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Ars, dietro al “selfie” c’è l’inciucio e spunta la norma salva-ineleggibili

Nella “manovrina” la norma nascosta: cambiano le regole a processi in corso. Ecco i beneficiari (e chi c’è dietro)

Mario Barresi

11 Novembre 2023, 12:48

Selfie all'Ars della Commissione Bilancio

Selfie all'Ars della Commissione Bilancio

Adesso dimentichiamo per un istante l’ondata delle marchette trasversali e le suggestioni dei selfie notturni. E concentriamoci su una delle norme approvate, in un unico blocco in commissione Bilancio, nel cosiddetto maxi-emendamento alla manovra correttiva dell’Ars.
Si tratta, in particolare, dell’articolo 4 recante “Interpretazione autentica”. Di cosa? Della legge elettorale regionale (peraltro nemmeno citata dal primo comma dell’emendamento), la 29/1951, sulla disciplina delle cause di ineleggibilità dei deputati all’Ars. E in particolare la parte in cui si sbarra l’ingresso di Palazzo dei Normanni ad alcune categorie: «Gli amministratori ed i dipendenti con funzioni di rappresentanza o con poteri di organizzazione o coordinamento del personale, di istituti, consorzi, aziende, agenzie ed enti dipendenti dalla Regione ovvero soggetti alla sua tutela o vigilanza». Questa norma, secondo il testo che ha avuto il via libera in commissione Bilancio, deve essere interpretata «nel senso che l’ineleggibilità è volta a sanzionare coloro i quali esercitano le suindicate funzioni e/o poteri unicamente in istituti, enti, consorzi e agenzie che abbiano un rapporto di dipendenza con la Regione Siciliana e che, in conseguenza di esso, siano sottoposti alla tutela e al controllo dell’ente territoriale, non già un rapporto di mera tutela e vigilanza».

Il secondo comma dell’“interpretazione autentica” riguarda un altro aspetto: laddove, sempre nella legge regionale 29/51, le cause di ineleggibilità «non sono applicabili a coloro che per dimissioni, collocamento in aspettativa od altra causa siano effettivamente cessati dalle loro funzioni», adesso «deve interpretarsi nel senso che la cessazione va intesa quale effettiva astensione da ogni atto inerente all’ufficio rivestito, senza alcun carattere di recettizietà». Traduzione dall’“Arsese”: 1) sono eleggibili i deputati legati a enti “semplicemente” vigilati dalla Regione; 2) per dichiarare l’ineleggibilità va dimostrato che non ci si sia astenuti dagli atti amministrativi legati al ruolo.
Quella che viene presentata come un’interpretazione autentica (quindi con valore teoricamente retroattivo sui giudizi in corso) è - di fatto - una modifica normativa, perché riduce i casi di ineleggibilità e inverte l’onere della prova sull’effettiva astensione dagli atti d’ufficio.

Cui prodest? Ci sono quattro deputati con giudizi in corso. Il primo, guarda caso, è il meloniano Dario Daidone, presidente della Commissione bilancio che ha votato la norma salva-seggi. Già dichiarato ineleggibile in primo grado, in quanto non si dimise in tempo utile dal cda di Irfis, su ricorso del primo dei non eletti in FdI a Catania, l’ex consigliere comunale Carmelo Nicotra. Poi ci sono altri due colleghi di partito: Nicola Catania e Giuseppe Catania, uniti, oltre che dall’omonimia, dal medesimo destino giudiziario: entrambi “pizzicati” come presidenti di Srr (il primo della Trapani Sud il secondo della Caltanissetta), uno dichiarato ineleggibile in primo grado, l’altro in attesa di sentenza, su ricorsi rispettivamente di Giuseppe Bica, ex sindaco di Custonaci, e del gruppo gelese di FdI, che vorrebbe il seggio per il coordinatore locale Totò Scuvera. Ma c’è un quarto deputato regionale sub iudice: il deluchiano Davide Vasta, nel frattempo diventato pure sindaco di Riposto, oggetto di due distinti ricorsi, perché non si sarebbe dimesso entro i termini dalla cooperativa Cot, vigilata dalla Regione di cui è pure fornitrice. A contendere il seggio è il primo dei non eletti nella lista Sud chiama Nord a Catania, Salvatore Giuffrida (noto alle cronache regionali per essere subentrato all’Ars dopo l’arresto di Fausto Fagone e la morte di Lino Leanza), ma soprattutto Santo Primavera, consigliere di Giarre, secondo dei non eletti, che ha vinto in primo grado su Vasta e conta di avere lo stesso risultato nel ricorso contro lo stesso Giuffrida, dirigente regionale che non avrebbe «eliminato in tempo la causa ostativa».

