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Grande Sicilia, il bagno di folla a Enna e quel guizzo di novità che è mancato
Dalla scelta del nome al codice di legalità da rispettare, cosa c'è dentro la nuova creatura politica di Lombardo, Lagalla e Miccichè
L’hanno chiamato Grande Sicilia. Ma manca quel quid. E dunque, per ora, resta un jovanottiano Grande Boh. Eppure i tre leader, non più giovanotti, del nuovo movimento – in ordine di apparizione sul palco: Roberto Lagalla, Gianfranco Miccichè e Raffaele Lombardo – sono già affiatati in quella che sembra una tattica basata sulla netta suddivisione dei ruoli: il sindaco di Palermo si erge a buon pastore, ultramoderato e civico; l’ex viceré berlusconiano di Sicilia fa l’ariete da sfondamento, che le dà e in caso le prende pure; il patron del Movimento per l’Autonomia è lo stratega, ma anche – a giudicare dalla sala di ieri mattina – quello che porta i voti.
I numeri
L’auditorium della Kore di Enna, nonostante la deterrenza di una domenica mattina incerta, è pieno come un uovo. Un migliaio di presenze, secondo gli organizzatori; non c’è, come nelle manifestazioni di piazza, il riscontro della questura, ma il dato è attendibile. Dal maxi-schermo spunta il nome, già risaputo, di Grande Sicilia. «Per me è un regalo di compleanno», ringrazia Miccichè (che a dire il vero aveva proposto di chiamarlo Stella del Sud), ricordando l’esperienza di Grande Sud. Per ora meglio tenersi dentro i confini regionali, è la sintesi finale. Anche se qualcuno comincia a sognare la traversata dello Stretto, per ora senza Ponte, con un primo nucleo di Grande Calabria. E, da «calabrese, che vi conosce e vi frequenta», se la ride il giornalista Francesco Verderami, a cui va l’onore di condividere il palco con i “tre tenori” con tanto di ringraziamento perché «s’è impegnato a lavorare con noi e con i giovani in particolare».
Il logo
Nel logo svolazza, in un cielo azzurro, la colomba dell’Mpa. «È un simbolo di pace», garantisce Lombardo quasi a voler smentire intenti bellicosi. Sotto il nome ci stanno le tre parole distintive. La prima, va da sé, è «autonomisti». Un brand di cui si festeggia il ventennale, che l’ex governatore onora invocando «lo spirito del congresso Mpa di Bari nel 2005». Il secondo termine è «civici», come le decine di amministratori locali presenti, incuriositi da un nuovo contenitore non schiacciato a destra. Infine, «democratici». Ed è quest’ultimo aggettivo, pleonastico in un regime ufficialmente non totalitario, a dare una prima scossa. Una strizzata d’occhio al centrosinistra? «Chi non è democratico? Praticamente tutti: cinque milioni, in Sicilia. È un segnale di apertura: noi – scandisce Lombardo – siamo democratici e quindi siamo aperti all’apporto di tutte le persone di buona volontà che sposano questo progetto che è del civismo, dell’autonomia, dei valori liberali e dei diritti».
La precisazione di Lombardo
Ma allora dove starà Grande Sicilia? «Io non mi sento né di centro, né di destra, né di sinistra: mi alleo con chi crede in noi e ci dà una mano», sillaba Lombardo, che con il suo Mpa (che non si scioglie, ma è vivo e lotta insieme a lui) resta federato con Forza Italia. Precisando: «Resto radicato nel centrodestra, anche perché il centrosinistra, con la sua ideologia wok, il manicheismo e la supponenza, non ha niente da insegnarmi». Più rassicurante Lagalla: «Stiamo nel centrodestra, convintamente e lealmente». Per il sindaco «non è l’ennesimo movimento che prova a occupare uno spazio al centro, ma vuole essere un interlocutore serio dei siciliani, a partire dai comuni». Con una prima scadenza immediata: le elezioni provinciali di secondo livello, in cui «metteremo insieme le forze – annuncia il sindaco – per contribuire a un rinnovamento progressivo di questa politica». Brusio in sala: «Ha detto progressista?». No, ha detto «progressivo». Ma alcuni sguardi maliziosi s’indirizzano verso Terenziano Di Stefano, sindaco di Gela che il centrosinistra spinge per la presidenza del Libero consorzio nisseno. Non ci sono, però, i colleghi Francesco Italia (Siracusa) e Peppe Cassì (Ragusa). «Li corteggia Forza Italia, ma mai dire mai…». C’è, e si muove da potenziale coordinatore regionale, il sindaco di Adrano, Fabio Mancuso. Mentre da Palermo a Lagalla arrivano bordate dagli alleati. L’eurodeputato Peppe Milazzo, in una chat di FdI, critica la scelta del sindaco civico che si schiera con Lombardo e Miccichè: «Roberto perderà consenso, anche i suoi questa cosa gliela vomiteranno addosso». Non la pensa così il suo assessore Fabrizio Ferrandelli, presente a Enna con un sorriso soddisfatto: «Qui ci sto bene: sono stato cercato, non mi sento mal sopportato».

