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Costruzioni e mazzette, in Sicilia c’è “fame di vani”: torna il ballo del mattone

Di Mario Barresi |

Catania – E poi dicono che non c’è più il ballo del mattone. La Sicilia è al quinto posto in Italia per valore assoluto di consumo del suolo: 302 nuovi ettari cementificati in un anno, secondo lo studio Ispra-Snpa 2019. Un’esplosione che, in apparenza, contraddice un altro dato: nei centri storici dell’Isola ogni residente ha disposizione 800-850 metri cubi. E ciò significa che, nel cuore deserto delle nostre città, ci sono spazi immensi per i reduci di un inarrestabile spopolamento. Soprattutto se paragonati, come nello studio del Dicar (Dipartimento Ingegneria civile e Architettura) dell’Università di Catania, che stima lo stesso rapporto in 80-100 metri cubi nelle zone di edilizia residenziale-popolare e in 150-160 nei “salotti buoni”.

Di spazio, dunque, ce n’è in abbondanza. E allora che senso ha elargire mazzette – come nell’ultima inchiesta di Palermo – per costruire ancora? La risposta, prima ancora che nei verbali del pentito o nell’ordinanza del gip, è in un’altra statistica. Nei centri delle principali città dell’Isola il mercato immobiliare procede a due velocità. Quello dell’“usato” è fermo, anzi va in retromarcia: 1.100-1.200 euro/metro quadro il valore attuale; a fronte dei 3.900-4.000 per il nuovo di pregio compreso di adeguamento antisismico e alta efficienza energetica. Ed è questa la ragione più profonda della “fame di vani” che accomuna costruttori, affaristi e agenti immobiliari. «Invece bisognerebbe puntare sulla rigenerazione dell’esistente», un’operazione «più complicata dal punto di vista culturale, economico e urbanistico», ma senz’altro «necessaria per pensare al futuro delle nostre città», certifica Paolo La Greca, ordinario di Tecnica e pianificazione urbanistica ed ex direttore del Dicar di Catania. La Greca aborrisce quella che definisce la «nuova decrescita felice», additando l’esempio di «chi vorrebbe lasciare come semplice area a verde» l’ex Palazzo delle Poste di viale Africa a Catania, destinato a Cittadella giudiziaria. Ma il giudizio sul nuovo assalto dei cementificatori è tranchant: «Il livello di spopolamento dei centri antichi è tale che l’approccio non può più essere quello dell’“ho un pezzo di terreno, che ci posso fare?”». Ma per cambiare passo, secondo La Greca, «la pianificazione territoriale non può restare nell’ombra». E dunque «aggiornare i Prg con cadenza quinquennale, come vorrebbe la legge, potrebbe ridurre le nebbie nelle quali si muove l’iniziativa privata, peraltro indispensabile motore per la trasformazione urbana». E allora le uniche strategie possibili restano «l’argine all’ulteriore occupazione di suolo» e «il ripristino dell’esistente, se necessario anche con sostituzione». Cambiamenti climatici, inquinamento, qualità della vita, mobilità urbana: sono le nuove variabili ignorate spesso dalla politica. E poi la sicurezza. «In finanziaria – ricorda l’urbanista etneo – spunta il bonus rubinetti o quello sulle facciate. Che senso hanno queste misure se poi gli edifici restano a rischio?».

Da sinistra l’urbanista Paolo La Greca e il sociologo Carlo Colloca

L’inchiesta di Palermo «ripropone il tema, mai sopito, della relazione fra corruzione e abusivismo». Per Carlo Colloca, docente di Sociologia urbana a Catania, «un aspetto che dovrebbe far riflettere è l’assalto alla bellezza che questa relazione perversa determina, ossia alla bellezza dei nostri territori e dei nostri paesaggi». L’altro elemento preoccupante è «la crescita di un sistema urbano che rischia di maturare all’insegna dell’inconsapevolezza, dunque in assenza di un disegno e di una strategia di sviluppo della città, ma soltanto, o quasi, in risposta ad interessi di minoranze e di comitati d’affari». Palermo, ma non solo. Il tandem corruzione-abusivismo, per il sociologo, «è l’espressione di un deficit di democrazia e di crisi dei poteri politico-amministrativi, e di spazio, stravolto nella sua corretta utilizzazione dal groviglio di intrighi politici-affaristici-mafiosi».

«I personaggi e i fatti qui narrati sono immaginari, è autentica invece la realtà sociale e ambientale che li produce», si leggeva nei titoli di coda di Le mani sulla città di Francesco Rosi. «Ma nel caso di Palermo, così come in tanti altri potenziali in Sicilia – commenta Colloca – non c’è alcunché di “immaginario”, ma è tutto tristemente reale».

Twitter: @MarioBarresi

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