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Province, l’85 a 21 del centrodestra e il trionfo dei progressisti a Enna e Trapani: ecco chi ha vinto davvero

Pieno di seggi per la maggioranza. Ma le faide (e gli inciuci) premiano la linea di Pd e M5S

Di Mario Barresi |

Come in ogni spoglio che si rispetti, persino in quelle vissute in in Sicilia come “le elezioni più pazze del mondo” (altrove sono una noiosa routine da una decina d’anni), il copione è sempre lo stesso. E così anche ieri, sbrogliata la matassa del famigerato indice di ponderazione, sono cominciati a piovere i comunicati stampa di «soddisfazione». E vuoi che con nuovi 118 consiglieri delle care vecchie ex Province, alcuni provenienti dai lidi più sperduti, non ci sia almeno un eletto da festeggiare come «un risultato entusiasmante» anche a fronte di un tracollo del proprio partito?

Tutti vincitori tutti. Anche stavolta. Ma i dati – quelli reali, analizzati dopo aver cestinato le inutili mail – raccontano una panorama regionale ben preciso. Il centrodestra resta imbattibile: i partiti della coalizione che governa la Regione hanno fatto il pieno di seggi: 85 sui 118 a disposizione nei tre consigli delle Città Metropolitane (Catania, Messina e Palermo) e nei sei dei Liberi consorzi (Agrigento, Caltanissetta, Enna, Messina, Ragusa, Siracusa e Trapani).

Percentuali bulgare

Non c’è che dire: le liste, quelli della maggioranza, le sanno fare. Percentuali più che bulgare sul consenso dei “grandi elettori” (sindaci e consiglieri comunali): a Catania, giusto per fare un esempio, si sfiora il 90%. Al fronte progressista, quasi ovunque schierato con una lista unica con il logo dell’“Alternativa”, e il simbolo soltanto del Pd, restano le briciole: 17 eletti del Pd e appena 4 del M5S, che negli enti locali non è mai andato forte. E nemmeno gli altri 4 seggi di Cateno De Luca, tutti rigorosamente incassati a Messina dove Sud chiama Nord si conferma primo, sono ascrivibili al fronte anti-Schifani. Anzi.

Ma il centrodestra siciliano, campione nella disciplina dell’autoflagellazione, pur partendo da questi numeri schiaccianti, è riuscito nel capolavoro di regalare due dei sei presidenti di Provincia in palio e di dimezzare, per le faide interne, anche altre vittorie. Non è un caso, infatti, che Renato Schifani, nel suo commento serale, parli più da soddisfatto viceré siculo di Forza Italia («forza trainante della coalizione») che da leader carismatico del centrodestra, per il quale registra un notarile «rafforzamento rispetto alle regionali del 2022».

In effetti il governatore fa bene a non spingersi oltre. Perché la sua coalizione esce da queste anomale elezioni con i nervi a fior di pelle. Il caso più emblematico è a Enna. Dove perde il favorito di centrodestra, espresso da Forza Italia: Rosario Colianni, sindaco di Nissoria, viene surclassato (oltre il 58%) dal collega dem di Calascibetta, Piero Capizzi.

Realtà più complessa

I più nostalgici evocherebbero l’ennesimo asse fra Mirello Crisafulli e Totò Cuffaro, ma la realtà è più complessa. Con l’europarlamentare forzista Marco Falcone che accusa la collega di partito Luisa Lantieri, deputata all’Ars, di aver favorito i suoi vecchi amici del Pd; e lei che contrattacca sostenendo che a tradire la causa azzurra sia stato proprio l’ex assessore all’Economia portando voti all’Mpa. A Enna i sospetti si addensano anche su FdI, che ha dovuto rinunciare al proprio candidato (il piazzerse Nino Cammarata) per amor di coalizione.

L’altra sconfitta, per il centrodestra, arriva a Trapani. Il civico Salvatore Quinci (Maraza), sul quale mettono cappello i progressisti, ha evidentemente trovato più di una sponda anche nel centrodestra. Un certo numero di voti disgiunti (la scheda per il presidente era separata da quella per il consiglio) gli ha permesso di sconfiggere il collega di Castelvetrano, Giovanni Lentini. E pure in questo caso veleni e accuse si sprecano.

