Le "mancette", la ricandidatura e il governo della Regione, Schifani: «Vi dico io come stanno le cose»
I conti. «L’Isola gode di salute finanziaria mai vista: ora il coraggio di una visione più espansiva. Dal prossimo bilancio previsioni meno prudenti sulle entrate per programmare meglio la spesa»
Renato Schifani ha appena finito di presiedere l’ultima giunta prima della pausa estiva. Istituzionale in giacca e cravatta, ai piedi sneaker informali e leggere. «Niente foto sotto la cintola», scherza il presidente della Regione. «Questo è un look per prepararmi a qualche giorno di vacanza in Sicilia con la famiglia, poi, forse, mi concederò un breve viaggio». Gli assessori si sono congedati tutti in collegamento da remoto, l’unico a Palazzo d’Orléans è Alessandro Dagnino.
E proprio dall’Economia, sul tavolo di Schifani, arrivano numeri confortanti: nelle casse della Regione «oltre quattro miliardi di entrate extra dall’insediamento del mio governo, mai avvenuto prima»: 1,5 miliardi nel 2023, 1,6 nel 2024 e analogo trend nell’anno in corso. Una parte di queste risorse è stata già utilizzata «per ripianare il disavanzo della Regione, che conto di avere già azzerato», ma cambierà anche la strategia finanziaria del governo. «L’ho appena annunciato in giunta: finora, in sede di bilancio preventivo, abbiamo fatto delle scelte prudenziali e ci siamo trovati a fare delle variazioni a fine anno con risorse aggiuntive, il che è una cosa positiva, ma per spenderle si deve correre. Dal prossimo bilancio - annuncia il governatore - dobbiamo avere il coraggio di una visione più espansiva». A conti fatti Schifani afferma che la Regione gode di «una salute finanziaria mai vista: l’ultimo dei nostri problemi, in questo momento, sono i soldi». E, ricordando anche «il traguardo storico della fiscalità di sviluppo, riconosciuta dal governo nazionale, con la quale si potrà adottare in Sicilia il “modello Portogallo”», rivendica «dati incontrovertibili, che parlano di occupazione in crescita, di Pil che cresce più del resto d’Italia, di rating migliorato, di velocizzazione dei processi decisionali che ci porta a essere molto attrattivi per gli investimenti, grazie alla riforma della Cts. La Sicilia cresce e lo riconoscono tutti: da Bankitalia a Istat, da Svimez a Unioncamere».
Lei è fra quelli che esulta per il via libera al Ponte, ma il sistema infrastrutturale siciliano resta carente.
«La realtà, oggi, è diversa. A livello di strade la A19 Palermo-Catania, di cui sono commissario, è oggetto di lavori per 900 milioni, si interverrà presto sulla Messina-Catania, i cantieri per il raddoppio della Catania-Ragusa sono in pieno svolgimento così come sulla Palermo-Agrigento e sulla Agrigento-Caltanissetta. E poi le ferrovie: i lavori per l’alta capacità fra Palermo, Catania e Messina vanno avanti. Per la sistemazione delle strade provinciali oltre 100 milioni in tutto. La Sicilia oggi è un cantiere in piena attività: entro pochi anni si presenterà già pronta a sfruttare il Ponte, che mi piacerebbe fosse intitolato a Silvio Berlusconi, come anello di trasmissione di una rete di infrastrutture moderna ed efficiente».
Gesap ha dato il via al processo di privatizzazione da lei auspicato.
«La privatizzazione degli aeroporti siciliani fa parte del mio programma. La Regione non ha competenza finanziaria e gestionale, ma ha un compito di grande indirizzo. Ed è una buona notizia l’annuncio di Gesap, da poco guidata da un ad di grande prestigio come Battisti, scelta che ho condiviso con il sindaco Lagalla, di spingere sulla privatizzazione. Palermo e Catania sono gli unici aeroporti metropolitani pubblici, le riforme non possono più aspettare».
A Catania, dove la Regione in questo momento ha il pallino in mano, la privatizzazione è già partita, ma si registra un’impasse sui vertici della Sac.
«Attendiamo che il commissario della Camera di Commercio del Sud-Est definisca la propria attività: il mandato che gli è stato conferito è questo».
