “mastro”, principe del foro e campione d’oratoria, monarchico fondatore del Msi, parlamentare dal 1972 al 2006 – lui l’ha consumato da tempo. «Non ha mai preteso di imitare il padre: ha avuto l’intelligenza – raccontano i colleghi – di crearsi uno stile totalmente diverso, tutto suo». Asciuttezza nelle arringhe, approccio da «chirurgo del processo». Con un amore per la procedura americana: da neolaureato, quando ancora accarezza pure l’idea di una carriera universitaria, Trantino Jr. va ad assistere alle deposizioni in aula di Tommaso Buscetta in Usa. Del resto, ricordano, «padroneggia l’inglese». Sin da giovane, quando, nel viaggio post maturità, torna a casa da Londra alla guida di un taxi. Un souvenir della City.

Ironico, pungente, sempre con la battuta pronta: a Catania è da tempo un maître à penser di Facebook, apprezzato anche a sinistra per l’onestà intellettuale. Tanto disincantato sui social, quanto rigoroso sul lavoro: ha svezzato un paio di generazioni da chioccia accudente, ma è implacabile con chi sgarra sui fascicoli. Anche nella scelta di carattere e spaziatura. Già presidente della Camera penale, Trantino è ritenuto un ipergarantista. Senza timori reverenziali nei confronti dei magistrati, per i quali auspica da tempo la separazione delle carriere. «Non capisco perché siete tutti contrari, ma poi qualcuno di voi cambia idea solo dopo che ha preso il Tfr…», il colpo di fioretto alla toga Mariano Sciacca in un recente convegno, col viceministro della Giustizia, Francesco Paolo Sisto, ad applaudirlo.

La famiglia oasi inviolabile

Pignolo e meticoloso Trantino lo è anche in quella che considera la sua oasi inviolabile: la famiglia. La moglie Tiziana Aloisio (brillante collega, sposata dopo il divorzio da Carla Ciancio) e i figli Vincenzo, Francesca e Alessandro. Ottimo chef, s’è fatto costruire la cucina a sua immagine e somiglianza. Sperimentatore di ricette gourmet, ha il cruccio di non saper fare la pasta al forno col sugo a lentissima cottura che preparava la madre, l’adorata Gemma, anche se si rifà con barbecue da professionista. «Misura anche la temperatura a seconda del tipo di carne», raccontano. E poi il rugby: atleta del San Gregorio, s’è forgiato col gioco di squadra. «Eppure nelle mischie più furibonde lui usava la tattica politica: non si sa come, ma nun pigghiava mai coppa…», ricordano i suoi ex compagni di squadra. Tifoso del Milan, ma da sempre frequentatore rossazzurro del Cibali, Trantino si sente anche un discreto calciatore. «Ma questo lo pensa solo lui…», ironizza un amico.

Forrest Gump meloniano

Allora la disciplina che forse lo racconta meglio è l’ultimo amore sportivo: la maratona. Cominciata di recente, quasi da terapia scacciapensieri, ora parte della sua vita. Spesso racconta l’emozione di New York. «Ti sembra di essere solo e di non farcela più, poi spunti all’improvviso a Manhattan e trovi tutta quella gente che ti acclama». Che, a pensarci bene, è ciò che gli è successo da candidato sindaco del centrodestra a Catania. Magari avrà pure cominciato a correre in silenzio, da Forrest Gump meloniano, senza che nessuno se ne accorgesse. Ma alla fine ha tagliato il traguardo. Con un passo da autentico keniota. E ha vinto lui.

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