Dalla Sicilia pezzi grossi verso Bruxelles Lombardo ci pensa (e Orlando pure)
Ressa in FdI: idea Razza, il caso Stancanelli. Fi, il “listone” divide. Il rebus Lega. Nel Pd un ingorgo palermitano: pronti anche Cracolici e Lupo. M5S, si rispolverano gli ex sindaci
Se ci si azzarda a chiedere ai diretti interessati, la risposta è in carta carbone: «Ancora è troppo presto, se ne parla dopo Natale». Sarà pure vero che la “quagliata” sulle candidature alle Europee del 9 giugno 2024 ci sarà nei primi mesi dell’anno prossimo. Ma sta di fatto che i partiti siciliani sono già in fibrillazione: quella per Bruxelles sarà l’ultima corsa per conquistare i seggi di prima classe, poi fino al 2027 restano soltanto le seggiole in palio alle Provinciali, con la suggestione di un election day su cui spingono FdI e Lega.
Tanti aspiranti, pochi (8) posti
Tantissimi aspiranti, molte ambizioni. E pochissimi posti. Otto, se - così come sembra - dovesse essere confermata la circoscrizione Isole. Quasi del tutto tramontato lo scenario di un blitz sulla legge elettorale per abbassare il quorum dal 4 al 3%, è improbabile che il pressing della Sardegna - per sdoppiare il collegio, attribuendo 6 seggi alla Sicilia e 2 all’altra isola - abbia successo. Ma non è ancora detta l’ultima parola sul ddl in Parlamento. Se tutto restasse come nel 2019, gli scranni resterebbero otto, assegnati col proporzionale a liste in cui c’è l’obbligo di candidare almeno tre donne.
Fratelli d'Italia
Fratelli d’Italia è la forza che punta al risultato più robusto: almeno due eurodeputati, in base alle proiezioni di primo partito anche a livello regionale. E c’è già la ressa degli aspiranti. Partendo da due uscenti: il palermitano Peppe Milazzo (eletto con Forza Italia), che di certo sarà riproposto, e l’etneo Raffaele Stancanelli. Ma Ignazio La Russa, viceré meloniano di Sicilia, rilassato in un gazebo estivo del partito sotto l’Etna, s’è lasciato scappare che «i candidati catanesi saranno almeno due», facendo col solito contegno guascone, due nomi: l’ex assessore regionale alla Salute, Ruggero Razza, e il coordinatore provinciale Alberto Cardillo. Un’esternazione che, al di là del contesto, aggiunge sale a una ferita aperta nel partito: il destino di Stancanelli. Che nel 2019 ruppe con Nello Musumeci, poco propenso all’alleanza con un «partitino del tre percento», uscendo da DiventeràBellissima, proprio per correre alle Europee. Oggi è tutto all’incontrario: l’ex senatore, schiettamente schierato contro il bis dello stesso Musumeci da governatore, s’è scontrato più volte con La Russa. E, in questo contesto, l’atteggiamento di Giorgia Meloni è stato di freddo distacco. Certo, a 73 anni e con la carriera che ha alle spalle, Stancanelli non può permettersi di correre senza paracadute. E, paziente, aspetta indicazioni da Via della Scrofa per capire se il partito vuole che resti a Bruxelles. Se così non fosse, liberi tutti. E si aprirebbe un altro scenario: più che Cardillo (comunque legato all’uscente), il nome caldo sarebbe quello di Razza, escluso al fotofinish dalla corsa per Palazzo degli Elefanti, ma ne entrerebbe in gioco anche un altro molto gradito a Salvo Pogliese: l’ex deputato acese Basilio Catanoso. In uno schema con Meloni capolista in tutti i collegi, con due posti ai sardi (un uomo e una donna), ci sarebbe da definire la coppia siciliana in rosa. Con tre nomi in lizza: la più accreditata è la deputata agrigentina dell’Ars, Giusi Savarino, con un ballottaggio messinese fra l’assessora regionale Elvira Amata e la senatrice Ella Bucalo. Con la prima in leggero vantaggio, nonostante l’eventuale elezione della seconda darebbe il posto a Palazzo Madama all’assessore regionale Francesco Scarpinato, con un benefico effetto-domino fuori e dentro il partito.
