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Il totoministri siciliano, “pazza idea” M5s: «Giancarlo Cancelleri ai Trasporti»

Di Mario Barresi |

CATANIA – Il tam-tam sulle chat grilline – partito in sordina dopo Ferragosto e ora talmente incontrollabile da finire sui display dei nemici interni – è diventato un vero e proprio viaggio della speranza. Con tanto di biglietto aereo (di sola andata) per Fiumicino. Il gruppo dirigente del M5S siciliano esce allo scoperto: «Abbiamo il diritto di indicare un ministro in un posto che dia risposte concrete all’Isola».

Se non ora, quando? E quindi, mentre sta nascendo – Rousseau permettendo – il governo giallorosso, la rivendicazione “sicilianista” prende forma. Con un nome e un cognome: Giancarlo Cancelleri. E un obiettivo ben preciso: il ministero delle Infrastrutture. Non è più un segreto che lo storico leader nisseno, spinto da uno zoccolo duro di portavoce regionali e nazionali, punti al grande salto a Roma. Né è un mistero che la richiesta (ambiziosa) sia la poltrona di Danilo Toninelli. «O in alternativa un posto in cui si possa davvero incidere sullo sviluppo della nostra terra, come l’Agricoltura o il Mezzogiorno», si lascia scappare chi sta perorando la causa a Roma. Con Luigi Di Maio, di cui Cancelleri (in silenzio tombale, col cellulare che squilla a vuoto da giorni) è un fedelissimo, anche ora che il capo politico è in difficoltà. Ma l’idea è anche sul tavolo di Giuseppe Conte, che a M5S e Pd ha chiesto «rose di nomi» almeno per le caselle più importanti.

Certo, la partita non è facile. E non solo perché le quotazioni del vicepremier uscente siano in picchiata. Anzi, paradossalmente, oggi per Di Maio sarebbe più facile strappare un ministero non “platinato” per uno dei suoi.

«Il punto non è la carta d’identità degli uscenti, ma la qualità e il ruolo di chi può incidere sul futuro dell’Isola», è la tesi di Ignazio Corrao. Argomentata con dati statistici: «È siciliano un sesto dei parlamentari nazionali, alle Europee e alle Amministrative abbiamo dimostrato che siamo ancora più che radicati sul territorio», dice l’eurodeputato alcamese. Che proprio ieri, in un’intervista a La Stampa, sembra smarcarsi da Di Maio («Non è importante se fa il vicepremier o no») puntando tutto sul governo di Conte, «uno straordinario uomo delle istituzioni». Corrao, che pressa su Palazzo Chigi affinché «il commissario europeo sia indicato dal M5S coinvolgendo il gruppo di Bruxelles» (ma, precisano dal suo staff, «non è un’autocandidatura»), ha la levatura per essere decisivo. «Giancarlo è l’uomo giusto al momento giusto», va ripetendo agli attivisti che lo chiamano. Ma contro il salto romano del vicepresidente dell’Ars (consentito dalle regole grilline, in quanto nomina e non carica elettiva) erutta una fronda che ha l’ epicentro sotto l’Etna. Dove c’è chi va diffondendo la foto di un sms in una chat in cui Cancelleri, in piena crisi di governo, si diceva «felice» se «si va a votare».

Il capo carismatico dei grillini siciliani ha anche un competitor di rango nel triestino Stefano Patuanelli, capogruppo al Senato, che aspira al dopo-Toninelli. Ma potrebbero influire altre dinamiche, al netto della trincea di Di Maio per mantenere un siciliano (più d’origine e d’accento mazaresi che di tòpos politico) come Alfonso Bonafede alla Giustizia, con l’ uscente catanese Giulia Grillo (Salute), che il totoministri delle ultime ore dà ancora fra le possibili conferme. In ascesa, a Roma, danno anche un’altra etnea: Nunzia Catalfo, presidente della commissione Lavoro al Senato. Una “secchiona”, madrina del reddito di cittadinanza e già alle prese con il ddl sul salario minimo garantito inserito nel programma giallorosso, apprezzata dallo stesso Conte, che potrebbe sceglierla (al Lavoro, ma non solo) se il M5S la indicasse nella lista per qualche ministero. E poi c’è il il capogruppo a Montecitorio, il messinese Francesco “Ciccio” D’Uva, nelle ultime settimane molto apprezzato, anche al Quirinale, per l’aplomb mostrato nelle consultazioni. A proposito: nel risiko dei sottosegretari (se non per qualcosa di più prestigioso), sono molto quotati i due parlamentari “mattarelliani” del M5S: i palermitani Giorgio Trizzino (che ieri sui social ha esternato il suo sì su Rousseau) e Steni Di Piazza. E un altro nome che gode della stima tanto di Palazzo Chigi quanto del “Gigio Magico” è quello della deputata catanese Laura Paxia.

