Politica
Da Palermo Bersani sfida il Pd di «arroganti e sudditi»
«Il Pd – attacca – è un partito plurale che non può camminare sulle gambe dell’arroganza e della sudditanza. Ma se anche il segretario dice “fuori, fuori” bisognerà anche rassegnarsi a un certo punto». Va dritto al sodo Bersani, che ha scelto la Sicilia per inaugurare la sua campagna per il “no” al referendum costituzionale. Tre le tappe: Palermo, Ragusa e Siracusa. Ieri mattina, a Palermo, l’ex-segretario del Pd ha partecipato a un dibattito organizzato dal centro studi “Pio La Torre” presso la facoltà di Giurisprudenza.
Davanti a una folta platea di studenti (eccetto le prime file più o meno occupate da politici locali ed esponenti della società civile di estrazione Pci-Pds), Bersani ha duellato – si fa per dire – con il professor Giuseppe Verde, ordinario di diritto costituzionale e sostenitore delle ragioni del “sì”. A fare da arbitro Vito Lo Monaco, presidente del centro studi.
Prima e dopo il dibattito una valanga di selfie, da far concorrenza ai “renziani”. Bersani non rinuncia al suo lessico e alle sue proverbiali metafore: «Un idraulico ti può dire “i tubi li aggiusto io”, ma non gli puoi chiedere di risolvere i problemi della politica». E ancora: «I cittadini non si preoccupano se in Parlamento c’è la navetta o no». Mentre ragionando sulla post-globalizzazione, ne tira fuori un’altra delle sue: «Qua abbiamo la mucca nel corridoio». Ergo, ci sono tante altre priorità rispetto a un’agenda politica incentrata esclusivamente sul referendum.
Una riforma «piena di difettucci» per Bersani, che prova ad andare oltre: «Bisogna mettere l’orecchio a terra con umiltà e scavare un po’ fuori del circuito politico-mediatico», dice cercando d’interpretare il disagio esistente tra i giovani e proponendo temi cari alla sinistra come il lavoro. «Se non diciamo che bisogna cancellare i voucher, lo farà la destra che non è liberista, ma sta diventando sempre più protezionista». Bersani cita Blair, Theresa May e i conservatori inglesi, ma gira e rigira va a finire su Renzi.
«Il mio segretario non ha voluto discutere: ha testardamente voluto scrivere in modo ambiguo questa riforma costituzionale». Con un incrocio pericoloso: l’Italicum. E il rischio di un «governo del capo. Un partito che è al governo, che ha la maggioranza, che ha preso in mano la Costituzione e ha messo la fiducia alla legge elettorale – aggiunge Bersani – ora pensa di cavarsela con un foglietto scuro. Quel foglietto per me significa che Renzi vuol mantenere le mani libere. Su quel foglio c’è scritto “stai sereno”. Io per stare sereno voto “no”, così sono sicuro che l’Italicum salta. Il 4 dicembre, comunque vada, non vincerà nessuno. Abbiamo già perso tutti».
Bersani non farà comitati per il “no”. Né ha voglia di sindacare sulle scelte altrui, come quella di Cuperlo, che ha firmato l’intesa sulla legge elettorale: «Non giudico; dico solo come la penso». E rivolgendosi agli studenti di Giurisprudenza dice di essere «moderatamente “bersaniano”. Ognuno deve ragionare con la sua testa».
È in questo clima di fair play che può essere inquadrato il botta e risposta con il professor Verde. Per il docente, sostenitore del “sì”, «la riforma si riannoda ai temi della Costituente e fa a pugni con la partitocrazia e con quelli che hanno reso il Senato un omologo della Camera. La struttura di questo bicameralismo renderà più efficiente gli apparati statali». E conclude: «Gli statuti speciali saranno rivisitati». Per la Sicilia, secondo l’opinione di alcuni, un riferimento al fatto che i deputati regionali non potrebbero ricoprire anche la carica di senatori.