Insularità: Sicilia più “isolata” della Sardegna «Misure correttive e compensative»
Gap simili nei trasporti ma su lavoro, giovani e servizi c’è chi sta peggio. Nella programmazione di fondi Ue e Fsc e nei Lep nessun riferimento alla condizione svantaggio
Si fa presto a dire insularità. O, peggio ancora, isolitudine. Non si sono ancora spenti i riflettori nazionali puntati, per ovvie ragioni, sulla Sardegna - nuova Progressives Island - e fa una certa impressione scoprire dati e analisi che ribaltano gran parte di convinzioni e luoghi comuni. In sintesi, brutalmente: la Sicilia è più isola. Molto più isolata. E non è soltanto una questione di Ponte. Forse non tutti sanno che in Parlamento c’è una commissione bicamerale “per il contrasto degli svantaggi derivanti dall’insularità”. Un organismo istituito con la legge di bilancio 2003, con l’approvazione di un emendamento che ha recepito il disegno di legge di alcuni deputati del Pd, con le prime firme del sardo Marco Meloni e del siciliano Antonio Nicita. Anche perché - e pure di questo i cittadini siciliani e sardi, così come quelli delle isole minori, potrebbero non essersi accorti - l’insularità è entrata nella Costituzione, al comma 6 dell’articolo 119, laddove si afferma che «la Repubblica riconosce le peculiarità delle isole e promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità».
Gli svantaggi
L’accento, però, resta sulla parola svantaggi. «Quelle di Sicilia e Sardegna sono due insularità diverse, che a loro volta sono differenti dalle isole minori», premette Tommaso Calderone, deputato messinese di Forza Italia, presidente della commissione Insularità. E allora veniamo subito al punto. In una delle recenti audizioni della commissione bicamerale è arrivato un dossier, corposo e molto dettagliato, a cura dell’Ufficio parlamentare di Bilancio. Un punto di partenza, che serve a capire molte cose. Soprattutto nel parallelismo fra le due grandi isole. Così, ad esempio, si scopre che, pur essendo entrambe in preda a «un fenomeno di declino demografico», in Sicilia «ha inciso maggiormente l’emigrazione interna», mentre in Sardegna «il saldo naturale». E in una proiezione di variazione di popolazione al 2042 molto più alta della media nazionale (-4,9%), la Sicilia (-12,6%) è destinata a spopolarsi meno della Sardegna (-15,1%). Importante guardare alla quota di laureati fra 30 e 34 anni: i siciliani (17,8%) sono molto meno dei sardi (22,1%). Mentre l’indicatore di mobilità dei laureati, che misura l’afflusso netto nelle regioni, è «fortemente negativo per la Sicilia e in misura di poco inferiore per la Sardegna». Lo studio indica «una possibile difficoltà, soprattutto per la Sicilia, di offrire adeguate posizioni lavorative ai laureati della regione».
La condizione di ritardo
I Bes (indicatori di benessere equo e sostenibile) mostrano «un’evidente condizione di ritardo» per entrambe «nel campo dell’istruzione terziaria e del servizio sanitario, nel grado di cablaggio con fibra ultra-veloce per la Sardegna e nella produzione di energia rinnovabile per la Sicilia». A proposito di servizi: il dossier evidenzia come la nostra regione «sebbene più urbanizzata della Sardegna, sia svantaggiata in termini di accesso ai principali centri di offerta di servizi». Poi i dati macroeconomici: il Pil pro capite sardo è di 22mila euro, più alto dei 18mila in Sicilia (la media nazionale è di circa 30mila). E, aggiunge l’Ufficio parlamentare di Bilancio, «le scarse prestazioni economiche delle due regioni insulari si osservano, parallelamente, anche nel mercato del lavoro». Anche in questo caso la Sicilia sta peggio sul tasso di occupazione (42,6% contro il 54,9%) e nella qualità del lavoro, con un 18,5% di irregolari (in Sardegna 11,9%). E «non stupisce» che l’indice di “deprivazione materiale” delle famiglie sia «più alto in Sicilia» (9,6%), mentre in Sardegna (6%) è «moderatamente più elevato» della media nazionale, pari al 5,6%. Un dato interessante riguarda il turismo. Caratterizzato, nei due paradisi dei bagnanti, da «una forte vulnerabilità dovuta alla stagionalità». Inoltre, il valore aggiunto per addetto nell’industria è più alto, seppur di poco, in Sardegna (42mila euro contro 40mila), ma con «un importante divario di produttività» rispetto alla media del Paese, accentuato «da eventi climatici avversi come il rischio di siccità e di desertificazione».