Forza Italia
Dopo FdI, nel centrodestra siciliano è Forza Italia ad aspirare ai risultati migliori. In ballo c’è il progetto del “super listone” centrista a cui lavora Renato Schifani, un’apertura nelle scorse settimane raccolta con apparente entusiasmo da Totò Cuffaro (Dc), Raffaele Lombardo (Mpa) e Saverio Romano (Noi Moderati). Alla festa dei giovani azzurri di Gaeta, il segretario nazionale Antonio Tajani, parlando di Europee, ha detto che «i candidati indipendenti che vogliono partecipare alla costruzione di un centro sono ben accetti». Bisognerebbe capire cosa intenda per «indipendenti» (alcuni forzisti presenti alla kermesse sostengono che il governatore non l’abbia presa bene), anche perché non tutti - e questo è il vero nodo da sciogliere a Roma nei prossimi mesi - ai piani alti del partito, sono disposti a dare spazio agli “infiltrati”, con l’effetto collaterale di consegnare al governatore lo scettro del leader virtuale con la percentuale più alta d’Italia. Ma tant’è. I due galli nel pollaio schifaniano hanno dato segnali di reciproca insofferenza nelle tensioni sui fondi Ue ai Comuni e sulle nomine dei commissari delle Province e dei cda dei Consorzi universitari: ieri ennesima fumata nera nel “verticino” di maggioranza. Ma, ammesso e non concesso che ci fosse la lista aperta, chi metterebbero in campo? Cuffaro confermerà l’uscente eletta nella Lega (la no vax Francesca Donato), ma avrebbe chiesto di poter puntare su «una coppia», magari pensando all’ex deputato Antonello Antinoro. Lombardo, invece, a La Sicilia ammette con candore: «Sto ricevendo forti pressioni per candidarmi in prima persona e, nonostante non abbia né l’età né la forza per prendere tre aerei trascinando trolley, ci sto pensando su». In un partito garantista sarebbe anche il riconoscimento del calvario giudiziario dell’ex governatore, definitivamente assolto nel processo per concorso esterno alla mafia, oltre che un atto di memoria rispetto al rapporto personale e politico con Silvio Berlusconi. «Alle ultime due Europee ho fatto votare Forza Italia», ammette sornione Lombardo. Che però valuta altre alternative: poco praticabile la suggestione, ricorrente a ogni elezione, del magistrato Massimo Russo, potrebbe arrivare la richiesta di «sacrificio» all’assessore regionale Roberto Di Mauro. «O magari sparigliamo, dando finalmente spazio ai giovani», si schermisce il patron autonomista. Che magari, in caso di impraticabilità del campo forzista (per un veto romano o magari per una rottura siciliana sulle nomine di sanità e sottogoverno) potrebbe virare sul “sostegno esterno” a un candidato di FdI, con cui la trattativa a dire il vero s’è un po’ raffreddata, a maggior ragione se fosse Razza. E i forzisti purosangue? Da tempo si dà per scontata la corsa, benedetta da Palazzo d’Orléans e spinta anche dal deputato regionale Gaspare Vitrano, di Daniela Cardinale, figlia dell’ex ministro Totò Cardinale. Come donna avrebbe il posto assicurato, ma non certo il seggio, vista la calca che c’è. Ma a Palermo sono in molti a pensare che in lizza possa esserci l’assessore Edy Tamajo, recordman di preferenze alle Regionali, legatissimo a Schifani. E nel partito c’è anche chi evoca il «modello vincente del 2004 e del 2009». Ovvero quando, rispettivamente, Cuffaro e Lombardo corsero per Bruxelles da governatori in carica. Come dire: «Renato, se hai ambizioni nazionali, mettici la faccia». Un’altra possibile candidatura, tutt’altro che di bandiera, è quella di Marco Falcone. Anche per «cambiare aria», sussurrano i suoi, visti i rapporti non più idilliaci con il presidente. L’opzione dell’assessore all’Economia potrebbe essere valida con o senza la lista aperta: in alternativa, sotto il Vulcano, più che a riproporre l’ex eurodeputato Giovanni La Via (tornato su piazza, dopo le dimissioni da direttore generale dell’Università), si penserebbe a lanciare un giovane amministratore locale, come Marco Corsaro, sindaco di Misterbianco. E, soprattutto se ci fosse il niet nazionale agli altri centristi, il discorso si allargherebbe ai deputati regionali Michele Mancuso e Riccardo Gennuso. Fermo restando il coinvolgimento di quote rosa qualificate, sempre in quota Ars: da Bernardette Grasso a Luisa Lantieri, quest’ultima perfetta come compromesso interno con Cuffaro. Sullo sfondo anche il destino di Caterina Chinnici: eletta col Pd e passata a Forza Italia, la figlia del giudice ucciso dalla mafia ha commosso e infiammato, assieme a Rita Dalla Chiesa, la platea dei giovani di Gaeta. Ma le può bastare ciò, ammesso che voglia riprovarci, per centrare la terza elezione con una maglietta diversa?
Lega
E poi c’è la Lega. Che, in Sicilia significa soprattutto Luca Sammartino. I suoi alleati sono tutti convinti che Matteo Salvini gli chiederà (se non l’ha già fatto) di trascinare in prima persona la lista, ma dalla segreteria catanese di via D’Annunzio trapela soltanto che «il nostro gruppo proporrà una candidatura molto autorevole». Per il resto, persa per strada Donato, c’è l’altra uscente, Annalisa Tardino, nominata dal Capitano commissaria regionale. Avrà la forza di contendere l’unico potenziale seggio al vicepresidente della Regione? Lo vedremo, misurando anche la forza di chi sarebbe in lizza: dall’altro assessore, il trapanese Mimmo Turano, al deputato messinese Nino Germanà, mentre a Palermo è in corso il corteggiamento a «un importante pezzo dell’imprenditoria locale».