Comiso resta il brutto anatroccolo.
«Non è così. A Comiso è appena stato aggiudicato il bando per la continuità territoriale per Roma e Milano. Per l’area cargo è in via di conclusione l’istruttoria, curata da Sac, per ottenere le autorizzazioni al progetto di fattibilità tecnico-economica. Solo in seguito sarà avviata la procedura per la Via. E poi lo scalo di Comiso è stato il maggiore destinatario dei fondi Fsc voluti dal mio governo: quasi 47 milioni. A Palermo ne sono andati 14, quasi altrettanti a Trapani e oltre 9 a Catania».
Sui rifiuti resta convinto che i termovalorizzatori siano la soluzione ?
«Assolutamente sì. Da commissario delegato del governo ho bruciato le tappe, recuperando anche la mancanza di un Piano rifiuti regionale che adesso c’è e prevede i due termovalorizzatori. Conto che entro i primi di settembre sia aggiudicata la gara affidata a Invitalia e da quel momento ci saranno cinque mesi per realizzare il progetto. Il nuovo cronoprogamma prevede l’entrata in funzione dei termovalorizzatori entro la fine del 2028: conto di rispettare questa scadenza».
Ha ricevuto anche minacce. Qualcuno, i termovalorizzatori in Sicilia, non li vuole. E non solo a sinistra…
«Le imboscate sono sempre dietro l’angolo. Mi rendo conto che stiamo innovando un sistema, con la fine dell’era dei padroni delle discariche private, settore in cui più volte si sono evidenziati interessi della criminalità organizzata. Eppure, dopo questi anni di dibattito, sento che l’opinione pubblica è dalla nostra parte: i siciliani fanno il tifo per i termovalorizzatori».
L’altra emergenza è la grande sete. Bastano i dissalatori per risolverla?
«Sui dissalatori abbiamo puntato subito. Erano obsoleti, alcuni fermi da 14 anni. Adesso quello di Porto Empedocle è partito e da metà agosto garantirà 100 litri al secondo, Gela e Trapani entreranno presto a regime. E poi c’è la grande scommessa dei due dissalatori in project financing a Palermo. Queste opere, recuperando la quota potabile, consentono un circolo virtuoso riducendo il prelievo nelle dighe miste, che danno più acqua agli agricoltori. E stiamo lavorando sulla rete irrigua e sulla riduzione della dispersione. Quest’estate la crisi s’è ridimensionata, dalla prossima ritengo che la fase emergenziale sarà conclusa».
Resta la spina della sanità. La nuova rete ospedaliera presentata dall’assessora Faraoni s’è bloccata prima ancora di partire.
«L’assessore Faraoni ha fatto un ottimo lavoro, girando tutti i territori per raccogliere le osservazioni. A settembre il piano sarà sottoposto in commissione all’Ars e contiamo di approvarlo in giunta poco dopo. Oltre a completare il percorso per la fuoriuscita dal piano di rientro sanitario, questa programmazione serve per adottare scelte importanti, come ad esempio il mantenimento della Cardiochirurgia pediatrica a Taormina. Siamo intervenuti anche per abbattere le liste d'attesa: 66 milioni nella manovra ter per rendere i servizi più accessibili a tutti i cittadini».
Parliamo di politica. C’è voluto tutto lo Schifani “senatoriale”, esperto di tecniche d’Aula, per portare a casa la manovra ter all’Ars. Ha tirato fuori dal cilindro la “tagliola”. Un «metodo fascista» secondo le opposizioni.
«Un metodo necessario, ancorché consentito da un articolo del regolamento dell’Ars mai utilizzato che si rifà al Parlamento nazionale. Ho chiesto e ottenuto che la conferenza dei capigruppo si esprimesse con la maggioranza dei due terzi. Mi sono preso anche gli insulti in Aula e poi ho chiarito tutto nel mio intervento: l’ostruzionismo non può impedire a un parlamento di esercitare la sua funzione costituzionale di legiferare. Dopo il mio discorso le opposizioni hanno compreso che intendevo andare avanti e chiudere nella data stabilita dalla capigruppo. Da quel momento s’è lavorato, nel rispetto dei ruoli e senza inciuci, concentrandosi sui punti strategici».
