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Il retroscena

Forza Italia vuole rottamare Miccichè: il sostituto è l’uomo-ombra di Schifani

Lettera di tutti i 12 deputati dell’Ars a Berlusconi: «Rimuova il coordinatore regionale». E invocano un commissario «di sintesi ed equilibrio»: il segretario particolare del governatore

Di Mario Barresi |

Il “messaggio nella bottiglia” risale ormai a quasi un mese fa. La lettera, infatti, è stata firmata da i 12 deputati regionali di Forza Italia all’Ars nelle fasi più concitate del voto sulla finanziaria regionale. Il destinatario è Silvio Berlusconi e la ragione principale per cui il capogruppo Stefano Pellegrino ha chiesto a tutti di sottoscriverla è «lanciare al presidente e ai vertici nazionali un chiaro messaggio: in Sicilia è stata ritrovata l’unità».

Eppure, in quei fogli, c’è un chiaro passaggio sul futuro prossimo del partito nell’Isola. La richiesta – l’ennesima, ma stavolta con uno scenario molto diverso dal passato remoto e recente – di “rottamare” Gianfranco Miccichè, togliendoli il ruolo di coordinatore regionale. E c’è pure il nome del commissario, una figura «di equilibrio e di sintesi», che l’intero gruppo dell’Ars vorrebbe per gestire la fase di transizione. Cioè l’uomo-ombra di Renato Schifani: Marcello Caruso. Da pochi giorni nominato – subito dopo lo sblocco per i contratti agli esterni negli staff del governo regionale, grazie al via libera al bilancio consolidato – capo della segreteria particolare del presidente della Regione.

Il palermitano Caruso, al netto di una parentesi autonomista (fu coordinatore dell’Mpa a Palermo e Raffaele Lombardo lo nominò, negli ultimi giorni del suo governo, commissario all’Istituto Vino e Olio), è da sempre uno “schifaniano” di strettissima osservanza. Tant’è che fu chiamato «in comando temporaneo» nella segreteria particolare della presidenza del Senato, autorizzato dall’Esa, l’ente regionale di cui è dipendente. Caruso ha anche trascorsi da amministratore locale (assessore comunale e provinciale a Palermo), oltre che una sfilza di incarichi ai vertici di enti pubblici e società partecipate. Nella sua città lo ricordano a gestire la rogna dei rifiuti alla guida dell’Amia, nel 2009, ma l’ultima esperienza è da presidente della Sas di “mamma Regione”. Da cui si dimise nel dicembre 2018, lasciando allo stesso tempo anche il ruolo di coordinatore provinciale di Forza Italia, dopo le «parole inaccettabili» ascoltate in tv. Guarda caso proprio da Miccichè, sulla stabilizzazione dei precari: «Chi non è capace vada a casa, qualcuno sta mettendo in mezzo a una strada 150 famiglie!».

Caruso, che era anche responsabile regionale Enti locali del partito, ha saputo aspettare il suo momento. Sempre accanto a Schifani sin dalla campagna elettorale, è il suo “ministro degli affari interni”, aiutandolo ne i complicati equilibri forzisti, ma anche il suo ambasciatore nei rapporti con gli alleati del centrodestra. Fra i quali, giorno dopo giorno, s’è conquistato la fama di «uno di cui ci si può fidare». Fino al punto che un big non forzista della maggioranza si spinge a dire che «se Musumeci avesse avuto al suo fianco uno come Marcello, avrebbe risolto la metà dei suoi problemi».

