Caso Cannes, l’exit strategy: «Abbiamo chiesto a La Russa di bloccare Schifani»
L’ex consulente Absolute Blue, De Capitani: «Per Nassogne la Sicilia era un’azienda privata e Messina era l’ad»
Non s’è finora avverata, la profezia che - poco più di un paio d’anni fa, all’apice dello scandalo - ci sussurrò un vecchio, e saggio, esponente siciliano della destra sociale e legalitaria. Suonava più o meno così: «Sul caso Cannes casca il governo. Ma non so se quello di Palermo o di Roma. O tutt’e due».
Il centrodestra è saldo al comando. E il magma giudiziario che, partito lentamente dalle spese allegre del Turismo, entra nel cuore di Palazzo dei Normanni con l’accusa di corruzione, non sembra annunciare colpi di Stato. Né di Regione.
Eppure la politica e le istituzioni- siciliane e, indirettamente, nazionali - sono coinvolte. E il centrodestra, nell’imbarazzato silenzio, cerca di capire (a Palermo, ma anche a Roma) la portata dell’inchiesta.
Della tranche su Gaetano Galvagno e il suo cerchio magico è emerso parecchio. Molto meno si sa sull’indagine madre. Dalla quale, oltre a un’enciclopedica acquisizione di atti (in assessorato, ma anche dalle banche dati extra Ue, in attesa di alcune rogatorie internazionali), emergono «elementi di rilievo» tratti dalle intercettazioni. Protagonisti sono soprattutto i burocrati regionali. Come ad esempio Cono Catrini, ex dirigente generale al Turismo voluto da Renato Schifani dopo lo scandalo sui fondi. Catrini definisce «la banda Bassotti» quelli che c’erano prima in assessorato. Ma, da navigato frequentatore dei palazzi palermitani, sa fin dove può esporsi. Discutendo con una dipendente le rivela di aver ricevuto una convocazione dall’assessora Elvira Amata (di FdI come tutti i predecessori): «Minchia avete fatto un bordello: Corte dei conti, rimodulazione delle spese, riunione fiume per salvarci ’u culu a Manlio Messina…». Il dirigente ha una pessima opinione del collega che è stato Rup di Cannes: «Chistu è delinquente e io che delinquenti mi trovo bene… basta che non mi porta carte da firmare». Un giudizio in un certo senso condiviso dagli investigatori, che mostrano una certa attenzione per Nicola Tarantino, anche nel ruolo di responsabile della Sicilia Film Commission. Tracciati, fra gli altri, alcuni contatti con un manager che si presenta come portatore di interessi per conto di Netflix. Con il quale Tarantino è molto prodigo di consigli sui bandi per il cinema. Anche troppo.
Ma ormai la frittata è fatta. E mentre lei, che «fa lobby», cerca di metterci qualche pezza (ad esempio cancellando ogni traccia che la colleghi alla società lussemburghese), prova a dare i consigli giusti agli amici. A Nassogne avrebbe suggerito di prendere «un avvocato ovviamente palermitano amico dei giudici» per vincere il ricorso al Tar contro la revoca dei fondi da parte del governo regionale. Sappiamo com’è andata a finire. Un altro consiglio potrebbe avere avuto una sorte migliore. Come quello rivelato alla stessa giornalista amica alla quale confessa: «Meno male che si è fermato a livello regionale (il caso mediatico legato a Cannes, ndr) perché poi siamo riusciti a bloccarlo perché abbiamo dovuto chiamare Ignazio La Russa». Il presidente del Senato, racconta, «ha chiamato Schifani dicendogli: “Mo’ la pianti…”», perché «se questa cosa viene fuori a livello nazionale…». E così è stato. O forse no. Almeno non fino in fondo.