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Intervista a Cantarella: «Non è più la mia Lega. Salvini è cambiato. E ora ai militanti si preferiscono i campioni del clientelismo»

L'ex assessore: «Il partito sta facendo troppi errori. Come imbarcare i tizi intercettati coi boss. O non fare mea culpa dopo lo stupro alla Villa»

Mario Barresi

07 Marzo 2024, 16:11

cantarella

Cantarella, ma lo sa che con quello che va dicendo negli ultimi tempi rischia di farsi cacciare dalla Lega?

«E perché?».

(Fabio Cantarella, avvocato etneo, fu il primo amministratore locale ad aderire in Sicilia alla Lega, nel 2014, quand’era vicesindaco di Mascalucia. Primo meridionale, assieme all’ex deputato Angelo Attaguile, a salire sul palco di Pontida, c’è il suo nome nell’atto notarile di fondazione della “Lega Sicilia per Salvini Premier”. Quasi-assessore nello scorso governo regionale, quasi-candidato alle Europee, non eletto alle Politiche, pur senza grandi risultati alle urne (la sua lista, Noi con Salvini, si fermò all’1,68% alle Amministrative a Catania nel 2018; 501 voti da candidato all’Ars nel 2022), gli è stata sempre riconosciuta la sua “primogenitura”: vice dell’ex commissario regionale Stefano Candiani, è stato l’unico siciliano a far parte della segreteria politica di Matteo Salvini. A Catania lo ricordano assessore nella giunta di Salvo Pogliese, non confermato in quella di Enrico Trantino. Oggi è responsabile regionale dei dipartimenti della Lega).

Dica la verità: i suoi strali contro le scelte del partito e della maggioranza a Catania, a partire dal termovalorizzatore, sono un modo di vendicarsi perché non la invitano più nemmeno alle riunioni.

«All’ultima fatta a Catania con il nuovo commissario Durigon non c’ero».

Perché?

«Semplicemente perché non sono stato invitato. Non ne ero neppure a conoscenza. E le aggiungo che era già accaduto per quella tenuta a Palermo qualche tempo prima».

Ha chiesto spiegazioni a Salvini?

«Ho chiesto chiarimenti a Durigon, disturbare Matteo per queste sciocchezze mi è sembrato eccessivo, ultimamente è molto impegnato su tante questioni amministrative, ho letto anche sull’annosa questione delle condizioni delle carceri italiane. Da avvocato ne sono felice».

Allude alla recente visita in carcere al “suocero” Verdini?

«Sì e a leggere la notizia sui giornali ho provato tanta vergogna come del resto è accaduto altre volte negli ultimi tempi. Matteo è cambiato, si vede che è a disagio anche con se stesso, non ascolta e non si confronta più, non ti guarda neanche negli occhi. Ricordo che all’ultima riunione cui mi hanno fatto partecipare, a Palermo, davanti alla classe dirigente del partito siciliano, gli posi davanti certe gravi incoerenze che ci hanno fatto precipitare nei consensi. Guardava la scrivania e non ha risposto a una sola delle questioni che ho sollevato. Non abbiamo più coerenza».

Cosa vuole dire? Si spieghi meglio…

«Fai entrare nel partito personaggi discussi, i tizi intercettati dalle Procure mentre chiedono i voti ai boss in campagna elettorale, e poi vai alle commemorazioni di Falcone e Borsellino. Anche i gravissimi fatti di Villa Bellini sono un’incoerenza rispetto alle promesse elettorali: non dovevamo gestire l’immigrazione clandestina? Fatevi un giro a Lampedusa. Eppure in occasioni dello stupro di Catania non ho sentito un solo mea culpa. Siamo al governo, non possiamo auspicare cambiamenti o giustizia, spetta a noi fare ciò».

Ma torniamo a Durigon…

«In merito all’esclusione dall’ultima riunione, ho scritto al grande Claudio Durigon per capire se c’era qualche imbarazzo ad avermi tra i presenti. Devo dire che è uno che ascolta e risponde con umiltà, anche se nei miei confronti continua a sbagliare cedendo alle pressioni di terzi».

A che tipo d’imbarazzo si riferisce?

«Ultimamente, devo dire in più occasioni, ho posto l’accento sulla questione legalità e trasparenza nel partito. Capisco che poi è imbarazzante avermi in una riunione in cui magari è presente il big intercettato col boss in campagna elettorale o comunque chi ha procedimenti penali in corso».

E Durigon che le ha risposto?

«Che le riunioni dalle quali mi ha escluso sarebbero state rivolte ad eletti e commissari provinciali in carica. Purtroppo non è così perché so bene chi era presente, a Palermo come a Catania: c’era anche chi non è eletto, non ha ruoli e non è persino neanche tesserato nell’ultimo anno. I nomi li farò nelle sedi preposte».