L’effetto collaterale è stato il mancato voto sugli “interventi territoriali”. Altrimenti detti mancette…
«D’accordo con il presidente Galvagno ho condiviso un metodo: votare soltanto gli emendamenti al testo esitato dalla commissione Bilancio. Sul resto, a partire da Asacom e Consorzi, se ne riparlerà in un collegato a settembre».
Ma le mance ritroveranno spazio anche a fine anno nella finanziaria?
«Non penso: essendoci una distanza così breve tra i due provvedimenti faremo sintesi».
Il voto della manovra ter ci consegna anche l’ennesima cronaca degli sgambetti di franchi tiratori.
«Ho provato ad analizzare i numeri, che in occasione di alcune norme sono stati pesanti e non certo casuali, come se ci fosse dietro una regia che abbia aggregato e organizzato i franchi tiratori e penso di non sbagliarmi. Sulla matrice le idee sono chiare: c’è chi parla di voti contro il presunto asse Sammartino-Cuffaro e chi di segnali per cambiare gli assessori tecnici. Magari influisce il sistema elettorale in cui, dal giorno dopo della conquista del seggio all’Ars, si pensa subito a lavorare per la propria rielezione senza guardare ai processi politici di grandi dimensioni. Mi spiace che, dietro l’anonimato, c’è chi usa questi mezzi non compatibili sotto il profilo dell’etica politica e dell’appartenenza. Ma vado avanti per la mia strada».
Presidente, parliamoci chiaro: il suo è un governo in ostaggio?
«Scelgono il metodo sbagliato perché non sono il tipo che si lascia intimidire da questi metodi. Conosco bene le prerogative dei parlamentari e quelle mie. Lo scenario delinea una volontà di lanciare un segnale al governo attraverso un metodo becero ed inaccettabile che non accetterò mai. Chi vuole dire qualcosa sulla azione di governo abbia il coraggio e la dignità di farlo pubblicamente. Ci sono state varie frange che si sono contrapposte per farsi dispetto. Non capiscono che lo fanno nei confronti di un governo forte che sta dando e conta di dare alla Sicilia risultati senza precedenti e a danno dei siciliani».
Ma il rischio di un logoramento c’è.
«Se qualcuno pensa di indebolirmi con giochini di palazzo si sbaglia. La mia forza è il consenso che nasce dai risultati del mio governo».
Il voto segreto è lo strumento ideale per i giochini di palazzo.
«Alla ripresa estiva, in accordo con il presidente dell’Ars, ho intenzione di portare in Aula una riforma non più rinunciabile. Chiederemo al parlamento di votare per abolire il voto segreto, mantenendo le sole ipotesi autorizzative previste da Camera e Senato: quando si vota per diritti delle persone e salvaguardia delle minoranze».
Infuria lo scontro fra Cuffaro e Lombardo. Le chiederemmo chi butterebbe giù dalla torre, ma…
«…Ma io a questo gioco non ci starei. Fra Totò e Raffaele sembra esserci un problema personale, che rispetto ma non apprezzo. Si tratta comunque di alleati strategici per l’azione del mio governo, oltre che persone cresciute politicamente assieme. Ricordo che fu Cuffaro, nel 2008, a garantire a Berlusconi che la candidatura di Lombardo fosse vincente. Hanno storie e caratteri diversi, ma entrambi condividono i valori del popolarismo europeo, mi auguro che questa conflittualità, sulla quale magari ci lavorerò anch’io, possa finire».
Qualcuno, nella sua maggioranza, sostiene che lei faccia figli, Cuffaro e Sammartino, e figliastri con tutti gli altri, compresi quelli del suo partito.
«Non ci sono assi privilegiati nella maggioranza. Con Cuffaro ho una storia di amicizia, di frequentazione familiare, ma so tenere distinti i piani: tutti con pari dignità. E Totò non mi ha mai chiesto nulla di più di ciò che gli potesse spettare nell’equilibrio di coalizione».
Sembra imminente il ritorno di Sammartino in giunta. Le è mancato?
«Luca, ottimo assessore all’Agricoltura, da mio vice mi dava una grandissima mano e devo dire che quando c’era lui il fenomeno dei franchi tiratori era ridotto al minimo, per cui riavrà anche la delega ai rapporti con il parlamento. Mi sono impegnato, senza che nessuno me lo chiedesse, a non assegnare la carica di vicepresidente. Lo aspetto, da un giorno all’altro».
