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L'intervista

Musumeci tra amarezza e orgoglio: «Chi verrà dopo alla Regione troverà carte in regola»

Il presidente dimissionario della Regione Sicilia traccia un bilancio dei suoi anni a Palazzo d'Orleans e racconta il suo "passo indietro" e la candidatura al Senato

Di Giuseppe Bianca |

Presidente della Regione Nello Musumeci, cosa l’ha spinta a candidarsi al Senato dopo questi anni di governo in Sicilia?

«Dopo Ferragosto, definita la designazione di Schifani, mi chiama al telefono Ignazio La Russa e mi passa Giorgia Meloni: “Nello, ti vogliamo con noi a Roma. Qui al Senato puoi mettere a disposizione la tua esperienza e puoi continuare a servire la tua Isola”. Ho ringraziato del grande onore e della fiducia. È stata una piacevole sorpresa, perché non avevo mai, dico mai chiesto ai vertici di Fratelli d’Italia un posto in lista alle Politiche, né per me né per le persone a me più vicine. La confluenza di Diventerà Bellissima non prevedeva una contropartita, come spesso accade in giro. Ma era il naturale epilogo di una comunità regionale autonomista che, dopo un lungo e appassionato confronto interno, ha scelto una forza politica nazionale e si è riconosciuta nei valori e negli obiettivi di Fratelli d’Italia. Chi pensava al baratto elettorale è rimasto deluso».

C’è rammarico da parte sua per non aver proseguito con il secondo mandato? 

«Amarezza, solo amarezza.  Mi inorgoglisce che chi verrà dopo di me troverà una Regione con le carte in regola, rispetto alle macerie morali e materiali che ho trovato io».

Quali scorie le rimangono dentro, personali e politiche, della sua non ricandidatura?

«Niente scorie, niente risentimenti, per carità. La politica è l’arte del possibile, nel bene e nel male.  E peraltro non ho più l’età per sorprendermi di certe logiche: devi solo decidere se accettarle o respingerle, sapendo di dover pagare un prezzo, nell’uno o nell’altro caso. Mi lasci però dire che considero il mio “passo di lato” l’atto più coraggioso della mia vita politica per avere salvato in Sicilia l’unità del centrodestra. Gli amici mi invitavano a contare fino a cento. Ho contato fino a diecimila, dopo aver fatto per mesi il “sacco da pugni”, senza mai reagire, senza mai replicare ad attacchi volgari».

Cosa si rimprovera nel rapporto con la coalizione, se si rimprovera qualcosa. 

«La coalizione per me è un valore. In Sicilia il centrodestra si è ricomposto solo con me nel 2017, dopo quasi un decennio di laceranti divisioni e ribaltoni. Le statistiche dicono che questo è stato il più stabile governo regionale: mai un giorno di crisi, mai il disimpegno di una forza politica, appena quattro assessori sostituiti. Ecco cos’è una coalizione coesa.  Altro che rimproveri».

Si aspettava venisse fuori Renato Schifani, candidato alla presidenza o immaginava altri nomi? 

«Il toto-nomi non mi ha mai appassionato. Schifani è stato prescelto da Fratelli d’Italia, all’interno di una rosa proposta da Berlusconi, per l'autorevole profilo istituzionale. Gli faccio un sincero in bocca al lupo e sono certo che potrà contare all'Ars su una folta pattuglia di deputati di FdI, persone perbene e non ricattatori seriali. Mi dispiace per gli altri sei nomi gettati nel tritacarne senza alcun riguardo».

L’ha sorpresa la rottura del patto Pd 5stelle? 

«No, era già nell’aria. Nessuna intesa sul Ponte dello Stretto, né sui termovalorizzatori, né sulla questione morale. Li univa solo la paura della vittoria del centrodestra. È finita al grido di “traditori”».

Cambia il tipo di postazione e il baricentro delle scelte. Alla luce della sua esperienza di governo, cosa può fare Roma per la Sicilia? 

«Roma ha un grosso debito da saldare con la Sicilia: le infrastrutture strategiche negate per oltre quarant’anni. In un Mediterraneo che da mare di frontiera è diventato mare di cerniera, la Sicilia potrebbe candidarsi a naturale base logistica dell’Europa se avesse un grande porto attrezzato, ferrovie veloci, un collegamento stabile tra le due sponde, un aeroporto che la affranchi da Fiumicino e Malpensa. La vergogna delle nostre strade provinciali – che non sono di competenza regionale – è la conferma del disinteresse di Roma verso le prioritarie esigenze dell’Isola. Parliamo di opere, sia chiaro, che nulla hanno a che vedere con il Pnrr».

Lo sa che potrebbe sedersi al governo con Gianfranco Micciché? 

«Sono candidato al Senato, non al governo. Il resto mi lascia indifferente».

È vero che lei è un solista delle scelte e che accanto a lei ci sono pochi spazi?

«Nulla di più falso. La prova? Per dieci anni presidente della Provincia di Catania senza un giorno di tensione. Per cinque anni alla guida della Regione senza un giorno di crisi. Migliaia di delibere di giunta, tutte all’unanimità, con undici assessori su dodici di altri partiti. Come si chiama questa se non condivisione? Quanto agli spazi, parliamoci chiaro: il mio è sempre stato un elettorato d’opinione e non di apparato. Alle Europee, con oltre centomila preferenze, non avevo uno straccio di schedario al computer. Quindi, chi ha scelto di fare politica accanto a me la pensa come un maratoneta. Servono gambe e fiato, studiare e lavorare sul territorio, come ho fatto io per una vita. Posso dare solo consigli ed esempi a chi mi sta accanto, ma non so fare il “padrino”. Ho una visione etica della politica e questo talvolta mi fa apparire un marziano».

La riforma mancata dei rifiuti è stata un’occasione sprecata per tutti. Cosa va fatto in questo settore che si trova da anni in difficoltà strutturali di lungo periodo? 

«Sui rifiuti si è fatta una piccola rivoluzione sotto il mio governo: redatto il Piano regionale, completati tre impianti pubblici e finanziati altri cinque; la differenziata è passata dal 19 al 47 per cento. Abbiamo deliberato la realizzazione di due termovalorizzatori: già espletato il primo bando, pronto alla pubblicazione il secondo, quello definitivo. Mi dispiace che il parlamento regionale non abbia voluto la legge di riforma, bocciata col voto segreto! Ma con l’aumento della differenziata e con i termovalorizzatori, la Sicilia entro pochi anni si libererà da una crisi che dura da quarant’anni».

L’anno prossimo si vota a Catania. Si è fatto un’idea del profilo che serve alla città o è troppo presto per pensarci? 

«Salvo Pogliese era il sindaco giusto per Catania. Ha fatto adesso una scelta di grande responsabilità, che merita rispetto. Mettiamoci subito attorno ad un tavolo a ragionare sulle cose da fare per le comunali. Bisogna restituire fiducia e speranza ai catanesi, in una città che è di centrodestra nel cuore e nella mente».   COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA