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Accordo di coesione, Fitto pressa sulla Sicilia sul piano da oltre 5 miliardi

Anticipata la scadenza della programmazione. Resta da capire, ora che lo Stato si è ripreso i soldi con gli interessi, che fine faranno i progetti vecchi e nuovi?

Mario Barresi

24 Gennaio 2024, 16:05

fitto-schifani

Dalla Campania è partita - con la virulenza tipica di Vincenzo De Luca - la crociata contro il ministro Raffaele Fitto sui ritardi nella firma dell’Accordo di coesione con la Regione. E in Sicilia? In apparenza tutto tace. Comprese le opposizioni, in altre faccende affaccendate.
E quindi, scavando nel silenzio sulle risorse del Fondo sviluppo e coesione previste per l’Isola, si scopre che la dinamica del rapporto fra Palermo e Roma è esattamente invertita. Sì, perché è il governo nazionale - e in particolare il ministero del Sud - a chiedere alla Regione un’accelerazione sugli atti preparatori alla firma dell’Accordo. Per essere chiari: manca la “lista della spesa”, la proposta organica su come la Sicilia intenda spendere questi soldi. Nessun atto ufficiale, ma lo scenario è confermato da fonti palermitane e romane di rilievo: Renato Schifani, che ha avocato a sé le competenza sulla Programmazione nei primi mesi delegata all’assessore Marco Falcone, si sarebbe impegnato ad anticipare, «fra fine marzo e inizio aprile», la conclusione di un iter che aveva invece una dead line ipotizzabile a giugno 2024.


La ragione del pressing, paradossalmente, è la stessa alla base del ritardo. Se Fitto - a maggior ragione dopo l’esposto di De Luca - vuole chiudere al più presto la “pratica” siciliana e attivare il Psc più ingente d’Italia (6,8 miliardi l’imputazione lorda iniziale, superiore anche ai 6,5 della Campania), allo stesso tempo gli uffici regionali si trovano sul tavolo una mole di lavoro notevole. Ben superiore a quella necessaria in Emilia-Romagna, la settima Regione a firmare di recente l’Accordo di coesione, con investimenti per 600 milioni. «Si tratta di poco più del dieci per cento di quello che dobbiamo programmare noi», annotano a Palermo.


Ora bisogna rimboccarsi le maniche. Innanzitutto ricalibrando tutti i conteggi. Ai 6.862.465.370,96 euro previsti dalla delibera Cipess 25 del 3 agosto 2023, infatti, erano stati già sottratti 237.096.977,23 come anticipazione il plafond netto della Sicilia era fissato in 6.625.368.393,73 euro. Ma bisogna togliere 1,3 miliardi che il governo nazionale, nella manovra, ha prelevato come cofinanziamento per il Ponte, assieme ai 300 milioni della Calabria. Con una “clausola capestro” che, di fatto, vincola le Regioni - pena la messa in discussione degli Accordi di coesione - a garantire la copertura negli anni: 103 milioni per il 2024; 100 milioni nel 2025 e altrettanti nel 2026; 940 milioni nel 2027 e 357 nel 2028.


A proposito: resta un mistero da chiarire. Nel minacciare la revoca di un miliardo di cofinanziamento al Ponte, Schifani specificò che la giunta regionale, all’unanimità, aveva «preso atto che nell’attività di programmazione degli interventi» Fsc 2021/27 «dovranno essere inserite alcune delle opere già programmate dal precedente esecutivo regionale, nonché altri nuovi interventi di forte impatto economico e strategico». E ora che lo Stato s’è ripreso quei soldi con gli interessi (300 milioni in più), che fine faranno i progetti vecchi e nuovi? Ci sono i fondi per finanziarli tutti o ci saranno opere da tagliare?


Saranno alcuni dei nodi da sciogliere nella proposta di Accordo di coesione da 5,3 miliardi che la Regione dovrà formulare a Fitto. Assieme ad altri. A partire dal format dell’atto: sarà, come all’inizio pensava il governatore, un elenco puntuale di opere e interventi («stile Crocetta-Lumia» il nome in codice negli uffici palermitani in ossequio all’ultimo piano che adottò quel metodo), oppure, come suggeriscono dalla Programmazione, al governo nazionale verrà inviato un elenco più generico con la suddivisione dei fondi per macro-aree (infrastrutture, ambiente, aree svantaggiate…) in attesa di riempirle con progetti concreti?

«All’Ars non se ne sa nulla: nessun atto ufficiale, tutto tace, solo confusione», denuncia il deputato m5s Luigi Sunseri. Di certo, però, c’è l’iter: la scelta del governo regionale dovrà passare al vaglio della commissione Affari Ue, presieduta dallo stesso Sunseri, e della Bilancio. E, visto il clima da “selfie inciucista” vissuto nella finanziaria regionale, sarebbe meglio fissare 5-6 grandi progetti per cambiare il futuro dell’Isola, anziché aprire il Mercante in Fiera anche per i soldi del Fsc. Che non custodisce solo il tesoretto della nuova programmazione. Ci sono anche i residui del settennio 2014/20. «Non si conosce né l’importo né il destino finale», incalza Antonio Nicita.

Il capogruppo siracusano del Pd a Palazzo Madama, che sul tema ha presentato un’interrogazione in commissione Bilancio, stima diverse centinaia di milioni dello scorso Fsc regionale. «L’ipotesi più accreditata è che finiscano nel RepowerEu», il piano energetico comunitario post crisi ucraina, ma «senza sapere, al netto del vincolo del 40 per cento al Sud, quanti dei residui non spesi ritorneranno in Sicilia e per fare cosa». L’unica certezza, per il dem Nicita, è che «quei fondi finiranno nell’enorme calderone che s’è creato Fitto, il vero ministro dell’Economia del governo Meloni».


m.barresi@lasicilia.it