Il post grillismo
Certo, in una nuova “Cosa” che mantiene la comfort zone nel poltronificio del centrodestra, ma che apre le porte «a tutti», ci sta pure una sana dose di post grillismo. E fa una certa impressione ascoltare Giancarlo Cancelleri parlare di «un movimento spiccatamente ambientalista» e di «democrazia partecipata». L’ex capopopolo del M5S siciliano, già ex forzista, a Grande Sicilia porta in dote due consiglieri di Caltanissetta. Per lui applausi anche dal pubblico più sospettoso quando esterna pubblica abiura di «un movimento con persone senza esperienza che qualche danno l’ha fatto».
Le giovani donne
Palcoscenico alle giovani donne. Di meritocrazia, ambiente e di politica del fare parlano Rosa Geraci (ricercatrice di Palermo), Paola Marino (consigliera di Melilli) e Maria Saeli, imprenditrice agricola di Bagheria con trascorsi in +Europa e in Azione, di cui è stata segretaria regionale. Ad applaudirle, in seconda fila, c’è una portabandiera del pink power: Patrizia Monterosso. «E perché non dovrei essere qui?», la risposta, con un interrogativo retorico, della “zarina emerita” (diffidare dalle imitazioni) di Palazzo d’Orléans e della Federico II alla domanda del cronista. Sono tutte brave, pulite e molto motivate, ma non riescono a colmare quel senso che comincia a emergere nella presentazione del Lo-La-Mi. Parlano tutti di giovani – e alla kermesse ce ne sono tanti – ma i verbi sono sempre al futuro remoto. Lombardo definisce «un cretino» il deputato regionale che in una chat ha osato fare la sommatoria delle età dei tre leader. Ma è un tema: tutti assieme, a metà aprile, arriveranno a 215 anni. Una media comunque inferiore rispetto alla carta d’identità di due ospiti illustri che spiccano in prima fila: Michele Ricotta, già deputato regionale nisseno classe 1948, che sulle spalle ha un decennio in più (e qualche guaio giudiziario in meno) dell’ex collega ripostese Nino Amendolia.
Gli affondi di Miccichè
Miccichè, come da copione, aizza la folla. Con un paio di (tutto sommato garbate) sollecitazioni a Renato Schifani che lo ascolta dal vivo così come Gaetano Galvagno. Una è di fatto la richiesta («presidente, te lo urlano i siciliani») di cacciare il manager Ferdinando Croce, senza fare il nome, dall’Asp di Trapani, «perché dobbiamo scegliere quelli bravi, non può starci chi fa morire centinaia di persone che non ricevono il referto a casa». Sul palco, dietro all’ex presidente dell’Ars, c’è Salvo Tamburello, dipendente del Policlinico di Catania, qui in veste di bravo presentatore lombardiano. Il secondo affondo («un altro consiglio») di Miccichè è sul Rimed di Carini, «voluto da un accordo fra Berlusconi e Bush a cui io ero presente»: al centro di ricerca, fiore all’occhiello della partnership Regione-Ismett, «bisogna dare risposte, segnali di attenzione». Sottotitolo generato dai beninformati: non consegni la prateria della sanità privata in Sicilia al gruppo San Donato, presieduto da Angelino Alfano, e a Humanitas, legata alla famiglia di Luca Sammartino.
Gli applausi per Lombardo
Anche Lombardo, vincitore incontrastato dell’applausometro, prova a scuotere il pubblico. Abozza la versione 4.0 dell’autonomismo, dichiarando guerra a fotovoltaico ed eolico, rivendicando la forza di «una banca siciliana», con citazione per Baps, e chiedendo di «sputtanare Anas» per i cantieri-lumaca. E nel partito dell’ultimo deputato Ars arrestato per mafia, il capogruppo Giuseppe Castiglione, c’è un nuovo codice di legalità: «Non commettere sciocchezze, non avere distrazioni, non credere alle promesse di gentaglia da due lire, che fa proprio schifo. E non ha un voto…». Il consiglio dell’ex governatore, uscito a testa alta da 12 anni di processo per concorso esterno, è chiaro: «Allontaniamoli».Non basta: in questa lunga mattinata manca un guizzo. Una novità vera, per cancellare il sospetto che Grande Sicilia sia una fusione a freddo, una somma di bacini elettorali utile a tutti i protagonisti (a Lombardo per sfondare a Palermo, a Lagalla per accarezzare il sogno da governatore, a Miccichè per la resurrezione politica), ma di cui non si sentiva la mancanza. C’è ancora tempo e «fra qualche settimana arriverà una presenza di altissimo livello», giurano a Enna. Dove, con le note di Franco Battiato, a ora di pranzo si conclude la presentazione del nuovo movimento. E il senso più compiuto sta nella saggezza popolare della sintesi politica del mitico ex deputato regionale Totò Lentini. «Megghiu ’u tintu canusciutu ca ’u bonu a canuscuri».