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L'inchiesta
Mafia e tatuaggi, il nuovo codice: dalle bandiere alle labbra rosse
Simboli violenti sul corpo: la “moda” usata anche dai giovani boss siciliani
«Se l’amore è l’enigma della vita grazie a te l’ho risolto. Il Principe». Questa è la frase tatuata in mezzo a una bandiera a stelle e strisce sulla schiena di un catanese arrestato ormai diversi anni fa in un’operazione antimafia. Il riferimento è legato a Sebastiano Lo Giudice, ‘u carateddu’, da oltre 15 anni dietro le sbarre e al 41bis. Sono molti gli affiliati ai clan dei Carateddi che per ostentare da che parte della barricata stanno hanno deciso di “marchiarsi” con la bandiera americana. A colori o in bianco e nero: sul braccio, sulla spalla, sulla gamba. Meglio se ben visibile. Per non lasciare dubbi sull’appartenenza mafiosa.
Il vessillo Usa
Il vessillo degli Usa la prima volta fu trovato nella stalla di Iano Lo Giudice, colui che alla fine della prima decade del 2000 dichiarò guerra ai Santapaola-Ercolano. La faida fu evitata grazie ai fermi del blitz della squadra mobile Revenge. In una requisitoria, ormai storica negli uffici di piazza verga a Catania, la pm Lina Trovato definì Lo Giudice: «L’Isis della mafia». Non fu un caso. Ma negli anni la bandiera americana è diventata non solo il simbolo di Lo Giudice, ma dei Bonaccorsi-Carateddi. Il drappo degli States non è ostentato solo con i tatuaggi ma anche su TikTok. I rampolli della famiglia mafiosa – legata al killer Ignazio Bonaccorsi – in diverse videochiamate dal carcere che vengono ingenuamente caricate sui social addirittura indossano anche bandane a stelle e strisce. Ma i Santapaola-Ercolano non sono da meno: la bandiera scelta è quella del Brasile, i campioni del mondo del calcio. I fedeli di Nitto rivendicano insomma anche con la simbologia il podio criminale.
Il tatuaggio
Il tatuaggio è un’arte sempre più diffusa tra giovani e adolescenti. Molti disegni, purtroppo, inneggiano la violenza. Questa nuova moda è diventata uno strumento usato pure dai clan criminali per comunicare. È accaduto con altri mezzi e media, si pensi ad esempio ai social.Anche la mafia siciliana, quindi, fa ricorso al linguaggio dei tatuaggi. Sono soprattutto le nuove leve dei clan, cani sciolti della droga, teste calde pronte a usare le armi per regolare i conti. Sulla loro pelle, infatti, si trovano pistole, kalashnikov e mitra. Il trapper etneo Niko Pandetta (nipote del boss Turi Cappello) armi ne ha diverse tatuate sul corpo. Un boss palermitano, qualche anno fa, dopo che il Questore gli negò un concerto consigliò al neomelodico di tatuarsi «Falcone e Borsellino» per non avere più problemi. Chi ascoltò quell’intercettazione si indignò.Il nome di un blitz dei Carabinieri di Giarre ha preso spunto proprio dal tatuaggio che gli affiliati ai Laudani di quella zona si erano fatti sul braccio: una grossa bocca rossa per ricordare il nomignolo del clan, e cioè “Mussi i Ficurinia”. L’operazione si chiamò “Smack Forever”.
Il rituale
Un rituale che si allontana dai tatuaggi di diversi decenni fa: come i cinque punti della malavita. Un segno distintivo sulle mani che etichettava i criminali. Come fosse un vanto. E ci sono anche i tattoo dei galeotti: la ragnatela, solitamente disegnata in modo definitivo sul braccio, più grande è più anni di carcere certifica nel curriculum. La lacrima sul viso vuota (come quella che ha il catanese Sebastiano Miano, piripicchio, autonomo ma alleato ai Cappello) ricorda la perdita di un caro. Se invece è piena e nera, chi la porta avrebbe commesso un omicidio.
La Stidda
I boss della Stidda, l’organizzazione nata nell’agrigentino per contrapporsi a Cosa nostra palermitana che si è diffusa fino al ragusano, avrebbero avuto tatuata una stella tra il pollice e l’ indice della mano destra.Motivi completamente diversi da quelli che avrebbero convinto il boss Matteo Messina Denaro a farsene tre di tatuaggi. “Tra le selvaggi tigri”, “Ad augusta per angusta” e “VIII X MCML, XXXI”. Queste tre scritte il boss ormai scomparso se le fece disegnare a Palermo, mentre era ricercato. Il significato lo spiegò lui stesso alla sorella Rosalia. Ma le ragioni sono riassunte nel suo diario trovato dopo la cattura nel 2023. «Non sono per seguire la moda, sono il mio vissuto e servono a non dimenticare», scrisse.Una filosofia diversa da quella di questi giovani criminali che trasformano il corpo in una tela per lanciare messaggi mafiosi. Che vanno cancellati e che dimostrano come non basti la repressione.
