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Golosità costrette a emigrare: Nicola Fiasconaro da Castelbuono al Piemonte

Di Mariella Caruso |

Da cosa dipende la finalizzazione del progetto?

«Intanto, dopo la nostra partecipazione al taglio del nastro dell’area industriale di Venasca, aspettiamo la visita istituzionale a Castelbuono da parte di una delegazione di quell’amministrazione. Poi stiamo cercando di capire se esiste la possibilità di espandere l’attività nel nostro territorio, ipotesi della quale saremmo molto contenti».

Vista la volontà, cosa vi impedisce di espandervi in Sicilia?

«Da dieci anni chiediamo alle istituzioni preposte di mettere a bando l’assegnazione di un’ex area industriale ormai dismessa che si trova a poche centinaia di metri dal laboratorio dove, ancora oggi, realizziamo artigianalmente i nostri panettoni. Fino a ieri i nostri appelli sono rimasti inascoltati. Anzi la situazione è peggiorata perché a breve non disporremo più di un’area utilizzata per lo stoccaggio di materie prime e prodotti finiti perché, dopo il procedimento della Cassazione al termine di un procedimento fallimentare, dovrà essere utilizzata a fini sociali. Ma cosa c’è di più sociale di un’azienda che dà lavoro?».

Di quali spazi avete bisogno?

«Di almeno 10.000 metri quadri perché oltre alla produzione dobbiamo stoccare il prodotto finito. Nel corso della scorsa edizione di Cibus abbiamo incontrato i nostri agenti ai quali abbiamo dovuto dire, a fronte delle crescenti richieste di prodotti, di focalizzarsi soltanto sulle nicchie perché non possiamo aumentare la produzione. Non vogliamo più che questo accada. Ci serve serenità per noi e i nostri dipendenti che, considerando i ricorrenti, arrivano a 120 nel periodo di produzione natalizia e a 70 in quello pasquale».

Non potete, allora, spostarvi nella stessa Sicilia?

«In Sicilia collaboriamo già con undici laboratori disseminati tra Enna, Canicattì, Siracusa, Modica e Catania dai quali arrivano gli altri nostri prodotti: biscotti, creme, frutta martorana. Ma la burocrazia non ci aiuta, anche se non chiediamo soldi. Da anni ci autofinanziamo, invece di investire in yacht o elicotteri, ci siamo preoccupati di farlo nella ricerca scientifica e nelle risorse umane. Ma questa terra più la ami e più ti respinge».

L’eventuale apertura di un nuovo stabilimento produttivo implicherebbe una diminuzione della produzione in Sicilia e l’acquisto di materie prime non siciliane?

«Sono un “malato cronico” della Sicilia e dei suoi prodotti. Fatti salvi utilizzi di prodotti particolari per questioni di marketing territoriale come i marron glacè, che utilizzeremo per il nuovo panettone di cui parlavo, o il radicchio veneto con cui abbiamo realizzato un altro panettone di cui parlò anche Luca Zaia, continueremo a utilizzare ingredienti siciliani. Anzi mi auguro che possa andare in porto un progetto con l’assessorato regionale alle Politiche agricole per un campo sperimentale per la produzione di uva sultanina che, al momento, importiamo da Turchia e Australia. Al momento l’unica cosa che compriamo fuori dalla Sicilia cono farina, burro e uova. Queste ultime, in verità, le prendevamo a Modica, ma la qualità non era soddisfacente. La verità è che oggi un contadino deve trasformarsi in un imprenditore agricolo, in Sicilia c’è chi riesce e chi no».

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