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«Ma voi siete pazzi…». Il M5s chiude le porte a Musumeci, si riparte da zero

Di Mario Barresi |

Non se ne fa nulla. Comincia un frenetico tourbillon di sms e telefonate: «Bisogna richiamare tutti in aula». Arriva persino il presidente Nello Musumeci, anche in veste di deputato utile a far quadrare i numeri. Una prova di compattezza della coalizione tutt’altro che compatta. Il rendiconto , per la cronaca, verrà approvato. Per appello nominale a causa del malfunzionamento del voto elettronico: su 58 presenti, 39 voti a favore (centrodestra e Pd) e 19 contrari (M5S). Stessa sorte, poco dopo, per il consolidato: l’Ars lo approva, con l’astensione dei dem e il no dei grillini.

Ma, al di là della cronaca d’aula, l’ennesima giornata vissuta sull’altalena a Sala d’Ercole certifica un dato di fatto: i tempi non sono ancora maturi per quel «confronto senza alcuna chiusura da parte nostra» auspicato da Musumeci. Da qui la scelta obbligata, per il governo, di battere in ritirata sulla Finanziaria con l’ormai ineluttabile proroga dell’esercizio provvisorio all’ultima data utile per legge: il 30 aprile. Una vittoria del capogruppo del Pd, Peppino Lupo, che aveva messo nero su bianco la richiesta. «Non ci sono i tempi per approvare la manovra, tra l’altro il testo presenta refusi di inaudita gravità come quello, ammesso dal governo, sull’abolizione delle soprintendenze». L’assessore all’Economia, Gaetano Armao, chiede tempo per consultarsi col presidente. Poi il via libera. «Sembrava una finanziaria semplice e invece capisco che è molto articolata…», abbozza il governatore.

Ma, per la prima volta, Musumeci infrange il tabù di ripetere uno dei suoi mantra elettorali: «Non sono un pupo in mano ai pupari, se mi mettono i bastoni tra le ruote io mi dimetto e loro vanno tutti a casa, chiaro?», andava ripetendo fino alla mattina dello spoglio. E ieri, dopo aver ammainato la bandiera della Finanziaria, torna, seppur molto fra le righe, a rinfrescare il concetto: «Questo deve essere il governo delle riforme, con quattro-cinque priorità. Poi se vogliamo possiamo anche discutere di andare a votare, io non sono attaccato allo sgabello. L’ho sempre detto: sono il presidente della semina e non della raccolta».

Una minaccia sincera. Ma per ora soltanto utopica. Perché il reset della manovra concede un mese di tempo per riaprire i giochi. Con i grillini, ai quali Musumeci nell’intervista a La Sicilia ha lanciato un ulteriore messaggio di pace, riconoscendoli come «forza parlamentare di cui non si può fare a meno». E, ieri, l’altro segnale sul benservito a Vittorio Sgarbi comunicato dall’assessore Toto Cordaro più per rassicurare il M5S che per scongiurare la mozione di censura sull’ormai ex assessore. Aperture. Non ritenute però sufficienti dal gruppo più consistente dell’opposizione. Innanzitutto perché il ddl trasmesso ieri dal governo viene ritenuto «imbarazzante», in quanto «pieno di inesattezze e senza alcuna idea di sviluppo». Finanziaria strozzata nella culla. Anche per altre ragioni di «garbo istituzionale». E qui subentrano anche le tossine post-elettorali. Nemmeno in questa occasione, infatti, Musumeci ha chiamato Cancelleri. «Io non parlo né con Cordaro, né con Arico, ma voglio parlare col presidente – è lo sfogo del leader dei 5stelle con i suoi fedelissimi – e fin quando lui non si abbasserà, allora il discorso è chiuso». Barriere architettonico-caratteriali, ma non solo. Perché in queste fasi delicate, il centrodestra sconta l’assenza di un “ambasciatore” del calibro di quelli che per anni hanno fatto la differenza nella complicata diplomazia dell’Ars. «Purtroppo non abbiamo né un Lino Leanza, né un Cracolici. E neanche un Lumia…», confessa un deputato governativo.

Eppure c’è la speranza di un deus ex machina. Non una persona, ma uno scenario. Romano. Soltanto lo sdoganamento di un asse centrodestra-5stelle, potrebbe velocizzare lo scongelamento dei rapporti fra Musumeci e Cancelleri. «Certo, con Salvini e Di Maio al governo cambierebbero molte cose: danno un assessore alla Lega e poi si siedono con i grillini», è il pronostico che gira fra i dem. Ed è anche la ragione dell’opposizione rigida del Pd: «Non ci facciamo mettere in un angolo. Se i grillini vogliono fare la stampella di Musumeci, facendosi massacrare dai loro attivisti, facciano pure», è il ragionamento di fondo. Con un sottile distinguo di Nicola D’Agostino, leader di Sicilia Futura: «Per il bene della Sicilia il presidente apra un tavolo con tutti i gruppi parlamentari». Mentre il renziano Luca Sammartino, ritenuto dialogante per definizione, è tranchant: «Questa Finanziaria non era votabile, con tutto il rispetto. Noi facciamo l’opposizione, senza ostruzionismo, ma con chiarezza».

Si torna alla casella di partenza. Con una delusione in più (forse la più grossa, finora, per Musumeci), con qualche ricucitura in un centrodestra che per l’assessore Marco Falcone adesso «è una coalizione più compatta e motivata». Ma con una paura di fondo. Quella della solitudine dei numeri primi.

Twitter: @MarioBarresi

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