Autorità Sicilia orientale, i “giochi” politici sul fronte del porto

Di Mario Barresi / 05 Gennaio 2021

La partita non solo è in corso (da tempo), ma sta quasi per concludersi. «Questione di qualche giorno», confidano a Roma in ambienti governativi, e «troveremo la quadra». Eppure, la corsa al vertice dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare di Sicilia Orientale promette ancora molti colpi di scena. Non foss’altro che per il calibro dei nomi in campo, in un risiko che finora ha spaccato in tre le anime giallorosse.

E dire che questa partita, sul fronte dei porti di Catania e Augusta, poteva addirittura non disputarsi nemmeno. Se il presidente in carica, Andrea Annunziata, avesse scelto di puntare al bis del mandato in scadenza a febbraio (così come in altre 12 Port Authority in tutta Italia, una giostra da cui sono escluse quelle dello Stretto e di Palermo), ci sarebbe stato un «sostanziale gradimento» di tutta la maggioranza.

E anche la Regione – che sulla nomina del ministro dei Trasporti, Paola De Micheli, deve esprimere un parere, ma non più vincolante com’era prima – sarebbe stata propensa a confermare l’avvocato campano. Su Annunziata, già sottosegretario ai Trasporti in quota Margherita nel governo Prodi II, ex presidente dell’Autorità portuale di Salerno, non ci sarebbe stato bisogno della blindatura del suo partito, il Pd, perché il M5S non avrebbe battuto ciglio su una riconferma. Nessun peso avrebbero avuto le inchieste giudiziarie: una su presunti abusi nell’affidamento di appalti e progettazioni (archiviata a Salerno); un’altra per peculato, con l’ipotesi di avere «ripetutamente utilizzato a fini personali i fondi» dell’ente tramite «falsi mandati di pagamento» per «rimborso spese e trasferte», ridimensionatasi a Catania dopo che il Riesame ha annullato il sequestro di beni per 27mila euro a carico del presidente.

Ma la conferma, scontata, di Annunziata è di fatto venuta meno quando il diretto interessato, in una cortese visita pre-natalizia al ministero, ha notificato il suo destino: «Mi vuole il governatore Vincenzo De Luca, torno a Napoli». E dunque a Roma s’è riaperta una casella considerata occupata. Per la gioia soprattutto di Italia Viva, forse l’unico partito non iscritto al fan club del presidente uscente.

I renziani colgono al balzo la palla per piazzare un loro big che rischia di restare fuori dalle più importanti piazze portuali: Francesco Di Sarcina. Ingegnere, è da novembre scorso commissario straordinario dell’Autorità del Mar Ligure Orientale, della quale era segretario generale dal 2017, quando lasciò lo stesso incarico mantenuto per 13 anni a Messina, dove lo ricordano «in ottimi rapporti» con il gruppo degli armatori Franza. Il ritorno di Di Sarcina in Sicilia è sostenuto con forza dal capogruppo renziano al Senato, Davide Faraone, anche per riequilibrare i pesi politici nell’Isola. La presidenza di Palermo, saldamente in mano a Pasqualino Monti, viene ritenuta «in quota dem», nonostante l’ex presidente di Assoporti sia «stimato trasversalmente» a tal punto da vantare un rapporto più che cordiale con il governo regionale di centrodestra. E per Mario Vega al vertice dell’Autorità di Messina-Milazzo, invece, si sono battuti allo spasimo i grillini, con in testa il viceministro ai Trasporti, Giancarlo Cancelleri.

Ma la compensazione a cui aspirano i renziani è tutt’altro che scontata. Perché i favoriti, al momento, sembrano altri. Il Pd schiera un siciliano: Alessandro Di Graziano. Docente associato di Infrastrutture e Sistemi di trasporto nel dipartimento di Ingegneria edile e Architettura a Catania. Di Graziano è stato vicepresidente dell’Amt (2009-13) e direttore generale di Ferrovia Circumetnea (2014-18) negli anni in cui era ritenuto molto vicino all’ex sottosegretario Giuseppe Castiglione. Ritenuto «affidabile e governativo», per lui l’unica macchiolina etnea risale al 2016 per una vicenda di promozioni interne alla Circumetnea: nessun indagine, ma una sonora bacchettata del Cga sulle procedure. Di Graziano, che vanta anche un ottimo rapporto con l’assessore ai Trasporti Marco Falcone, oggi è il candidato forte del Pd. Il partito del ministro De Micheli, al quale il segretario regionale dem, Anthony Barbagallo, avrebbe fatto arrivare la “preferenza” tramite Dario Franceschini in persona. E la pratica, al netto delle legittime resistenze dei renziani, sarebbe chiusa.

Se non fosse che il M5S spinge per un altro candidato. Altrettanto quotato: Luca Lupi. Soltanto (curiosamente) omonimo del figlio dell’ex ministro alfaniano Maurizio, aspira anche a restare a Civitavecchia, dov’è funzionario all’Autorità portuale del Mar Tirreno Centro Settentrionale. Ma ai grillini piacerebbe portarlo a Catania. Cancelleri lo sostiene anche per ordine di scuderia pentastellata, ma negli ultimi giorni avrebbe parlato con Barbagallo. Non soltanto di Di Graziano (che col viceministro ha avuto pure un «cordialissimo colloquio»), ma anche di strategie complessive su trasporti, Zes e nomine in Sicilia, rafforzando l’asse Pd-M5S.

Ci potrebbe essere una convergenza sul docente universitario catanese, nonostante le perplessità grilline sulla «mancanza di precedenti esperienze nei porti», ma il nome di Lupi resta comunque caldo. Molto di più di quello di Rosario Torrisi Tigano (nella rosa iniziale degli aspiranti, sarebbe l’uomo ideale per Falcone), e anche di quello dell’ex generale della Guardia di finanza, Emilio Errigo, nominato commissario proprio dell’Autorità portuale di Catania-Augusta dopo l’interdittiva di nove mesi disposta del gip a carico di Annunziata (e poi sospesa) dopo l’inchiesta per peculato. Errigo piacerebbe molto anche al governo regionale, oltre che ad Assoporti, dove il figlio Antonio è quotatissimo come vicedirettore generale di Alis, l’Associazione logistica dell’intermodalità sostenibile, vicinissimo al gruppo Grimaldi. C’è anche un altro papabile: il messinese Enzo Garofalo, in cima ai pensieri del centrodestra e della Lega in particolare. Deputato nazionale dal 2008 al 2018 (prima col Pdl e poi seguendo Angelino Alfano in Ncd, dove nacque una bella amicizia con in neo-segretario leghista Nino Minardo che, fra gli altri, sponsorizza la nomina), Garofalo sarebbe anche il candidato ideale per il governo di Nello Musumeci. Ma le quotazioni dell’ingegnere meccanico, figlio di Francesco, storico imprenditore peloritano dei trasporti, sembrano aver perso il rating di qualche settimana fa. 

Ma, a carte sul tavolo, non dovrebbero essere questi i nome sui quali, da oggi, a Roma si punterà per «trovare la quadra». I giochi, però, restano aperti. E la scelta del ministro De Micheli, a maggior ragione con lo spettro della crisi di governo ad aleggiare sempre più tetro, non dovrebbe ormai tardare.

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