Intervista a Manlio Messina: «Il reset di Fdi in Sicilia? Serviva una scossa. Gli scandali nel Turismo? Rifarei tutto»
L'esponente di Fratelli d'Italia parla delle sue dimissioni da vicecapogruppo alla Camera, della crisi del partito nell'Isola e dei tanti casi che hanno fatto discutere, da Cannes a See Sicily fino al caso Auteri
Onorevole Messina, perché, se in Sicilia FdI è un covo di vipere, si deve dimettere il vicecapogruppo vicario della Camera?
«Tecnicamente non c’entra nulla, però di fatto è un premio che ho ricevuto dal mio partito, a cui ho dato tanto ma da cui ho anche ricevuto altrettanto, compresa la possibilità di fare l’esperienza da vicecapogruppo alla Camera del partito più importante. Ma, prima ancora, sono un dirigente di FdI e quando le cose non funzionano si deve dare un segnale al partito in difficoltà e alla classe dirigente, me compreso, che non ha dato al partito quelle risposte che si aspettava dalla Sicilia».
Quali sono queste risposte non date?
«Sicuramente c’è stata un’ azione territoriale poco incisiva. E poi beghe interne, liti, il tentativo di creare correnti e di screditare il compagno di partito: tutto quello che è emerso in questi anni in Sicilia e ci ha consegnato un partito frantumato e questo è responsabilità di tutti i dirigenti, prima di tutto di quelli apicali. E poi anche di tutti quelli che ricoprono un incarico importante, ma anche di seconda linea. Serviva una scossa. E quindi ritenevo che anche io dovessi dire al partito: vi chiedo scusa e vi riconsegno nelle mani il premio per ciò che avevo fatto negli anni precedenti».
Gli ex coordinatori regionali Pogliese e Cannella hanno precise responsabilità?
«Non credo si possa individuare una responsabilità precisa: in un marasma generale è difficile per coordinatori tenere insieme un partito, così come per i deputati nazionali e regionali, per gli assessori è difficile fare rete. C’è stata una responsabilità generale, di tutta la classe dirigente; e quindi tutta la classe dirigente deve rimboccarsi le maniche e cambiare rotta».
Quanto ha pesato sulle sue dimissioni lo scontro, mai smentito, con Donzelli? È anche una questione personale fra voi due?
«No, io questo ci tengo a smentirlo categoricamente: nessuno scontro con Donzelli. Se si riferisce a quello che uscì sul Fatto Quotidiano, è una storia totalmente inventata, dove di vero c’era solo la riunione con lo scopo di dare una spiegazione sul caso Auteri, perché io sono convinto che quella di Carlo sia una situazione montata ad arte, dove non ci sono aspetti difformi dalla legge. Donzelli ha ascoltato, è rimasto della sua opinione, che poi era anche la mia, perché anche io ho detto ad Auteri che doveva auto sospendersi per tirare fuori il partito, ma più per l’audio di La Vardera, perché quella è una violenza verbale che non può essere utilizzata, nè giustificata. Ma da qui a farlo passare per un ladro, ce ne passa».
Insomma, lei non prende le distanze dal sistema Auteri.
«Io prendo le distanze dal sistema che l’Ars ha messo in piedi, perché mi pare che tutti i deputati avessero un budget e hanno presentato emendamenti per le associazioni legate politicamente. Io, quando facevo l’assessore, ho sempre fatto bandi; mai favorito gli amici. E sono felice che il presidente Galvagno abbia dato una rotta completamente diversa. Però non si può usare Auteri come capro espiatorio di un sistema che è andato avanti per anni».
Continua a difenderlo perché fa parte del suo gruppo. A proposito: ci spiega cos’è la corrente turistica di FdI?
«È un’ invenzione, politica e giornalistica, dei detrattori di FdI. Noi crediamo che il turismo sia davvero una grande opportunità per il Paese. Non abbiamo fatto altro che portare le nostre idee nei territori. Quando il centrodestra vinceva le elezioni regionali, chiedevamo l’assessorato al Turismo».
