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La kermesse

Europee: Forza Italia in Sicilia non vuole la Dc di Cuffaro: cosa c’è dietro il “rifiuto”

Ultima apertura di Schifani, ma (oltre al gelo di Roma) è il partito siciliano a chiudere al partito dell'ex presidente

Di Mario Barresi |

Alla gioiosa sagra dell’orgoglio azzurro – fra Marco Falcone che si conquista un nuovo standing nel partito, con 48 ore di sfilata di big a Taormina, e il leader Antonio Tajani che si gonfia il petto preconizzando il 10% alle Europee, tappa intermedia verso il 20 alle future Politiche – si aggira il fantasma del brutto anatroccolo. Che poi tanto brutto non è, visto che Totò Cuffaro – è di lui che parlano, senza nominarlo – qui in verità non ce lo vogliono perché è forte e pieno di voti. Così, di fronte a un orizzonte mozzafiato che stringe Isola Bella all’Etna, mentre sul palco ci s’indigna per la morte di Giulia, si rivendicano «liberalismo» e «atlantismo», ricordando Silvio Berlusconi che «ha impregnato di valori Forza Italia: è questo il miracolo che ha fatto», nei corridoi del lussuoso hotel di Taormina l’argomento principale (soprattutto, ma non soltanto, per i siciliani) è l’alleanza con la Dc alle Europee.

La proposta di Renato Schifani

Dopo la proposta di Renato Schifani ai moderati (Raffale Lombardo nel frattempo s’è accasato nella Lega) resta quasi strozzato in gola il “no, grazie” a Cuffaro. Con un sottile – e a tratti stucchevole – cruciverba si passa dall’apparente devolution decisionale di Maurizio Gasparri, responsabile enti locali («Decideranno i dirigenti siciliani», derubrica venerdì sera) all’ultimo spiraglio riaperto dal governatore ieri all’ora di pranzo: «Bisogna aprire il partito a chi nella propria storia ha sempre dimostrato di condividere i valori del partito popolare». Cioè Cuffaro, che non s’è mai spostato dal «centro di gravità permanente» di cui parla lo stesso Tajani per fissare, citando Battiato, la posizione nella coalizione a trazione patriota-sovranista di un partito che «è leale e proprio per questo può rivendicare la propria identità», addirittura evocando «il vecchio ruolo della Dc, che garantiva stabilità». Eppure, quando il vicepremier sfiora l’argomento, fra i (pochi) filo-cuffariani in sala cala il gelo. «Non siamo né un taxi né un albergo a ore», scandisce il futuro segretario nazionale. Piazzando precisi paletti: «Il nostro simbolo è questo, non lo cambiamo». Come dire: se davvero Cuffaro vuole starci, chieda di entrare in Forza Italia. E dire che anche Schifani ha appena espresso un concetto simile: «Non siamo un autobus dove può salire chiunque, il mio governo viene attaccato proprio da chi cinque anni fa ottenne una candidatura». Raccogliendo un assist confezionato dal fedelissimo Marcello Caruso: «Non accoglieremo chi pensa di potere salire e scendere senza suonare il campanello». Ma il governatore e il coordinatore regionale forzista parlano di errori del passato (Dafne Musolino, candidata “indipendente” di Cateno De Luca, i cui voti furono decisivi per eleggere alle Europee del 2019 Peppe Milazzo, poi emigrato in FdI), mentre la questione riguarda il presente.

Cuffaro sì o Cuffaro no?

E così, al netto del forte impatto simbolico che qualcuno attribuisce all’arrivo di Tajani a Taormina assieme all’eurodeputata ex dem Catrina Chinnici, per il resto garbata e silenziosa fino ai limiti dell’invisibilità, il problema è tutto locale. La verità la dice lo stesso Cuffaro, replicando a Gasparri: «Ci sembra di cogliere malumori e qualche preoccupazione da una parte della classe dirigente di Fi siciliana». Il che corrisponde agli umori, rigorosamente anonimi, che si raccolgono nei corridoi del “CapoTaormina”. «Siamo noi a non volerlo: Totò vuole prendersi il seggio con i nostri voti, dopo averci preso consiglieri dappertutto», confessa una gola profonda del gruppo dell’Ars.

Pontieri al lavoro

Schifani prende tempo. «Prima o poi affronteremo con il segretario Tajani e la classe dirigente del partito la questione di come possiamo ampliare la nostra forza elettorale, il fallimento del terzo polo ci invita a farlo per intercettare l’area moderata e popolare». Fulvio Martusciello, capogruppo a Bruxelles, gli consegna «il compito di mettere insieme e far convivere esperienze anche diverse»; mentre Gasparri aggiusta il tiro su Cuffaro: «Sarà lui in primo luogo a valutare come affrontare le elezioni europee con soglia di sbarramento al 4%». Ma emerge già l’euro-piano B: una lista con tutti i deputati regionali dentro. Non a caso Edy Tamajo si dice «pronto», così come Margherita La Rocca a La Sicilia conferma che «se me lo chiede il partito io non mi tiro indietro». Fra gli altri possibili precettati: Riccardo Gennuso, Bernardette Grasso e la cuffariana Luisa Lantieri. Di certo ai blocchi di partenza ci sarà Falcone, mattatore di questa due giorni siciliana.

Marco Falcone padrone di casa

Se quattro anni fa #Etna19 era l’evento della corrente provinciale di un astro emergente oscurato da Gianfranco Miccichè (assente a Taormina, ma negli ultimi tempi in frequente contatto con l’assessore all’Economia), questa #Etna23 è la sua definitiva consacrazione. «Sono state due giornate straordinarie», confessa Falcone, emozionato, in chiusura. Duemila presenze stimate, ma soprattutto tre ministri, tutti i capigruppo di Roma e Bruxelles, una trentina di parlamentari, tantissimi giovani. Da padrone di casa accoglie il governatore come un ospite d’onore. Schifani incassa dal ministro Gilberto Pichetto l’imminente investitura da commissario per i termovalorizzatori, si prende l’affettuoso rimbrotto di Tajani («è un rompipalle, telefona in continuazione, anche alle sette del mattino: giustamente è impegnato a a risolvere i problemi della Sicilia e vuole risultati»), a cui riconosce una leadership su cui inizialmente non era convintissimo. E Falcone, dimenticando il gelo e le lavate di capo degli ultimi mesi, lo incorona come «esempio di buon governo». Ma ora gli equilibri sono diversi. E l’ex bravo ragazzo di Mirabella Imbaccari si pone, nei fatti, come alternativa per il futuro di Forza Italia in Sicilia. Certo, saranno decisivi i numeri. Quelli delle tessere (11mila in Sicilia, più del 10% di quelle in tutt’Italia, di cui 3.500 nel Catanese) non bastano, ora servono i voti alle Europee. Magari senza Cuffaro, in nome di «identità e coerenza» del partito . Chi vivrà vedrà. Due verbi coniugati al futuro. Con la erre moscia.

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