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Il Festino, mons. Lorefice: «Sentinella nella notte Rosalia e la rinascita della coscienza civile»

Per l'arcivescovo di Palermo occorre riscoprire la “via della bellezza” come risposta al degrado e alla violenza che segna il presente

Concetta Bonini

14 Luglio 2025, 15:28

Monsignor Lorefice

Monsignor Lorefice

Per la 401° volta tra le braccia dei palermitani, Santa Rosalia attraverserà quest’anno le vie della città ergendosi come una “sentinella nella notte”, capace di tenere deste le coscienze, capace di indicare la via della bellezza. Così la descrive l’Arcivescovo di Palermo, Mons. Corrado Lorefice, che – com’è nel suo stile – anche stavolta sceglie di ancorare fortemente il suo messaggio all’attualità sociale, non rinunciando a riferirsi alle vicende locali ma anche a quelle internazionali, che ci riguardano in quanto cittadini del mondo, fratelli nell’umanità che ci accomuna.

Mons. Lorefice, che significato ha dedicare questo festino al tema della bellezza? Che specifica declinazione civica e sociale possiamo darle?

Pensare a Palermo come una città in cammino alla ricerca della bellezza ha un significato concreto, tutt’altro che retorico. È un tema che rende chiara l’urgenza di recuperare una coscienza comunitaria, civica appunto, a partire dal recupero della coscienza individuale di ognuno. Oggi sicuramente godiamo di bellezze esteriori, apparenti, ma sappiamo che non offriamo una città davvero bella se guardiamo alle relazioni, alla capacità di guardare al futuro, ai modelli che proponiamo ai nostri giovani. In questo momento Palermo conosce un particolare declino in termini di degrado e violenza, in un contesto anche politico in cui gli interessi individuali, lo vediamo proprio in queste settimane, prevalgono su quelli collettivi. Quando diciamo quindi che la via per la bellezza passa dal recupero dello spessore delle coscienze, dobbiamo avere chiaro che questo è valido a tutti i livelli: vale per il singolo cittadino ma vale a maggior ragione per chi è chiamato a onorare le istituzioni che serve, dovere a cui ci richiama anche la Costituzione.

Ma di chi è, proprio nel contesto locale, di una città piena di fatiche e di contraddizioni come Palermo, il compito di educare alla bellezza soprattutto i giovani, che le sono sempre stati particolarmente cari?

Questa è una sfida di noi adulti. Forse anche noi ci sentiamo ogni tanto un po’ sperduti, quando dovremmo riappropriarci dell’autorevolezza, della credibilità di chi sa dare un esempio umanamente positivo. I nostri giovani hanno bellissime potenzialità che rischiano di restare schiacciate dalle paure che respirano. Paure che sono condizionate anche dal contesto mondiale. In questo senso non posso da Vescovo, da cristiano, non ricordare che Santa Rosalia è una donna universale, che riesce a essere attrattiva e seduttiva anche per i non credenti, perché ha fatto una scelta radicale per la propria vita e ancora oggi porta un messaggio. Quello spessore delle coscienze di cui parliamo può essere recuperato solo dentro il contesto di una società che non si vergogna di ammettere di aver bisogno di una dimensione spirituale. Si tratta di un percorso di ricerca che a livello collettivo abbiamo abbandonato, forse in cambio di un equivocato concetto di libertà, che ci ha spinti invece a una vera e propria forma di schiavitù nei confronti di falsi idoli come l’individualismo, il culto del profitto, forme di narcisismo delirante che vediamo manifestarsi chiaramente anche nei grandi che governano le sorti del mondo.

È di queste cose che è fatta, quindi, quella “notte” di cui Lei parla quando si riferisce a Santa Rosalia come alla sentinella che resta di guardia?

Siamo nella notte, non c’è dubbio. E anche in questo caso non voglio che questa espressione si riduca a un’immagine evocativa. È una realtà che non può essere banalizzata e verso la quale dobbiamo acquisire consapevolezza. Nessuno di noi avrebbe mai pensato, fino a dieci anni fa, di tornare a parlare di guerre mondiali e armi atomiche senza suscitare l’indignazione di tutti. Eppure siamo qui. Nei giorni scorsi, in occasione del tradizionale incontro con i Rappresentanti delle Religioni presenti a Palermo ho sottolineato come addirittura i governi abbiano la pretesa di rendere le nostre fedi ancelle di guerra e di separazione. Pensiamo agli Stati Uniti, dove il cristianesimo viene ridotto, anzi viene ribaltato, a vessillo del “Make America Great Again”, mentre il ritiro dai programmi umanitari internazionali ha provocato e sta provocando la morte e la sofferenza di milioni e milioni di persone. Allo stesso modo, nello Stato di Israele – da non identificare con l’intero popolo ebraico –, una concezione politica e quasi tribale dell’Israele di Dio, sta provocando una delle catastrofi peggiori della storia recente, con una determinazione omicida che lascia sbigottiti.

Pensa che questo clima stia legittimando l’acuirsi di altre forme di tensione culturale e di odio?

In un mondo che inneggia ai muri, Palermo resiste. La diffidenza tra le culture qui è sempre stata un problema minore, grazie all’antica vocazione di una città plurale. Ciò che mi preoccupa è invece la violenza, l’abitudine alla violenza, addirittura l’ostentazione della violenza. Parlo di ciò che vediamo accadere ormai ordinariamente per le strade, nei negozi, per non dimenticare i recenti fatti di Monreale. In quel contesto che genera fragilità nei nostri giovani, di cui parlavamo, la violenza da un lato diventa un modo per atteggiarsi, quasi l’esercizio di un potere, dall’altro una necessità, un mezzo per sostenere l’uso sempre più diffuso delle droghe. Sono rimasto particolarmente scosso dal grado di violenza che ha caratterizzato, nei giorni scorsi, l’attacco alla Cioccolateria Lorenzo. Ho parlato con il proprietario, che con grande lucidità mi ha detto: a Santa Rosalia quest’anno non dobbiamo chiedere miracoli, dobbiamo chiedere la nostra rinascita come comunità, perché non posso permettere che i miei figli debbano camminare a testa bassa nella propria città.

Questo racconto mi porta a chiederle di ricordarci quanti esempi di bellezza umana Palermo abbia avuto e abbia già.

Certamente questa è innanzitutto la città di Biagio Conte, di Falcone e Borsellino, di Don Pino Puglisi che con la sua beatificazione per un martirio "in odium fidei” ci aiuta a chiarire definitivamente che la mafia è intrinsecamente antievangelica e nessun mafioso può dirsi cristiano. Ma quello che io vedo è anche tanta bellezza attuale in termini di impegno civile e sociale, grazie a una vivacità che passa soprattutto dall’associazionismo cattolico e laico: queste forze però vanno organizzate, coordinate, integrate a una visione della città che non può procedere in ordine sparso. Ecco che si tratta di una sfida culturale ardua: a maggior ragione, dunque, le istituzioni non dovrebbero distrarsi.