Ecco, ci sta svelando il core business della corrente turistica.
«La corrente turistica nasce solo per dare risposte a un settore strategico spesso abbandonato. Mi deve dare atto che fino a quando non c’eravamo noi, il turismo era considerato una delega di serie C, si dava all’ultimo partito, non la voleva nessuno. Noi abbiamo cambiato il paradigma: quando abbiamo ottenuto risultati certificati da enti esterni, allora tutti si sono innamorati del turismo, hanno capito che ci si può fare politica, si possono fare cose buone. Forse qualcuno pensa che col turismo si possono fare anche le magagne e ci vuole mettere le mani, ma noi magagne non ne abbiamo mai fatte».
Da assessore regionale al Turismo s’è intestato la costosa passerella di Cannes. E sappiamo com’è andata a finire.
«È finita male perché s’è interrotto. Cannes faceva parte di un piano più ampio di programmazione turistica: le produzioni cinematografiche. I fondi sono passati da due a dieci milioni, dopo il mio mandato le produzioni sono aumentate del 400 per cento, ogni euro investito ne produce sette. Abbiamo puntato sulle fiere e sui festival perché è lì che trovi gli agganci giusti».
Agganci giusti come la misteriosa società con sede in Lussemburgo, il cui titolare è lo stesso fotografo che, con altro nome, si faceva pagare la mostra a Cannes?
«Guardi che quella che lei chiama misteriosa società lussemburghese è una delle più serie che lavora a Cannes, lavora per Mastercard, Electrolux, Campari. Una società che ci aperto le porte del Festival: per entrare ci voleva una “fee” d’ingresso di cinque milioni, la Regione il primo anno con un milione e mezzo ha avuto una vetrina che ci ha consentito di avere “Leoni di Sicilia”, che di milioni ne ha investiti 20».
La Absolute Blue ha ricevuto soldi con affidamento diretto per un servizio che diceva di avere «in esclusiva». E non era così.
«Non mi sono occupato della procedura, ma studiando le carte dopo, sono convinto che i dirigenti abbiano fatto la cosa e giusta e legalmente corretta».
Il Tar, che ha rigettato il ricorso della società lussemburghese, non la pensa così.
«Il Tar non si è espresso sul merito, ha detto che la Regione poteva rescindere il contratto in autotutela. Su Cannes non ho nulla di cui pentirmi, lo rifarei. Rifarei tutto».
Rifarebbe anche SeeSicily, stroncato dalla Commissione Ue che alla fine ha tagliato 13,7 milioni ritenuti irregolari?
«Certo che lo rifarei. Perché quella scelta l’ho fatta in piena crisi Covid, con il turismo siciliano in ginocchio. Siamo stati bravi, e questo mi consenta di dirlo, a reperire 75 milioni di fondi europei per la promozione. Ma cosa dovevo promuovere se gli alberghi erano in crisi e Conte aveva chiuso tutta l’Italia? Se avessi investito tutta quella cifra in pubblicità mi avreste massacrato ancor più di quanto avete fatto».
Perché, come in quasi tutte le altre Regioni, la Sicilia non ha fatto i bandi per i contributi diretti alle imprese turistiche?
«Non lo potevo fare: una legge regionale del 2008 aveva tolto al mio assessorato la delega per concedere quelli che tecnicamente sono aiuti di Stato».
Le leggi si possono anche cambiare.
«Infatti dopo l’ho fatto e ci sono voluti due anni. Troppo tempo: dopo il Covid al posto degli alberghi avrei trovato cimiteri».
E così s’è inventato i voucher: dormi tre notti in Sicilia e una la paga la Regione.
«Credo di essere stato lungimirante. La Regione ha acquistato, con bandi pubblici, dei servizi dalle aziende del comparto e su questa offerta s’è basata la promozione».
Solo che gli albergatori hanno preso soldi per servizi di cui i turisti non hanno usufruito. E l’Ue ha bocciato i voucher.
«Alla fine i voucher fruiti sono il 33 per cento per due anni di progetto, che in realtà si ferma dopo un anno perché, scoppiate le polemiche, s’è bloccata la promozione: se non sai che in Sicilia c’è il 3x1 non lo prenoti. Ma non è questa la misura dell’efficacia del progetto. I dati statistici lo confermano: l’Università di Milano certifica che grazie al SeeSicily il brand Sicilia è passato dal sedicesimo al primo posto nazionale. E Bankitalia dice che nel post Covid in Sicilia il turismo cresce dell’11,6 per cento, il doppio della media di tutto il nostro Paese».
La Commissione ha fatto tagli a campione anche sulle spese per la promozione.
«Il Codice degli appalti parla chiaro: per questi servizi non devi fare le gare, in tutta Italia è così. Come puoi non fare un affidamento diretto al servizio pubblico Rai per Ballando sotto le stelle che è un programma seguitissimo e col target che ci interessava? O con Mediaset che ha gli ascolti più alti? Oggi, quando a Roma mi ferma gente del mondo della televisione, mi chiedono: “Assessore, perché s’è fermato tutto?”».
Perché in SeeSicily non tutto era a posto?
«SeeSicily non se lo inventa Manlio Messina. Il progetto è passato al vaglio di tre enti esterni: l’approvazione della Commissione Ue, a cui anticipammo l’idea dei voucher, giudicati una “best practice”, il nucleo di valutazione della Programmazione regionale e infine l’assistenza tecnica, affidata a una società di rilievo come Deloitte. Alla fine l’unico a cui non va bene è l’Audit regionale, ma io mi sento di dire che avevano ragione gli altri. Nelle carte è tutto limpido, la stranezza di questa storia sta altrove».
E dove sta la stranezza?
«È strano che a sollevare il caso sia il M5S e che a fare l’interrogazione a Bruxelles sia un loro parlamentare e guarda caso la Commissione Ue cambia parere. Su sollecitazione dell’Audit della Regione, che di solito prova a difendere i fondi e invece stavolta propone i tagli dichiarando il progetto “fallimentare”. Così come è strano che, solo dopo il pensionamento della mia dirigente del Turismo, il successore nominato dopo firmi senza esitazioni i tagli proposti dall’Audit. Alla fine sono fiero e orgoglioso degli investimenti di SeeSicily, nonostante dopo la bufera ci sia stato un blocco delle firme dei dirigenti per il clima di terrore che si è creato. Un danno incredibile».
Lei parla sempre da assessore al Turismo in pectore: ora che non è più vicecapogruppo a Montecitorio punta al ministero che lascerà la Santanché o si accontenterà di fare il soldatino semplice?
«Io, in qualsiasi ruolo svolto, resto un soldato a disposizione di Giorgia Meloni e del mio partito. Adesso voglio soltanto fare bene il parlamentare e occuparmi della mia nazione e della mia terra».
Avrà più tempo per la Sicilia: c’è un partito da rilanciare.
«Non mi occupo di partito siciliano da anni, ricordo a stento le deleghe dei nostri assessori. Il commissario Sbardella, che è un amico, farà benissimo. Spero non resti tanto, perché quando andrà via significherà che ha già rilanciato il partito in Sicilia».
Magari lanciando la volata a un candidato governatore di FdI: potrebbe essere Galvagno. Oppure lei stesso, Messina.
«Il presidente Schifani sta facendo un ottimo lavoro ed è il candidato naturale a succedere a se stesso».
A meno che non abbia di «meglio da fare», come ha dichiarato lei qualche tempo fa.
«Intendevo dire qualcosa di migliorativo: se va a fare il presidente della Repubblica, e ne saremmo tutti felici, ne riparliamo».