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Musumeci e il patto con gli assessori: «Dimissioni in bianco, dialogo con i partiti»

 Il governatore dallo sfogo al dietrofront. «Un “governo dei migliori”, ma con l’accordo sulla ricandidatura»

Di Mario Barresi |

Nello Musumeci esordisce con tono pacato: «Dobbiamo analizzare quello che è successo. Ditemi la verità: dove ho sbagliato, io?». Il che, in una giunta che ha annunciato di voler  azzerare, ai già  frastornati assessori suona come il macellaio che blandisce i capretti alla vigilia di Pasqua.

Ma questo è solo l’inizio. Di una seduta surreale, ma tutto sommato «serena». Il governatore riunisce i suoi 12 apostoli, ma sui Giuda ha le idee chiare: «Il complotto è stato ordito da Sammartino, con una regia catanese, trovando sponda nel presidente dell’Ars». Tacciono, sul punto, gli assessori di Lega e FdI. Un paio di forzisti prenderanno invece le difese di Gianfranco Miccichè. «Ti ha salvato due volte: la prima stoppando chi voleva farti bruciarti e la seconda quando non ti ha dato la parola per non farti fare la minchiata delle dimissioni». 

All’ordine del giorno c’è il pasticcio sui grandi elettori. Il format di quella che dovrebbe essere l’ultima seduta di questo governo prevede lo sfogo iniziale del presidente. E così è: il presidente vomita la rabbia per «uno sgarbo istituzionale senza precedenti». Poi si apre la caccia ai traditori: Lega e Forza Italia sott’accusa, ma c’è chi la sa lunga e soggiunge che «i franchi tiratori sono quasi ovunque». Musumeci annuncia: «Di questa vicenda investirò i leader nazionali della coalizione». Citandone, però, soltanto due: Meloni e Berlusconi. Qualcuno, ammettendo che «la partita delle Regionali si chiude su un tavolo romano», gli fa notare che in questo momento i vertici del centrodestra saranno in tutt’altre faccende (quirinalizie) affaccendati. 

Poi si viene al dunque. «Che dobbiamo fare?». Ed è la domanda con cui Musumeci introduce il giro degli speach degli assessori. Apre Ruggero Razza, definito «stizzito» nei gesti ma «sobrio» nelle parole. Un riferimento, di pancia, all’«odio che cova contro di noi», ma poi subito un moto di razionalità: tempi e modi dell’azzeramento della giunta. Ed ecco l’argomento-clou. «Sarebbe stato meglio che ci avessi convocato prima di fare l’annuncio su Facebook», la sommessa annotazione di Antonio Scavone, che si fa interprete anche del cruccio di Roberto Lagalla. Mentre Gaetano Armao pone una questione di fiducia: «Se esco da questo governo e mi chiedi di rientrare, io non lo faccio». Mimmo Turano apre un varco importante: «Nello, hai sbagliato. Con lo sfogo sulle dimissioni e l’annuncio dell’azzeramento ti sei messo nelle mani di chi ti vuole fare la pelle. E l’hai fatto sacrificando noi assessori, che noi ti abbiamo fatto nulla».

Seguono alert sulle complicazioni tecniche e politiche dell’addio: la Regione senza bilancio, gli staff da nominare, i fondi del Pnrr, la gestione del Covid. E qui arriva l’intervento, giudicato «lucido e decisivo», di Marco Falcone. Che traccia «gli unici tre scenari possibili». Un «governo di fine legislatura»: rottura con gli alleati, elezioni anticipate e “MasaNello” contro tutti; un «governo del presidente»: assessori di fiducia, rottura col centrodestra e corsa solitaria; un «forte governo politico dei migliori», che presupponga «un patto per la ricandidatura di Nello con i partiti, che indicherebbero i loro esponenti migliori». Falcone lo dice ammettendo che in questo scenario lui potrebbe non esserci: «Magari ti sarei più d’aiuto all’Ars».

Ed è quest’ultima la strada maestra che Musumeci sceglie di percorrere. Rinviando l’azzeramento della giunta, «che non si risolve in un weekend». E aprendo di fatto una  trattativa con i partiti, in cui i tempi palermitani che coincidono con quelli romani. Un paio di settimane: per l’approvazione dell’esercizio provvisorio, mentre si eleggerà il prossimo inquilino del Colle. «A febbraio faremo la nuova giunta», è il timing ottimistico in un clima di rinnovato entusiasmo.

Ma con un patto d’onore fra il governatore e gli assessori redivivi: «Ti firmiamo le nostre dimissioni in bianco e tu le metti in un cassetto e le tiri fuori quando vuoi». Una “polizza fiduciaria” che rafforza Musumeci nella trattativa con i partiti in cui s’annidano gli «scappati di casa» che l’hanno tradito. Il governatore, soddisfatto, rinvia (a questa mattina) un altro video social «per aggiornare i siciliani» previsto per ieri sera.

Da Palazzo d’Orléans, nel pomeriggio già inoltrato, si muove la scorta presidenziale. Direzione Marsala, per una visita istituzionale in forse fino all’ultimo. Ora diventata il simbolo di una «normalità» ritrovata. Magari ha davvero ragione l’assessora Daniela Baglieri, che alla domanda iniziale del governatore («Dove ho sbagliato?») nel suo intervento risponde con una lezione di marketing applicato alla politica: «Tutto sta nel gap fra la “qualità percepita” e quella “reale”, anche rispetto all’immagine che ognuno ha di sé». I “capretti” esultano: pericolo scampato. Mentre Musumeci va nella città dello Stagnone. Lo stagno, per ora, può attendere.

Twitter: @MarioBarresi

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