Molto meno frizzante, al di sotto dello Stretto, il totoministri in versione dem. Fra tecnici, capicorrente e cavalli (di razza e non) di ritorno, nel Pd c’è ben poco spazio per l’Isola. L’unico davvero in lizza è Peppe Provenzano, vicedirettore della Svimez. unico siciliano voluto da Nicola Zingaretti in segreteria nazionale come responsabile delle politiche sul lavoro. E potrebbe essere proprio il ministero giusto per il “compagno di Milena”, che nel suo curriculum – oltre ai ruoli di capo segreteria dell’assessore regionale Luca Bianchi  e di consulente del ministro Andrea Orlando – vanta anche un plateale “vaffa” ai renziani che alle Politiche del 2018 lo volevano in lista dopo Daniela Cardinale, figlia dell’ex ministro Totò, oggi deputata ma non più del Pd. Ma per Provenzano nelle ultime ore si parla anche di Mezzogiorno o del sottosegretariato alle Politiche giovanili. Non c’è altra trippa per i siciliani, al netto di un endorsement, finora solo potenziale, di Paolo Gentiloni, fra i favoriti nel ruolo di commissario Ue, per l’ex sindaco di Catania, Enzo Bianco, già titolare del Viminale e presidente del Copasir, magari come sottosegretario “d’esperienza” a Palazzo Chigi.

Per il resto in casa dem si aspetta la griglia dei sottosegretari, che entrerà nel vivo dopo di giovedì. E qui, più che il commissario regionale, il pugliese Alberto Losacco, le istanze siciliane sono affidate al peso delle correnti. Peppino Lupo, leader di AreaDem, ad esempio, potrebbe chiedere spazio per Teresa Piccione, ex deputata poi kriptonite anti-faraoniana nella corsa alla segreteria regionale. La fantapolitica sicula narra anche di una pazza idea etnea: far planare il deputato franceschiniano Anthony Barbagallo a Roma per liberare un posto all’Ars per Angelo Villari. Ma l’ex assessore al Turismo smentisce, anche perché nessuno, oggi, gli darebbe garanzie in caso di caduta del governo giallorosso. Un’altra operazione locale, a Messina, sarebbe quella di dare spazio al deputato regionale Franco De Domenico, o al suo rivale “giudiziario” Pippo Laccoto, che gli contende il seggio a colpi di carte bollate: piazzare uno dei due al governo risolverebbe un contenzioso di cui è stato investito anche Lorenzo Guerini. In ogni caso, fra i più attivi in queste ore, c’è l’ex rettore di Messina, Pietro Navarra, renziano quasi del tutto convertito allo zingarettismo, che da Montecitorio rivendica «spazio per le istanze della nostra terra». La scelta dei Matteo-boys, invece, potrebbe essere diversa: non tanto Davide Faraone, ritenuto dai grillini «più renziano di Renzi» e dunque nella black list con Luca Lotti e Maria Elena Boschi, quanto la senatrice catanese Valeria Sudano. Con un suo ruolo nel governo, magari di sottosegretaria alla Salute, si avrebbe anche l’effetto collaterale di una terapia motivazionale nei confronti Luca Sammartino, azionista di maggioranza dei voti renziani in Sicilia, finora piuttosto disincantato rispetto allo scenario giallorosso. Un altro nome con un rating spendibile a Roma è quello del vice di Leoluca Orlando a Palazzo delle Aquile, Fabio Giambrone, che metterebbe d’accordo più anime (soprattutto palermitane) del Pd. Ma non è detto che il diretto interessato sia disposto, né che il sindaco voglia privarsi del suo delfino nel clou del secondo mandato.

Infine Leu. Che nelle ultime ore dàre segnali di vitalità “proattiva” per l’ingresso nel governo. E, se appere improbabile, ma non escluso, che sia il palermitano Pietro Grasso a spendersi in prima persona (più probabile Rossella Muroni all’Ambiente), qualche spazio si aprirebbe per i sottosegretari. Con Erasmo Palazzotto pronto a sfoderare il curriculum ideale per Difesa o Esteri, oltre a una rete di relazioni costruita negli ultimi anni.

Twitter: @MarioBarresi

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