Pd
Andiamo dall’altro lato della staccionata. Dove il Pd, che alle Europee ha registrato sempre buone performance, deve affrontare il benigniano problema del tttraffico palermitano. Data per scontata la riproposizione dell’uscente Pietro Bartolo, che ha ricevuto ampie rassicurazioni a Roma, la tensione dem è tutta concentrata sul capoluogo. Non fa più mistero di volersela giocare un pezzo da novanta come l’ex sindaco Leoluca Orlando. Ma si dà il caso che a scaldare i motori sia anche Antonello Cracolici, presidente dell’Antimafia regionale. E che a rifarci un pensierino sia anche Peppino Lupo, oggi consigliere comunale, magari dopo essere uscito lindo dal processo per corruzione. Per gli amanti della tesi vichiana è un gustoso déjà vu: si torna al 2014, quando sul tavolo del Nazareno arrivarono, la notte prima della chiusura delle liste, i nomi di Cracolici e Lupo, assieme a quello di Beppe Lumia. Tutti poi cancellati, fra tabù di comodo sul limite dei mandati e veti incrociati. E chissà che non possa esserci di nuovo in ballo l’ex senatore; «Perché no? È libero ed è una risorsa del partito», ipotizza un suo fan. Il segretario regionale Anthony Barbagallo, però, mette dei paletti: «La lista dovrà valorizzare i dirigenti di partito e i nostri sindaci, senza cadere nella tentazione di candidare icone di alcun tipo, e poi avere un preciso equilibrio di rappresentanza». Come dire: no all’ingorgo di aspiranti palermitani. E poi, soprattutto: niente più altre Chinnici. Il che fa svanire l’idea di chi avrebbe voluto corteggiare Fiammetta Borsellino, in buoni rapporti con la sinistra del partito, e fors’anche l’ipotesi di Giuseppe Antoci, ex presidente del Parco dei Nebrodi, che fonti dem, forse con un eccesso di malizia, vorrebbero «in avvicinamento ai grillini». Anche nel Pd c’è la questione rosa: Elly Schlein vorrebbe capolista tutte donne (potrebbe essere lei ovunque) e questo apre la strada a tante ipotesi in un partito che ha visto gli exploit di Chinnici e di Michela Giuffrida. Le più accreditata, dall’area orientale, è l’ex deputata messinese Flavia Timbro. Gradita anche allo stesso Barbagallo, oltre che a Sergio Lima, il siciliano più ascoltato al Nazareno. O magari potrebbe trovare spazio la deputata regionale etnea Ersilia Saverino, ora in freddo col segretario regionale che non a caso in alternativa pensa a «una sindaca d’area»: Margherita Ferro, senza tessera, ma a Belpasso in sintonia col Pd. A occidente sono sempre alte le quotazioni di Cleo Li Calzi, molto apprezzata per il lavoro che sta facendo su Pnrr e fondi Ue.
M5S
Il M5S deve ricominciare da zero. I due uscenti, Dino Giarrusso (campione di preferenze nel 2019) e Ignazio Corrao (comunque al secondo mandato) sono entrambi fuori dal movimento. Il primo ha buoni rapporti col Pd e soprattutto con Enzo Bianco, anche se la linea di Barbagallo escluderebbe gli esterni; il secondo è out, a meno di una candidatura nel mondo verde e ambientalista. E allora che si fa? Si aspetta, come sempre, l’oracolo di Giuseppe Conte. Che, come sempre, si prenderà il suo tempo. Intanto, però, in Sicilia c’è chi si porta già avanti col lavoro. Tre i nomi più ricorrenti: due ex sindaci (Federico Piccitto di Ragusa e Patrizio Cinque di Bagheria) e l’ex deputato regionale Giovanni Di Caro, che ha mancato il bis all’Ars all’ultima tornata. Sottocoperta, per ora, le donne, anche se c’è chi è certo che qualcosa comincia a muoversi nel Catanese. Ovviamente in campo c’è Cateno De Luca. Per ora ha mollato Matteo Renzi (che in Sicilia, come ha ammesso di recente alla scuola politica di Terrasini, alle Europee vorrebbe puntare su Davide Faraone) e Antonio Calenda (Fabrizio Ferrandelli e Francesco Italia i suoi top player isolani) e sta lavorando a «un catemoto europeo». Domenica sarà a Pontida per «stuzzicare l’orgoglio dei leghisti ortodossi che non si riconoscono in Salvini» e poi, dopo il test alle suppletive di Monza per il seggio senatoriale che fu del Cav, partirà la campagna per le Europee, con la rete civica che coinvolge anche Letizia Moratti. «Saro capolista in tutti i collegi, da Bolzano a Palermo, come un vero leader deve fare», anticipa “Scateno”. Ne vedremo delle belle. Anzi: le vediamo già. Nonostante chi si ostina a ripetere che «è troppo presto».