Le infrastrutture
Si arriva dunque al capitolo più dolente: le infrastrutture. Le due isole «si trovano in posizione svantaggiata per quanto riguarda l’accesso sia agli aeroporti sia ai principali porti di interesse nazionale, specialmente se si considera il traffico di merci». E qui l’analisi è impietosa, a partire dal «fenomeno permanente di separazione dalla terraferma, sempre accompagnato, in forma più o meno grave, dalla dipendenza dal trasporto marittimo e aereo». Un fattore che «pone un problema di tempi e, soprattutto, di costi e di frequenza dei collegamenti». Con una constatazione: «Spesso le imprese che forniscono alle isole servizi di trasporto marittimo e aereo operano in regime di monopolio, determinando un aumento dei costi». E un esempio lampante, basato su un esercizio teorico, in cui si dimostra come «una politica incisiva di riduzione dei costi di trasporto per l’isola (il gap stimato per la Sicilia rispetto alla media del Sud, -31,9%, è eliminato già a partire dal primo anno di simulazione) possa determinare un aumento del Pil regionale che in sette anni raggiunge il 6,8%, pari a circa 6 miliardi». Altri tipi di infrastrutture sono le telecomunicazioni (la Sicilia va un po’ meglio), la continuità del servizio elettrico («criticità» condivise) e delle perdite idriche («significative» per entrambe), mentre l’indicatore di accesso agli ospedali è più alto in Sicilia che in Sardegna. Il presidente Calderone ha ben chiara la situazione. «Il nostro scopo è vigilare sul gap fra le isole e il resto d’Italia. E nelle nostre audizioni stiamo sentendo ministri, rappresentanti delle istituzioni, esperti, gruppi imprenditoriali. Non abbiamo potere legislativo come commissione, ma ognuno di noi, senza differenza fra maggioranza e opposizione, è portatore sano degli interessi di Sicilia, Sardegna e isole minori». Così lo stesso Calderone rivendica di aver ottenuto una quota ad hoc nella Zes unica del Sud.
Differenze in termini di performance
Il dossier arriva già a una conclusione. Le isole «presentano profonde differenze in termini di performance», eppure «gli ostacoli allo sviluppo economico e sociale sono determinati non soltanto dall’insularità, ma dalla combinazione di molteplici fattori». Come «la dimensione, la distanza dalla terraferma e dai centri dei servizi, i tempi e i costi di trasporto e le ridotte dimensioni medie di impresa, oltre ai maggiori rischi di esposizione a shock esterni e vulnerabilità agli eventi climatici» soprattutto per turismo e pesca. Cosa fare allora? Rispettare la Costituzione, che riconosce l’insularità come uno svantaggio. E gli esperti lanciano un input sulle «politiche nazionali», che dovrebbero proporre «misure di tipo correttivo e di tipo compensativo». Ma non c’è traccia di tutto ciò. Le compensazioni sono briciole: 100 milioni nella finanziaria 2022, un fondo nazionale di due milioni (fino al 2025) nella manovra dell’anno dopo. E non va meglio sulla programmazione. «Anche per il Fsc, come per i fondi europei, il riferimento alle isole è molto generico». E anche nei famigerati Lep alla base dell’autonomia differenziata «il ruolo dell’insularità nella determinazione dei fabbisogni standard è comunque colto in modo indiretto». Insomma, strada in salita per la commissione bicamerale. Ma Calderone, che gode finora di una stima trasversale, ha in testa una terapia d’urto: «Noi saremo degli stalker, dei rompico… L’insularità entrerà fra le priorità di questo governo, che è ben disposto».