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Il retroscena
FdI, il repulisti di Giorgia Meloni: perché la premier ha azzerato i vertici del partito in Sicilia
La nomina di un commissario che sostituisce i due coordinatori regionali e le dimissioni (indotte) del vicecapogruppo alla Camera: cosa succede nel partito
La verità è che, già da un bel pezzo, Giorgia Meloni s’era «rotta le scatole» – edulcora una fonte nazionale di Fratelli d’Italia – della «guerra fra bande», combattuta pure a colpi di dossieraggi, ma soprattutto dell’«immagine negativa» del partito in Sicilia, troppo spesso accostata a scandali su fondi pubblici e gestioni feudali del potere.
E così ieri c’è stato quello che a Roma definiscono «un reset totale»: arriva un commissario, Luca Sbardella, che sostituirà i due coordinatori regionali, Salvo Pogliese e Giampiero Cannella. Il sigillo sta in una lettera di poche righe, firmata dalla leader del partito che ringrazia i due «per il loro prezioso lavoro svolto sul territorio in questi anni» e investe il nominato della nuova missione siciliana, «certa che saprai meritare la fiducia che ti è stata accordata svolgendo il tuo compito nell’interesse del partito e della sua crescita». In questo scenario s’innesta anche un altro colpo di scena: le dimissioni di Manlio Messina dal ruolo di vicecapogruppo vicario alla Camera.
L’indiscrezione, rivelata in mattinata su lasicilia.it, dopo lunghe ore di imbarazzato silenzio dei vertici meloniani, viene confermata dal diretto interessato: «Considerata la situazione articolata che sta coinvolgendo il partito in Sicilia da diversi anni e ritenendo tutti responsabili di tale situazione, me compreso, ho deciso di dare un segnale importante a tutta la classe dirigente nella speranza che si possa trovare finalmente unità di intenti sulle scelte e le azioni da mettere in campo».
Cosa è successo nello spogliatoio FdI
Ma cos’è successo nello spogliatoio patriota per arrivare alla clamorosa svolta? Il dossier Sicilia era già da tempo sul tavolo di Via della Scrofa. A partire dall’«anomalia statutaria» (come la definisce un parlamentare di peso) del doppio vertice regionale, uno orientale e uno occidentale, che FdI ha ereditato dall’organizzazione del Fronte della Gioventù prima e da quella di Azione giovani poi.
Della necessità di riunificare la leadership, così com’è in tutte le altre regioni d’Italia, se ne discuteva da quasi due anni; sarebbe bastata una modifica allo statuto in assemblea nazionale. Ciò che è successo ieri, però, è diverso: Meloni “asfalta” il partito siciliano, azzerandone i vertici, e invia un suo sherpa di fiducia (un deputato romano eletto in Lombardia) per ricomporre i pezzi.
Il retroscena Cannata – Auteri
Perché il blitz, proprio ieri? E che c’entra l’incarico romano di Messina, da sempre fra i siciliani più vicini alla premier? «La scelta del commissariamento è legata alla necessità di allineare il partito siciliano alla visione voluta e al passo impresso da sempre dalla nostra leader», è la scarna «interpretazione autentica» smozzicata a La Sicilia da Giovanni Donzelli, responsabile nazionale dell’organizzazione, che ufficializza la nomina di Sbardella (suo vice) augurandogli «buon lavoro».
Il punto di rottura con Roma sta nell’antologia dei veleni siciliani. Dal più recente, la gestione “allegra” dei finanziamenti locali raccolti dal parlamentare Luca Cannata, al caso dei contributi dell’Ars ai familiari del deputato Carlo Auteri (autosospeso dal partito), indietro a ritroso fino agli scandali, con annessi risvolti giudiziari, sui fondi regionali del turismo.
Veleni e “manine”
Negli ultimi tempi il livello di scontro s’è alzato: Cannata accusa apertamente Auteri (col suo dante causa Messina) di essere la “manina” che ha diffuso chat e audio sulla «colletta» imposta agli amministratori di Avola, sistema rivelato da questo giornale e finito in un fascicolo della Procura di Siracusa. E, fra i meloniani del sud-est, c’è chi giura che quella di Auteri&C. sarebbe una vendetta sul gruppo rivale, a sua volta accusato di aver contribuito alla diffusione di alcune carte compromettenti sulla faccenda, più scabrosa, dei finanziamenti per eventi e spettacoli.