Il primo verdetto definitivo, per Daidone e Vasta, è in programma in Corte d’Appello a Palermo il 14 dicembre. A seguire, nel 2024, l’appello su Nicola Catania e il primo grado del Tribunale civile su Giuseppe Catania. Ma adesso irrompe questa norma approvata all’Ars. Che rimescola le carte: pur in odore di incostituzionalità (numerose le sentenze che cassano la retroattività delle norme di interpretazione autentica), l’articolo contenuto nella manovra correttiva, se diventasse legge regionale, condizionerebbe il giudizio in corso. O quanto meno lo allungherebbe, lasciando in sella i deputati già dichiarati ineleggibili.
Legittimo dubbio: e se questa legge salva-ineleggibili fosse frutto di un inciucio trasversale per mantenere lo status quo nel più grande gruppo di maggioranze e in quello di Cateno De Luca?

Indizio numero 1: la conferenza dei capigruppo, presieduta da Gaetano Galvagno, aveva deciso di non non inserire nella manovrina norme ordinamentali. Indizio numero 2: l’assessore all’Economia, Marco Falcone, ha tirato fuori il famigerato articolo 4 inserendolo nel cosiddetto maxi-emendamento governativo. Indizio numero 3: a un certo punto della nottata, i deputati del Pd lasciano la commissione; il primo, quando la norma non è ancora sbucata fuori, è Antonello Cracolici. «Stavano facendo porcherie, roba che manco al consiglio comunale di Roccacannuccia», si tira fuori il presidente dell’Antimafia. Indizio numero 4: il momento più infuocato della seduta è quando Falcone inveisce contro il capogruppo del Pd, Michele Catanzaro, accusandolo di «non portare i pantaloni» e di «essere telecomandato al telefono». Indizio numero 5: Nuccio Di Paola, leader regionale del M5S, afferma che «né noi, né gli amici del gruppo di De Luca ci siamo voluti fare strumentalizzare da pezzi del governo, che volevano che facessimo il gioco sporco per altri». Indizio numero 6: Luca Sammartino, vicepresidente della Regione, ex renziano sempre legato al dem Catanzaro, ha un interesse specifico nella vicenda, in quanto Nicotra, eventuale subentrante a Daidone, si sarebbe nel frattempo avvicinato alla Lega; contatti con altri partiti del centrodestra li avrebbe, anche uno dei due Catania; e Primavera, che punta a prendere il posto di Vasta, è certo che non si iscriverà al gruppo di ScN, perché «ho interrotto i contatti con Cateno - dice a La Sicilia - subito dopo il ricorso».

Riassumendo: quattro deputati regionali beneficiano di una norma ad personam, due dei quali componenti - Daidone addirittura presidente, Giuseppe Catania “solo” membro - della commissione Bilancio che di fatto blinda il loro seggio. Con un asse trasversale fra FdI e De Luca (lo stesso decisivo per la presidenza di Galvagno) per scongiurare la modificare di mappa ed equilibri dell’Ars con i probabili cambi di casacca di almeno due dei subentranti agli ineleggibili; con il placet del forzista Falcone, in ottimi rapporti con FdI; e con l’ira funesta del leghista Sammartino, in contatto con parte del Pd. «Noi comunque abbiamo dato parere sfavorevole al maxi e poi di norma ordinamentale ne è stata inserita una mia sullo scorrimento delle graduatorie dei concorsi regionali», si smarca Ismaele La Vardera, delegato di “Scateno” in commissione. Ma può bastare la forma a coprire la sostanza? Altrove ci sarebbe stata la sollevazione delle opposizioni, all’Ars regna il silenzio. Il selfie notturno, adesso, sembra spiegare tutto. E, visto che siamo agli interrogativi finali, ne restano almeno due. Il primo: cosa farà Galvagno con una norma che, al netto dell’ipotesi di incostituzionalità, viola il patto della capigruppo? E, soprattutto, il secondo: ma Renato Schifani che ne sa (e che ne pensa) del caso, l’ennesima che sta dilaniando il centrodestra e il suo governo?
m.barresi@lasicilia.it