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Liberazione, bagno di folla per Salvini in Sicilia e con Di Maio cresce tensione

Di Redazione |

ROMA – Invocano entrambi unione e pacificazione ma, nel giorno in cui si ricorda la Liberazione dai nazifascisti, Luigi Di Maio e Matteo Salvini sono molto più lontani dei 1000 chilometri che separano Roma da Corleone. Il primo sceglie una sinagoga della Capitale, l’altro un nuovo commissariato di polizia nella terra in cui nacquero Riina e Provenzano. E nel loro 25 aprile non smettono di incrociare le spade. Dall’anniversario storico ad Armando Siri indagato per corruzione, fino alla mafia e ai rimpatri dei migranti: tanti i contrasti, sempre più feroci i toni. «Divide chi non vuole festeggiarlo», è la prima stoccata del leader dei 5 Stelle uscendo dal tempio che fu sede della Brigata ebraica, in campo nella seconda guerra mondiale con gli inglesi. Poi Di Maio affonda il colpo, senza citare l’alleato né l’indagato sottosegretario Siri: «Puoi anche andare a Corleone a dire che vuoi liberare il Paese dalla mafia, ma devi evitare che la politica abbia anche solo un’ombra legata a inchieste su corruzione e mafia».

Salvini intanto dice di essere in «modalità zen» e difende la sua scelta: disertare le celebrazioni ufficiali. «E’ giusto ricordare il passato, la lotta per i diritti e la democrazia ma siamo nel 2019, dobbiamo liberare questa terra dalla mafia e da chi sfrutta l’immigrazione clandestina per fare quattrini», chiosa. E chiede sarcastico ai giornalisti: «Pensate che stia facendo un picnic?». Per il ministro della Lega, nelle tappe siciliane toccate oggi (Monreale, Bagheria e Caltanissetta le altre) è bagno di folla. I simpatizzanti che hanno assistito ai suoi interventi sul palco, lo hanno aspettato anche un’ora per fare un selfie con lui. «Oggi è stata ricordata la festa della liberazione di altri siciliani e italiani che hanno dato la vita per liberare il paese dall’occupante straniero e io mi ricordo che i nostri nonni e i nostri bisnonni si sono sacrificati perché non passasse lo straniero. E io faccio e farò esattamente e lo stesso. Perché questa è casa nostra e prima vengono gli italiani». Una decina di persone con addosso una maglia bianca con la scritta “Padania is not Sicily-800a” ha contestato il vice premier al suo arrivo a Monreale. Il ministro ha così risposto: «Ringrazio i dieci simpatici ragazzi che hanno passato il pomeriggio fischiando, buona festa della Liberazione a voi. E vi regaliamo pane, nutella e un libro di Saviano». A Caltanissetta il vicepremier ha trovato un numero più nutrito di contestatori che gli ha urlato contro: “Vergogna, vergogna!”

Da Palazzo Chigi il premier non commenta il 25 aprile “controcorrente” di Salvini ma ne prende le distanze: «Dobbiamo festeggiare, insieme, il nostro patto fondativo», dice in un’intervista a Repubblica. Poi glissa sul ministro dell’Interno (“Non rispondo delle sue scelte”) ma si schiera sull’anniversario: «Per me non è il giorno in cui è prevalsa un’ideologia rispetto a un’altra, una fazione politica rispetto a un’altra», acuendo così la sua distanza dalla Lega e la sempre maggiore vicinanza al M5s. Ma è lungo l’elenco degli scettici rispetto alla trasferta siciliana di Salvini: non solo partigiani ed esponenti dei 5S, ma anche il ministro leghista Giulia Bongiorno (che twitta «La memoria è un dovere”) e il presidente della Camera Roberto Fico. L’anima «ortodossa» del Movimento sceglie di andare a Napoli e da lì, orgoglioso della sua città «che si liberò da sola», scandisce: «Ognuno decide ciò che fa delle sue giornate. Dico solo che la lotta alla mafia si fa ogni giorno. Il 25 aprile si festeggia il 25 aprile». Perciò rifiuta l’idea che sia in corso un «derby» (“derby tra comunisti e fascisti», l’aveva chiamato Salvini). «E’ la festa di tutti coloro che credono nei principi alla base del nostro stato di diritto», dice da Padova il Presidente del Senato Elisabetta Casellati.

Ancora più netta la posizione del presidente della Repubblica che, nella cerimonia a Vittorio Veneto, ammonisce: «È il dovere, morale e civile, della memoria. Memoria degli eventi decisivi della nostra storia recente, da cui non si può prescindere per il futuro». Poi condanna il tragico «credere e obbedire» del regime fascista e conclude: «La storia insegna che quando i popoli barattano la propria libertà in cambio di promesse di ordine e tutela, gli avvenimenti prendono sempre una piega tragica e distruttiva».

Passato il 25 aprile, tra M5s e Lega resta profonda la spaccatura su Siri. Per Di Maio «si deve dimettere e se non lo fa, lo chiederemo anche al presidente del Consiglio», per Salvini il sottosegretario resta dov’è. Di Maio a sera aggiunge carme al fuoco: «La nostra presenza nel governo serve anche ad arginare alcuni atteggiamenti che non considero accettabili», come la legge sulle armi e le autonomie. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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