Raccontata così, però, sembra poco più che una sagra (o meglio: una faida) di paese. Il salto di qualità, rispetto all’attenzione nazionale del partito, è dovuto a due elementi. Il primo, come ammettono da Roma, è «l’incapacità» o almeno «l’omesso controllo» del tandem di coordinatori sui conflitti locali. Ma non è tutto. Decisivo, in questo ragionamento, è il peso di Messina, finora ritenuto il siciliano più influente nelle stanze meloniane dei bottoni. Difeso dal partito, da esponente di punta della “corrente turistica”, anche nella bufera per i casi Cannes e SeeSicily.
Che senso ha coinvolgere l’ex assessore nel repulisti proprio ora? «Non mi occupo più di vicende siciliane», ostenta da tempo lui che è persino uscito dalla chat regionale di FdI. A Messina i nemici addebitano, oltre alle responsabilità sulle faccende del turismo, un «eccesso di foga» nella difesa del suo pupillo Auteri. Fino al punto di arrivare a un duro faccia a faccia – lo scorso novembre all’apice dell’imbarazzo sui fondi-bancomat dell’Ars per gli eventi – con lo stesso Donzelli. «Manlio, in Sicilia avete messo in piedi un sistema: noi siamo diversi dagli altri, non dobbiamo dare l’idea di gestire il potere per farci i nostri affari. Devi dissociarti da Auteri», il senso della strigliata del braccio destro di Meloni. Al quale Messina, nella ricostruzione del Fatto, avrebbe risposto sprezzante: «Parli tu che hai il fratello arrestato? Se le cose stanno così, mi dimetto».
L’ex assessore annuncia una diretta social, ma poi – grazie alla mediazione di Ignazio La Russa – non se ne fa nulla. La resa dei conti è soltanto rinviata. Donzelli, bisbigliano in FdI, «non l’ha mai sopportato, soprattutto per la sua influenza su Giorgia e per il rapporto con Lollo (Francesco Lollobrigida, ndr) che l’ha sempre coperto». E forse non è un caso che «proprio Giovanni spinse la candidatura di Manlio a sindaco di Catania per toglierselo dai c… a Roma».
Manlio Messina travolto
Così si capisce meglio il senso delle dimissioni di martedì sera, formalizzate al capogruppo Galeazzo Bignami, dopo un colloquio «molto teso» con Arianna Meloni. La sorella della premier anticipa a Messina il commissariamento del partito regionale, aggiungendo che «per ragioni di opportunità» sarebbero state «azzerate anche le cariche di punta degli altri siciliani». Cioè la sua. E allora, anziché subire l’onta della rimozione forzata, il vice vicario a Montecitorio decide di farsi da parte.
Perché Sbardella
Adesso nell’Isola sbarca Sbardella. «Una scelta della nostra leader, che non favorisce né penalizza alcun gruppo o esponente locale», mettono le mani avanti in Via della Scrofa. Il curriculum del nuovo console meloniano di Sicilia, però, parla di una lunga militanza – da An al Pdl – nella storica corrente Gasparri-La Russa, per poi seguire il secondo nell’avventura di FdI. Gongolamenti in corso fra i Fratelli di Paternò? Non è dato saperlo.
«Ma Luca – ricordano – è soprattutto un uomo di partito, uno pragmatico e con grande capacità d’organizzazione». Sua, giusto per fare un esempio, è stata la regia del comizio finale di Enrico Trantino, con tutti i leader del centrodestra sul palco a Catania. Dopo l’annuncio di Donzelli, in un partito che non brilla certo per gli spazi di creatività, tutti i big siciliani di FdI (dal ministro Nello Musumeci al presidente dell’Ars, Gaetano Galvagno; i parlamentari di Bruxelles e Roma; assessori e deputati regionali; e giù fino ai consiglieri comunali) si esibiscono in note con la carta carbone: buon lavoro a Sbardella, grazie a Pogliese e Cannella per il lavoro svolto. Anche il governatore Renato Schifani accoglie l’inviato di Meloni. Nessuno, fra i big di FdI, spende una parola sulle dimissioni di Messina.
La “calata” da Roma
Il neo-commissario la prossima settimana potrebbe fare il suo esordio in campo, ma ha già scambiato «informazioni utili» con qualche collega siciliano, compreso chi si qualifica già come suo «vecchio amico». Ad alcuni Sbardella è solito regalato una cassetta di “Cesanese del Piglio”, un Docg dei monti Ernici, nella zona di Frosinone, di cui è orgoglioso produttore. Qualche bottiglia la riserverà magari per i vertici del rissoso centrodestra siciliano. Quelli dove, seduto con Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo, dovrà decidere sui candidati nei Liberi consorzi di Ragusa ed Enna e sul sottogoverno nelle partecipate regionali. Un bicchiere di quello buono, per agevolare le trattative. O magari per dimenticare, sin da subito, dov’è andato a finire.