M5s, Pd, Italia Viva e sinistra: il campo largo in Sicilia per ora è solo “minato”

Di Mario Barresi / 29 Giugno 2020

Se persino un animella candida come Pietro Bartolo viene assalito da un moto di stizzita gelosia – quando, martedì scorso, Leoluca Orlando a Catania ha reso visita alla Comunità di Sant’Egidio – significa che anche nel centrosinistra siciliano la quarantena è davvero finita. «Vorrei capire cosa è venuto a fare il sindaco di Palermo?», ha chiesto in più d’una telefonata l’eurodeputato “indipendente” eletto nel Pd. Ufficialmente Emiliano Abramo, fra i king maker della candidatura del medico di Lampedusa, col presidente di Anci Sicilia ha condiviso “Riflessioni sulle città”. Ma, al di là del tema dell’incontro, i sensori di alcuni attenti osservatori si sono subito attivati. «Orlando non fa nulla per caso. E, soprattutto, ha la capacità di immaginare gli scenari molto prima degli altri». Non sempre la teoria orlandiana corrisponde poi alla realtà (vedasi il flop delle annunciate “liste dei territori” per Fabrizio Micari). Ma se il sindaco di Palermo – non più ricandidabile nelle elezioni in programma proprio fra due anni, sei mesi prima della corsa per Palazzo d’Orléans – «comincia a muoversi oltre le frontiere del “Baby Luna” – ragiona un big siciliano del Pd – allora le Regionali del 2022 sono molto meno distanti di quanto sembra».

E allora, nella politica siciliana con la mascherina sotto l’ombrellone, la prima suggestione è il campo largo. Anthony Barbagallo, che fra tre settimane a Morgantina sarà incoronato segretario regionale del Pd, non si nasconde. E, in ossequio al manuale delle giovani marmotte franceschiniane, estende la larghezza al massimo: «Per costruire un’alternativa alla destra bisogna allargare il perimetro del centrosinistra». L’idea del deputato regionale è «coinvolgere il mondo della sinistra e dei movimenti civici», ma anche «coinvolgere Italia Viva e Cinquestelle», partendo dalle poche cose che li uniscono: «Governiamo assieme a Roma e siamo all’opposizione alla Regione, oltre che in molte città siciliane a partire da Catania». Barbagallo è consapevole che «bisogna lavorarci, smussare molti angoli».

Alquanto spigolosi, come quelli che stanno rendendo di fatto impossibili le convergenze giallorosse alle prossime Amministrative siciliane. L’ex sindaco di Pedara, dopo aver blindato (con più d’una dolorosa rinuncia per il Pd) un maxi-accordo con il renziano Luca Sammartino per i candidati sindaci sotto il Vulcano, al di fuori del Catanese si sente molto più libero di sperimentare. Ieri, ad esempio, quando a Vittoria i suoi gli hanno prospettato la candidatura di Ciccio Aiello, Barbagallo ha invitato il circolo ibleo a «provare ad allargare l’alleanza, coinvolgendo i grillini». Nello Dipasquale, ovviamente, non l’ha presa bene. Ma finora in nessun comune c’è l’accordo Pd-M5S. Uno spiraglio per un candidato civico unitario a Floridia, molto meno a Marsala, Barcellona Pozzo di Gotto e Termini Imerese, qualche nuovo rigurgito ad Agrigento con l’appoggio della Lega a Franco Miccichè, il che spiazza il deputato regionale Michele Catanzaro e spiana la strada alla linea civica di Giovanni Panepinto. «In questo momento – ammette Barbagallo – ci sono difficoltà, ma, dopo il rinvio in autunno, abbiamo il dovere di provarci fino all’ultimo. Forse la prima vera prova di intese potrà arrivare nei ballottaggi contro i candidati del centrodestra».

Con queste premesse, lo scenario delle prossime Regionali oggi sembra complicato. A partire dal nome del candidato governatore che possa mettere d’accordo tutti. O quasi. Ammesso e non concesso che Orlando fosse davvero interessato in persona (per coronare una carriera prestigiosa concorrendo per la carica che fu del suo maestro Piersanti Mattarella), il suo sarebbe un nome capace di attrarre i centristi di Italia Viva che già lo appoggiano a Palermo e persino zone franche forziste, ma la debolezza di respingere quella parte del Pd che lo addita come «carnefice della coalizione nel 2017» e soprattutto di rendere impraticabile l’accordo con il M5S, all’opposizione a Palazzo delle Aquile.

E allora Bartolo? È un nome che piace al Pd, sinistra e movimenti e che potrebbe piacere alla parte più progressista dei 5stelle. Certo, la sindrome da cono d’ombra che attanaglia quasi tutti gli europarlamentari non gioca a suo favore, così come la prospettiva che, da qui a due anni e mezzo, anche il suggestivo effetto di icona anti-Lega per eccellenza, potrebbe ulteriormente annacquarsi. Ma Bartolo – che a Bruxelles descrivono come «un po’ annoiato» oltre che «pronto a spendersi per la sua terra» – parte da quei 115mila voti (sui 135mila della circoscrizione Isole) presi in Sicilia senza alcuna tessera di partito.

Per lo stesso ragionamento, una parte del Pd ricorda le 94mila preferenze siciliane di Caterina Chinnici, «una candidatura ancor più robusta» per chi pensa che la figlia del giudice Rocco, ucciso dalla mafia, sia un’ipotesi che «non spaventa il mondo moderato, anzi». E anche il suo essere schiva – tutta eurodossier e sushi take away in albergo, assente dai salotti dem – potrebbe essere un valore aggiunto nel consenso extra-partito, magari convincendo pure il M5S. Che in Europa ha portato due siciliani a suon di voti: Dino Giarrusso e Ignazio Corrao, oltre 100mila a testa. Nemici per la pelle, i due potrebbero avere un ruolo importante nel 2022, al netto delle regole grilline (già comunque derogate, come nel salto romano di Giancarlo Cancelleri, già due volte candidato e sconfitto alle Regionali), ma dal cilindro pentastellato potrebbe venir fuori nei prossimi anni un sindaco o un esponente della società civile. Da candidato solitario o magari come ipotesi da sottoporre ai potenziali alleati. Qualcuno, nel Pd. annota che «da quando Cancelleri se n’ è andato dall’Ars non sai con chi parlare, anche perché nessuno dei deputati è riconosciuto dagli altri come leader. Se parli con Corrao s’ingelosisce Giarrusso e viceversa. Per le amministrative i riferimenti sono i deputati locali, ma fin quando non chiariranno chi comanda anche a livello nazionale, sarà difficile discutere con loro di Regionali».

Dalla fantapolitica alla realtà, se si votasse oggi la candidatura più robusta e concreta sarebbe quella di Claudio Fava. Barbagallo gli parla sempre più spesso e con cordialità crescente. E l’ha invitato, da ospite gradito quanto Bartolo, «perché sono i più vicini al nostro mondo», al gran finale del congresso regionale di Aidone-Morgantina il 18 e 19 luglio. Laddove non ci saranno né renziani, né grillini. Rinviato un happening trasversale sulla bellezza, previsto a Scicli in pieno lockdown, le prove tecniche di campo largo si faranno a fine anno. E Fava, già riconosciuto da Nello Musumeci come rivale numero uno, avrà altro tempo per consolidare a Palazzo dei Normanni un ruolo che anche parte del M5S gli riconosce. Il giornalista non piace a tutto il Pd (Peppino Lupo e Antonello Cracolici hanno altri gusti) e sarebbe antitetico ai renziani tendenza Sammartino, nonostante l’asse di ferro che, da presidente dell’Antimafia, ha costruito con Nicola D’Agostino. Non a caso fu proprio il capogruppo di Italia Viva all’Ars a fare il nome di Fava (assieme a quelli di Bartolo e Orlando) come «candidato ideale» a governatore.

Barbagallo ammette pure che «nel partito ci potrebbero essere tentazioni isolazioniste, con un candidato di bandiera per il 18-20%», ma il segretario non sembra disposto a rinunciare al tentativo di vincere per mantenere rendite di posizione interne nel partito. Così come, scandisce, «pur cercando l’intesa con Italia Viva, non siamo disposti a inseguirli in tutto», con evidente riferimento agli ammiccamenti con Gianfranco Miccichè. Una parte del Pd ha colto come «preoccupanti» due segnali arrivati negli ultimi tempi dai renziani all’Ars: il voto al ddl sulla sburocratizzazione «sfigurato dai pieni poteri a Musumeci» e la deroga, in consiglio di presidenza, al numero minimo di deputati per la formazione del gruppo della Lega.

Molto sullo sfondo resta l’unico candidato forte che potrebbe essere espresso dal Pd: Peppe Provenzano. Il ministro del Sud, in un’intervista al nostro giornale, ha specificato che la sua agenda è «concentrata non sui prossimi anni, ma sulle prossime ore e i prossimi giorni», dribblando la prospettiva di una discesa in campo. Ma sono in molti, nel partito, a pensare (o meglio: a sperare) di coinvolgerlo «se la proposta non sarà “alla Micari”, ma una candidatura per vincere, magari con una coalizione allargata che potrebbe aprire la strada alle Politiche del 2023». Un’offerta a cui sarebbe difficile dire di no.

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