Anche nel risultato di Agrigento c’è lo zampino di Pd e M5S, oltre che l’esito delle spaccature nel fronte avversario. Vince Peppe Pendolino (Aragona), espresso soltanto da una parte del centrodestra, in particolare dall’asse Forza Itala-Mpa, con l’aiutino, decisivo, di una civica con dentro imboscati candidati progressisti. Sconfitto il resto della maggioranza, che invece puntava su Stefano Castellino, primo cittadino di Palma di Montechiaro.

Quindi: c’è un centrodestra che vince e un altro che perde e accusa gli alleati di «accordi sottobanco». Come avviene a Caltanissetta, dove è netta l’affermazione dell’unico sindaco di capoluogo eletto: il forzista Walter Tesauro vince il derby con Massimiliano Conti (Niscemi), scelto dai big regionali, e ridimensiona anche il “modello Gela”, relegando Terenziano Di Stefano, pupillo del 5stelle Nuccio Di Paola, al terzo posto. Decisiva, in questo caso, la lealtà di Grande Sicilia: Raffaele Lombardo, pur considerando Di Stefano «un autonomista della prima ora» (che in giunta ha pure l’Mpa) ha rispettato l’impegno con Forza Italia. Meno leali, secondo fonti leghiste, i meloniani nei confronti di Conti.

E nemmeno la cavalcata trionfale di Michelangelo Giansiracusa a Siracusa può essere sbandierata dal centrodestra. Il sindaco di Ferla, capo di gabinetto del collega siracusano Francesco Italia, è un moderato che piace ad Azione quanto a Italia Viva. Con lui, nella scontata vittoria contro il progressista Giuseppe Stefio, ci sono, mascherati con simboli civici, gli autonomisti di Peppe Carta e gli (ex?) meloniani “turistici” di Carlo Auteri. Le liste di FdI e Forza Italia non erano apparentate con alcun candidato.

L’affermazione più chiara, per la maggioranza regionale, resta dunque quella di Ragusa. Maria Rita Schembari (Comiso), unica candidata donna nell’ennesimo rito elettorale da spogliatoio maschile, diventa presidente del Libero consorzio a suon di voti. Ma all’esponente di FdI (sostenuta da quasi tutta la coalizione, ma anche dai potenti colleghi civici, a partire dal ragusano Peppe Cassì) sono mancati i voti, non pochi, dello strappo di Ignazio Abbate, ras modicano della Dc, che incassa comunque il secondo posto con l’acatese Gianfranco Fidone; fuori partita il pur battagliero dem Roberto Ammatuna, sindaco di Pozzallo.

Non solo veleni

Ma non ci sono soltanto i veleni. Il centrodestra si gode i numeri blindati nei consigli provinciali. Secondo i numeri delle segreterie regionali, Forza Italia batte FdI per 24-20 e diventa il partito più rappresentato. Al terzo posto c’è il Pd con 17 eletti: esulta il segretario regionale Anthony Barbagallo, nonostante a vincere, in molti casi, sia stata la linea “trasversalista” che piace tanto all’Ars, a partire dal capogruppo agrigentino Michele Catanzaro. Per il M5S un magro bottino: appena 4 consiglieri incassati, con qualche mugugno (anche a Catania) per «i giochetti» degli alleati dem. Il fronte progressista, in fin dei conti, può sfoggiare appena 21 eletti su 118; la caccia a i pochi civici d’area eletti continua, ma la sostanza non cambierebbe di molto.

Tornando al centrodestra. Funziona l’esperimento di Grande Sicilia: 14 seggi stimati, ma forse ce n’è uno in più. Di grande c’è soprattutto l’Mpa di Lombardo; piccolo, invece, l’effetto-booster di Roberto Lagalla e Gianfranco Miccichè, con un sostanziale tonfo a Palermo. La Dc gode di buona salute: 14 eletti, ma con un radicamento soprattutto nella parte occidentale dell’Isola. L’esatto opposto della Lega di Luca Sammartino (13 consiglieri), che tiene bene soprattutto a est. Se fossero assieme – Cuffaro e Sammartino – oggi sarebbero il primo partito del centrodestra.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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