Al di là del physique du rôle, il punto è un altro. Invocare la rimozione di Miccichè («L’hanno fatto in tanti, negli ultimi 25 anni, ma non c’è mai riuscito nessuno», ripete spesso il viceré berlusconiano di Sicilia) è un conto. Chiedere che a sostituirlo non sia un commissario più o meno esterno, come ad esempio Giorgio Mulè, di cui s’è a lungo vociferato, ma l’uomo in assoluto più vicino a Schifani non è una scelta che al livello nazionale si può assumere a cuor leggero. Poiché, significa consegnare, di fatto, il partito siciliano al presidente della Regione. Da Arcore, così come da Roma – dove i desiderata siciliani sono stati accolti con un misto fra il sollievo per aver risolto il ridicolo caso del doppio gruppo all’Ars e l’imbarazzo di affrontare la questione con “Mister 61-0” – nessuno ha comunicato una scelta ufficiale. Ma dentro questo silenzio, ormai non proprio breve, c’è la consapevolezza diffusa che il partito nell’Isola ha deciso: sta con Schifani. Che ha stravinto la sua partita. Risolvendo, in laborioso silenzio, una complicata (ma scontata) equazione algebrico-politica: a ogni segno meno per il leader regionale corrisponde un segno più per il governatore. Il potere logora chi non ce l’ha. E così Miccichè è rimasto solo, esiliato nel gruppo misto all’Ars. Un quadro che Berlusconi ha ben chiaro, anche dopo la visita del governatore a Villa San Martino il 24 febbraio. «Un incontro positivo», dicono all’Ars. Un’occasione in più per ribadire al Cav che «con Gianfranco non c’è alcuna possibilità di ricucire».

C’è un episodio preciso che, nella vulgata della Presidenza, ricorre sempre come il vero punto di rottura fra i due. E cioè il «patto tradito» sugli assessori forzisti. Risale a una domenica d’autunno, il 6 novembre scorso. Schifani incontra Miccichè a casa sua, e va via certo di aver chiuso il cerchio: Giovanna Volo alla Salute e l’ex presidente dell’Ars che opta per il Senato, lasciando il seggio regionale a Pietro Alongi, fedelissimo del governatore, e restando coordinatore regionale. Quella sera stessa Schifani telefona a Berlusconi per comunicargli la lieta novella. «Bravi, mi fate felice», la reazione. Due giorni dopo, sul nostro giornale, arriva la smentita. Miccichè: «Con Schifani niente intesa». «Quando lessi quel titolo e poi il pezzo- ha raccontato più volte il presidente della Regione ai suoi – capii che dovevo metterci una pietra sopra. Con Gianfranco era davvero finita…».

E così è stato. Col progressivo e scientifico accerchiamento del rivale, a partire dalla linea dura sulla scelta della giunta, nonostante gli estremi tentativi di mediazione del Cav anche tramite Licia Ronzulli. La stessa sacerdotessa di Arcore che ora deve espletare la richiesta di fare fuori Miccichè. Firmata anche dagli ex fedelissimi del coordinatore (Michele Mancuso e Nicola D’Agostino), per i quali lui si dice «profondamente deluso dal punto di vista umano», con un’urgenza politica che incombe. «Bisogna stabilire le strategie, ma soprattutto fare le liste per le elezioni amministrative. E Gianfranco – conferma una deputata che «gli vuole bene» – questo non può più farlo». Anche per questo la scelta dei vertici nazionali non è più rinviabile, al netto della melina di Ronzulli. Che però ha garantito «una soluzione a breve scadenza». Ma il tempo stringe. E proprio mentre alle redazioni arriva il comunicato di Miccichè che lancia l’allarme sul telescopio Flyeye di Isnello («La Regione rischia di perdere un importante polo scientifico astronomico per l’insipienza di qualcuno»), ieri sera il gruppo di Forza Italia all’Ars fa “spogliatoio” con Schifani. Che rivela di aver già convocato per domani mattina «il primo vertice di maggioranza per fare il punto su questi mesi di governo» e concorda con i suoi la linea da tenere con gli alleati, a partire dalle tensioni accumulate con Fratelli d’Italia.

Per l’intoccabile leader siciliano è l’ora della verità. Sarà Miccichè, come da bigliettino da visita di coordinatore regionale, a rappresentare Forza Italia al summit convocato da Schifani? Lo farà nonostante sia una solitaria “particella di sodio” del Misto, sfiduciato da tutti i suoi? Oppure, fra oggi e domani, dal vertice nazionale azzurro arriverà un contrordine? Dalle stelle sulle Madonie alle stalle di Arcore (ma Vittorio Magano, stavolta, non c’entra), alla fine, è un attimo. Ma il diretto interessato, che voleva candidare «un gatto» a Palazzo d’Orléans, ostenta da sempre una tempra felina: «Io non ho sette vite, ne ho settantasette»..Twitter: @MarioBarresiCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA