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Intervista a Raffaele Lombardo: «L’Mpa è decisivo, il centrodestra rifletta. Ecco il mio piano per le alleanze»

Il leader autonomista. «Catania un’eccezione grazie al nostro argine altrove la coalizione non è andata bene: serve un’analisi sul consenso»

Di Mario Barresi |

C’è il vertice con i suoi a Catania, per scegliere il secondo assessore autonomista di Enrico Trantino. Poi, in segreteria, riceverà alcuni candidati non eletti per consolarli. Infine, l’incontro con l’assessore Roberto Di Mauro, braccio destro alla Regione, a Enna. Eppure, per l’intervista con La Sicilia, Raffaele Lombardo non dà alcuna alternativa: «Ci vediamo da me in campagna». A Ramacca, in contrada Sant’Antonino, dove sta «piantando degli altri agrumeti: e questa, ora, è la mia priorità». L’ex governatore spunta in tenuta agreste-bucolica.

Ma stentiamo a credergli.

Soddisfatto dei risultati a Catania?

«Certamente: Grande Catania e Mpa raggiungono il 17 per cento ed eleggono sei consiglieri, è mancato un soffio per arrivare a otto».

S’è insediato Trantino. È l’uomo giusto al posto giusto?

«Trantino è una persona autorevole e credo che saprà essere un buon direttore d’orchestra. Le difficoltà da affrontare, a cominciare dal dissesto finanziario, sono notevoli, ma le risorse umane e morali di questa città e anche la sintonia coi governi regionale e nazionale saranno d’aiuto».

Ora può confessarlo: è stato tentato dall’idea di farlo lei, il sindaco di Catania.

«Proprio a lei ho risposto che non avevo l’età per assumermi quella responsabilità, non intendevo rinunziare alla famiglia, a cominciare dai nipotini Raffaele e Giacomo, e poi alla campagna con una quindicina di ettari da agrumetare. Ma non solo: rileggo appunti e memorie, faccio ordine tra faldoni e carpette…».

L’incubo del processo infinito. Ha inciso su com’è il Lombardo di oggi?

«Avrebbe potuto non incidere? Vivevo della e per la politica. Questi tredici anni hanno funzionato da elettro-shock, mi hanno affrancato dalla dipendenza».

Magari il miglior modo per mettersi tutto alle spalle è scriverne un libro.

«Non mi manca l’ispirazione, semmai il tempo».

Restiamo a Catania: di cosa ha bisogno?

«Non di ordinaria amministrazione. Ma di un piano da grande Catania: il Corso Martiri come vetrina della città moderna, i parcheggi sotterranei da costruire in project per impedire la sosta in tripla fila, lo sviluppo turistico della Plaja, grandi alberghi tra la pista aeroportuale e il viale Kennedy con accesso al mare. Il water-front. E poi la rinascita dell’industria, offrendo energia da idrogeno a basso costo a chi si insedia e promuove sviluppo e lavoro. E altro ancora, purché dentro una visione di lungo termine».

E del successo del suo ex amico Scateno, neo-sindaco di Taormina che ne pensa?

«È al quarto Comune da sindaco. Mi ricorda i mitici commissari degli Enti locali degli anni Ottanta: Onofrio Zaccone, Cesare Sirna, Nicola Scialabba… Se De Luca si iscrivesse nell’apposito albo, potrebbe governarne qualche decina e faticherebbe di meno. Comunque è un bravo amministratore e un grande lavoratore. Se tenesse, anche solo un po’, a bada il suo ego alluvionale…».

Schifani si accinge a fare il “check” del governo. Ci sarà davvero il rimpasto?

«Valuterà lui. Esaminando il fatturato amministrativo e legislativo, quest’ultimo da incrementare . E inaugurando un tavolo politico per le analisi e gli eventuali correttivi, che auspico condivisi».

Schifani caccerà Turano, decisivo nella sconfitta del centrodestra a Trapani?

«Non so… visti i precedenti di Alcamo e alla luce dei riconoscimenti rivolti a Salvini ?!?! Mi pare arduo. Dopo il 12 giugno semmai occorre una riflessione sul consenso del centrodestra e in particolare sui capoluoghi. Difficile Siracusa, a Trapani male, a Ragusa un sindaco allergico ai partiti che stravince. Un fenomeno, quest’ultimo ragusano, di fermezza e di coerenza. Se attecchisse in tutta la regione, avremmo finalmente la Sicilia autonoma! Come vede Catania è un’eccezione e mi faccia rivendicare il merito agli autonomisti che, anche con qualche asprezza di troppo, hanno costruito un argine alle fughe in avanti, rimettendo a posto le cose».

Il Mpa a Catania è stato una spina nel fianco dei leghisti. Li avete pure irrisi…

«Dai cosiddetti leghisti siamo stati privati in extremis del simbolo comune col partito con cui avevamo un rapporto federativo, peraltro mai mai disdetto dal nostro movimento. La coincidenza delle Regionali con le Politiche era micidiale per noi. Abbiamo rischiato l’estinzione. Ricorda i sondaggi che ci davano massimo al 3,5 per cento?».

Con Sammartino «sempre al penultimo approdo» sarà lotta dura senza paura?

«Non credo proprio. Ho salutato i loro esponenti in una recente triste occasione che in me lascia il segno».

E l’autonomia differenziata di matrice leghista? All’inizio sembrava ostile, ora è più in linea col centrodestra di Roma.

«Ho chiesto al giovane presidente dell’Ars, l’onorevole Galvagno, di invitare il ministro Calderoli a illustrare in aula, ai rappresentanti del popolo siciliano, il progetto di Autonomia. Lo conosco bene, perché presiedette il congresso regionale del Mpa del 2006 che vide eletto segretario il caro Lino Leanza: Calderoli non è tipo che si sottrae o che nasconde le carte . È legittimo che una Regione governi alcune competenze e credo che lo farà meglio dello Stato, ma con le stesse risorse che lo Stato spende. Se si pretende di accrescerle attingendo al gettito fiscale, sicuramente molto cospicuo nelle regioni del Nord, crescerà il divario col Sud e addio unità del Paese, pardon della Nazione».

Satira politica dell’era meloniana… A proposito: riforme istituzionali, meglio il presidenzialismo o il premierato?

«L’obiettivo è la stabilità. La si può ottenere con la sfiducia costruttiva. Il premierato può essere meglio, ma quel che conta è il bilanciamento dei poteri. Il presidente della Repubblica che resti garante dell’assetto democratico-costituzionale e un Parlamento dotato di vero potere rappresentativo, eletto dai cittadini e non nominato dai leader dei partiti con l’attuale sistema elettorale. Occorre ripristinare la vituperata preferenza!».

Ha annunciato che alle Europee vi alleerete con un partito nazionale. Quale?

«È una scelta delicata e obbligata. Va discussa e partecipata. Ho chiesto che si nomini un responsabile politico del Mpa per ciascuno dei quasi 400 comuni dell’isola. Entro giugno devono incontrarsi e decidere».

Tanto alla fine si sa che deciderà lei da solo… Qualche indizio? L’alleanza con la Lega è da escludere. Il terzo polo o ciò che ne resta? Calenda la stima…

«Temo che la divaricazione dentro il terzo polo porti i due leader a guardare verso direzioni diverse. Centrodestra o sinistra. Quest’ultima impossibile da praticare. Vedremo…».

Alle Europee del 2019 lei votò Berlusconi. Perché non rifarlo con un candidato autonomista in lista con Forza Italia?

«Forza Italia, che pure Berlusconi segue e dirige, dovrà darsi un assetto nuovo nella dirigenza, anche se la posizione centrale e la scelta europea del Ppe restano salde».

Veniamo al punto: c’è chi dice che lei abbia già un accordo con Fratelli d’Italia.

«FdI è una opzione oggi vincente, ma ad attraversare i guadi più che il potere servono la storia di ciascuno e i principi ispiratori. La Meloni compie scelte coraggiose in politica estera e in Europa cerca un’alleanza coi democristiani».

Quindi andrete con loro?

«Quindi… le do appuntamento… entro fine giugno, non oltre. Perché dobbiamo partecipare bene alle Europee e avere una voce autonomista a Bruxelles».

Una voce con i baffi? Si candiderà lei?

«È arrivato il trattore. A presto…».

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