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Ecco l’algoritmo del potere a Catania, così il centrodestra si divide le poltrone

I numeri per prendersi assessori, quartieri e partecipate. E con i decimali un credito per future nomine

Di Mario Barresi |

La spartizione dei posti di potere, nel centrodestra, è una cosa seria. Di più: scientifica. Quando in campagna elettorale abbiamo parlato di “Cencelli alla Norma” – rivelando che la coalizione di Enrico Trantino aveva stabilito un punteggio per ogni casella nella futura giunta comunale – non immaginavamo che dietro ci fosse un tale rigore metodologico.

E invece è così.

Con una formula magica: tanti voti, tante poltrone. Il “pizzino” con i conteggi parla da solo. Mettendo a tacere (quasi) ogni contenzioso, al netto di qualche decimale in più o in meno.

Il primo accordo è precedente al voto. Patti chiari e amicizia lunga. Il sindaco, ovviamente, vale più di tutti: 3 punti. Poi gli altri: i dieci assessori un punto a testa, con uno 0,5 di bonus per il grado di vicesindaco (ma in questo momento pare non lo voglia fare nessuno) e 1,5 al presidente del consiglio. E poi i sei presidenti di municipalità, tutti candidati e vincenti: ognuno 0,75 punti. Parametrati anche all’indennità di carica, per ora con un tetto massimo di 1.300 euro al mese. La somma di tutte le poltrone è pari a 19,5.

E fin qui ci siamo. Il salto di qualità matematico-politico arriva dopo i risultati delle urne. Come stabilire chi prende cosa? Si parte dalla sommatoria dei voti della coalizione: 70,69%. A questo punto basta dividere per il valore di tutti i posti in palio (19,5) e si ottiene quello che viene definito, con orgoglioso lessico algebrico, il «coefficiente»: 3,6251. Arrotondato, per comodità, al quarto decimale.

Il gioco è fatto

Il gioco è quasi fatto. Serve un altro calcolo: dividere il risultato di ogni singolo partito per il coefficiente. E così, ad esempio, Raffaele Lombardo con il 16,87% (la somma delle due liste, Mpa e Grande Catania) ha un punteggio finale di 4,66. Il che, eletto un presidente di circoscrizione (0,75), dà diritto al presidente del consiglio comunale (1,5), con la probabile riconferma di Seby Anastasi, più due assessori (2 punti), il già designato Alessando Porto e una “Lady X” da ufficializzare nelle prossime ore, «anche in base al tipo di deleghe – dicono – che il sindaco ci darà». Il bottino vale 4,25. E il credito di decimali (0,41) non va perduto: «Lombardo lo userà per una partecipata di serie A», assicurano gli alleati. Magari la Sidra per Santo Castiglione, ex presidente di Ast.

Un solo assessore

Anche la Dc di Totò Cuffaro, con 1,81, ha ciò che le spetta: oltre alla municipalità, un solo assessore. E dunque Alessandro Chisari, designato prima del voto, dovrebbe lasciare spazio all’avvocato Giuseppe Marletta, già assessore di Raffaele Stancanelli. Con questa nomina Cuffaro disinnesca una grana interna: Marletta, primo dei non eletti all’Ars per una manciata di voti, dovrebbe ritirare il ricorso al Tar sull’atttribuzione del seggio ad Andrea Messina, poi diventato anche assessore regionale.

Un quartiere e due assessorati

La Lega di Luca Sammartino massimizza il suo 11%, pari a 3,04: un quartiere e due assessori (Andrea Guzzardi e Peppe Gelsomino, nonostante le aspirazioni di Fabio Cantarella, salviniano della prima ora), con la possibilità di utilizzare il “jolly” o per la vicesindacatura o per un robusto sottogoverno municipalizzato, anche in considerazione del passo indietro di Valeria Sudano.

Se i conti non tornano

Non sempre i conti tornano. Perché, ad esempio, Fratelli d’Italia (i cui voti vengono sommati alla lista civica Trantino Sindaco) totalizza il 23,77%. E ha 6,57 punti per lo shopping di poltrone. Ma se 3 sono per il sindaco, con due presidenti di circoscrizione (1,5) incassati, resta solo il quoziente per due assessori. Il terzo, in base a questo calcolo, andrebbe a Forza Italia: 12,43% di voti e quoziente di 3,43 per una municipalità e tre nomi in giunta (in tutto 3,75), con un generoso arrotondamento che però potrebbe sedare anche la faida etnea fra Marco Falcone e Nicola D’Agostino.

I meloniani puntano i piedi

Ma ai meloniani questi numeri non quadrano. «Non se ne parla nemmeno: il numero minimo di nostri assessori è tre», ha fatto sapere Salvo Pogliese agli alleati. La tesi: la scelta del sindaco, «fa parte di un accordo fra i leader nazionali» e niente terzo assessore ai forzisti. Che dovrebbero indicare Giovanni Petralia, con altri tre (Salvo Tomarchio, Antonio Villardita e Melania Miraglia) in lizza per la seconda casella. Ma se così fosse ci sarebbe un abbondante 0,68 di credito residuo, che i forzisti potrebbero investire su Massimo Pesce (altro assessore in pectore, stimato da Trantino che l’avrebbe voluto come vice) al vertice di una municipalizzata. FdI, in questo scenario, avrà i suoi tre posti in giunta: il già indicato Sergio Parisi, che potrebbe fare il vice, Viviana Lombardo e uno fra Luca Sangiorgio, Andrea Barresi e Daniele Bottino.

I numeri, seppur con qualche conto ancora in sospeso, corrispondono. Sennonché il sindaco, nelle interviste del giorno d’insediamento, ha inserito una nuova variabile: «Mi riserverò un assessore in quota mia». Una prospettiva che non piace agli alleati. Che sbandierano un numero, lo stesso da cui partono i cervellotici conteggi: 70,7%. La somma delle liste. «Oltre cinque punti in più del sindaco», annota con malizia chi gli “consiglia” di «non tirare troppo la corda sul suo assessore, né a fare troppo lo snob sui nomi forniti dai partiti che l’hanno di fatto eletto».

«Non sono Harry Potter», aveva detto Trantino il giorno della sua presentazione. Nessuno gli aveva ancora spiegato che, di lì a poco, sarebbe stato costretto a diventare un misto fra Archimede e Mandrake.

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