Ma il commissario è appena arrivato in Sicilia…

«Appunto, con la Sicilia non ci azzecca nulla. Rimane una bravissima persona e un amministratore preparato, ma mi dà l’impressione di chi ancora non abbia ben compreso il contesto in cui è stato calato. Peraltro non ritengo leale che i leghisti siciliani debbano subire l’ennesimo commissariamento esterno. Dov’è finita la Lega delle autonomie e dei territori? Avessero imposto uno “straniero” in Veneto o in Lombardia… neanche se lo sognano. Ecco, meritiamo lo stesso rispetto! Noi siciliani non avremmo mai consentito l’ingresso di certi personaggi che conosciamo benissimo: io, l’onorevole Minardo e altri storici militanti ci opponemmo. L’imposizione venne dall’alto e dovemmo subirla: “Il segretario federale sono io, decido io e mi assumo ogni responsabilità”, così mi rispose Matteo».

Perché, anche in Sicilia esistono i militanti storici?

«Sì. Solo che in Sicilia ai militanti storici sono stati preferiti i voti facili, quelli della politica clientelare. Così abbiamo perso numerosi militanti della vecchia guardia: prima con noi si tesseravano anche esponenti di primo piano delle forze dell’ordine. Se sono andati tutti per timore di essere fotografati nelle riunioni con qualche impresentabile».

Stanno arrivando le Europee. Vi ricompatterete sul simbolo, magari votando candidati diversi…

«È un voto che mi preoccupa tanto: il partito non ha più la coerenza del 2019 quando in Sicilia prendemmo oltre il 20 per cento, peraltro senza quei personaggi discussi il cui ingresso nella Lega siciliana ci è stato imposto qualche anno dopo. Alle precedenti Europee oltre 180mila siciliani scrissero il nome e cognome di Matteo Salvini sulla scheda elettorale. Un risultato storico, figlio della coerenza, impensabile solo qualche tempo prima quando io e altri militanti della prima ora prendevamo uova e arance in testa solo perché lo seguivamo e sostenevamo in Sicilia. Adesso tutti i sondaggi dicono il contrario: se Matteo si candida la Lega aggraverebbe la perdita di consensi».

Lei dice queste cose perché magari non ha avuto ciò che voleva: la riconferma dell’assessorato, ad esempio…

«Non penso proprio, chi conosce la mia storia sa bene che vivo di coerenza. Le poltrone le ho lasciate, rappresento l’unico caso in Italia di dimissioni dalla carica di assessore da un comune, quello di Catania, di 300mila anime, solo perché Salvini ai tempi entrò in rotta con la Meloni e in piena notte mi chiamò chiedendomi di assecondare la sua richiesta di dimettermi. Lo feci senza problemi. E qualche mese prima mi aveva indicato in Regione quale assessore e mi chiese un passo di lato dopo che Musumeci gli disse che aveva troppi catanesi in giunta. Prima ancora, quando ero lanciatissimo per le Europee del 2019, mi chiese un passo di lato perché non aveva più spazi in lista per uomini e doveva mettere Attaguile perché pressato da Giorgetti e Razza».

Insomma, il suo destino l’ha sempre e comunque deciso Salvini…

«L’ho sempre accontentato, dimostrandogli che le poltrone non mi interessano. Ma la legalità e la coerenza queste sì che mi interessano sempre. Il problema non è ricoprire ruoli, ma vedere che gli stessi vengono assegnati secondo criteri che nulla hanno a che fare con la coerenza verso un progetto politico: a Catania ero stato indicato da Salvini come assessore nella giunta di Trantino, ma alla fine ha dovuto cedere alle pressioni di chi ha voluto mettere, in rappresentanza della Lega, il primo dei non eletti della lista di Renzi alle scorse amministrative e che fino a qualche tempo fa dichiarava in consiglio comunale che la Lega e Salvini puzzavano come la spazzatura che era per le strade della città. Se queste sono le persone che possono portare avanti un progetto amministrativo rappresentando il partito…».

Adesso è tutto chiaro: non si farà cacciare perché ha deciso di andarsene. Questa è un’intervista di addio?

«Che fa scherza? Assolutamente no. Non lascerò il partito, ma con la coerenza che mi contraddistingue contribuirò al legittimo dibattito interno avviato da tanti altri che la pensano come me, dal Piemonte alla Sicilia. Lotterò per riportare legalità nel partito, dovranno buttarmi fuori, non basterà escludermi dalle riunioni».

m.barresi@lasicilia.it