Dei mal di pancia ci sono anche dentro Forza Italia. Riuscirà a placarli?
«Non voglio criticare la stampa, ma questa mi sembra più una rappresentazione giornalistica, magari un po’ romanzata, che la descrizione della realtà. Forza Italia non è un recinto, ma un partito in cui c’è dialettica e democrazia interna. E adesso ci accingiamo a una svolta epocale: l’elezione dei coordinatori regionali, una scelta di Tajani che ho condiviso».
Il suo rapporto con Tajani è sempre solido?
«Naturalmente. Siamo cresciuti con Berlusconi e con lui abbiamo raggiunto grandi obiettivi. Continueremo a farlo insieme nel solco dei suoi insegnamenti».
Dopo l’ennesima prova di fedeltà all’Ars, Cateno De Luca è ufficialmente annesso alla maggioranza?
«No, nella maniera più assoluta. Non ha mai partecipato ad alcun vertice di maggioranza, continua a svolgere, con responsabilità e competenza, il suo ruolo all’opposizione».
Con le nomine di sottogoverno ci sarà spazio anche per lui, oltre che per gli alleati delusi. I premi di consolazione scatteranno per tutti a settembre?
«Fatte salve le designazioni su cui si è già raggiunta un'intesa, per il resto credo che prima si dovrà fare chiarezza nei gruppi e tra i gruppi di maggioranza».
Nell’inchiesta di Palermo sono indagati Galvagno e l’assessora Amata. Esiste una questione morale in FdI che condiziona il suo governo?
«Al di là dei risvolti penali, sui quali la magistratura farà il suo corso, non mi permetto di fare valutazioni all’interno di un altro partito, il primo nel Paese».
Se fosse rinviato a giudizio, il presidente dell’Ars dovrebbe dimettersi?
(A questo punto squilla il cellulare di Schifani; sul display si legge “Gaetano Galvagno”. Lui risponde: «Gaetano caro, puoi darmi dieci minuti. Finisco e ti richiamo. Grazie, a fra poco…», ndr).
«Dicevamo?»
I suoi rapporti con Galvagno?
«Ottimi e di grande stima. Se non ci fosse stato anche lui la recente manovra non avrebbe visto la luce».
In caso di rinvio a giudizio, dovrebbe dimettersi?
«Secondo me no, valendo il principio della presunzione di non colpevolezza sino a sentenza definitiva. Poi ogni decisione dipende da valutazioni del partito, oltre che da scelte personali».
Lo stesso vale anche per Amata?
«Assolutamente sì, almeno finché non ci sia una sentenza di primo grado che acclari responsabilità per reati compiuti nell’esercizio delle funzioni di assessore. Io, per cultura, resto sempre garantista».
Dalle intercettazioni emergono trame di chi stava lavorando affinché Galvagno prendesse il suo posto nel 2027. Non s’è sentito tradito?
«Da quello che ho letto sui giornali mi sembra più che altro che ci fossero dei fan che si muovevano. Non ho riscontrato una frase né un atteggiamento in cui trasparisca una condivisione di Galvagno su un patto operativo per la mia successione. Conosco bene la posizione di Gaetano: proseguire l’esperienza da presidente dell’Ars anche nella prossima legislatura. E io glielo auguro di vero cuore».
Avrà notato che le è stata risparmiata la domanda ricorrente in tutte le interviste: quella sulla sua ricandidatura. Anche per l’auto-eliminazione di potenziali alternative, il suo bis possiamo darlo ormai per scontato?
«In politica non c’è nulla di scontato. Eppure ci sono alcuni elementi oggettivi: il mio governo, dati alla mano, sta realizzando un piano di riforme e di crescita di portata decennale. Sono al sesto posto gradimento governatori secondo il Sole- 24Ore e colui il quale ha avuto la migliore performance di aumento di consenso rispetto a tutti gli altri. Io vado avanti a testa alta e con la schiena dritta e ritengo che sia interesse innanzitutto dei siciliani proseguire con questa azione di dinamismo e di crescita. Al momento giusto, partendo da questi presupposti, si deciderà tutti assieme».