Notizie Locali


SEZIONI
Catania 14°

LO SCENARIO

Ars, la “nuova maggioranza” ora all’attacco delle commissioni e dell’asse Meloni-Musumeci

La strategia delle forze politiche che hanno bloccato le nomine del governo negli ultimi 180 giorni

Di Mario Barresi |

La sintesi più efficace, come al solito, la tira fuori il buon vecchio “Crac”: «È come una squadra che sta perdendo 3-0 e si fa apposta due autogol per dire: “Abbiamo perso 5-0, ma perché l’abbiamo voluto noi”». Ora, al di là della metafora calcistica di Antonello Cracolici – che da interista appassionato non vede l’ora di tornarsene a casa per “gufare” e assistere alla disfatta della Juve tanto amata da Gianfranco Miccichè, presidente che non presiede ma aleggia – cos’è è successo ieri all’Ars non si può raccontare con i numeri.

Perché, se fosse così, sarebbe poco più di una breve: approvata, quasi all’unanimità, una norma che impedirà a qualsiasi governo regionale di fare nomine in sanità, consorzi ed enti vari negli ultimi 180 giorni del mandato; in prima applicazione il “divieto” per il governo di Nello Musumeci entra in vigore da subito.

«Una legge di buon senso», l’ha definita anche chi non la voleva. Ma per capire il senso politico bisogna incrociare due elementi: le firme sull’emendamento (inizialmente concepito per i manager sanitari, poi esteso erga omnes) e la cronaca d’Aula. La proposta è stata presentata dalle opposizioni (M5S e Pd e Misto); ma anche da gran parte della maggioranza: Lega (Sammartino), Forza Italia tendenza Miccichè (Calderone, più il renziano D’Agostino), Autonomisti (Lentini) e Udc (Lo Curto).

A Sala d’Ercole, però, non è un fulmine a ciel sereno. Dopo una mattinata in cui dal Pizzo Magico sono partite raffiche di telefonate (per riportare all’ovile le pecorelle smarrite e per ingolosire i golosi della minoranza con ricchi premi e cotillons), i fedelissimi del governatore si trovano davanti alla certezza della sconfitta. Da qui la scelta di esprimersi infine a favore, dopo aver provato affannosamente a rimandare il voto per ragioni di «inammissibilità» e di «incostituzionalità». Gli interventi, in questo senso, arrivano da DiventeràBellissima, Attiva Sicilia e Fratelli d'Italia. Poi la resa, di fronte all’evidenza. «Significa che sulle nomine sin qui fatte, il governo Musumeci ha lavorato bene», l’espediente retorico finale di Aricò.

La hybris che emerge nel centrodestra è la stessa del marito che si fa castrare per fare dispetto alla moglie. I campioni del sottogoverno, infatti, rinunciano a qualsiasi strapuntino pur di dare l’ennesima spallata a Musumeci. Un castigo vendicatore, a pensarci bene: gli «scappati di casa», con i quali il governatore nel celebre sfogo social si vantò non avere rapporti «per igiene», ieri pomeriggio hanno “igienizzato” le nomine del suo governo. Musumeci non è in aula. Al momento del voto è a Marinella di Selinunte, in pieno tour istituzional-elettorale, a promettere ai pescatori «un nuovo porto». Non c’è nemmeno il fido Razza, da ieri più vicino al processo per i falsi dati Covid. Fra i banchi del governo, oltre a un imbarazzato Turano, soltanto il battagliero Cordaro. Sin troppo, visto che il vicepresidente vicario dell’Ars, Di Mauro, sbotta: «Lei, assessore, si è rivolto a me in modo minaccioso, non si doveva permettere di rivolgersi al segretario generale dicendogli: “Poi terremo conto del suo comportamento”, questo non è ammissibile». Tentativo di replica. Seduta chiusa.

C'è una nuova mappa, all’Ars. «Oggi abbiamo sancito la fine di questa stagione del centrodestra in Sicilia», esulta il dem Barbagallo. Forte di un dato politico inequivocabile: nel fortino, con Musumeci, restano solo i “bellissimi patrioti” e l’altra metà del cielo azzurro di Forza Italia. Tutto il resto, ieri, era fuori. Dall’altra parte.

E si materializza quella «nuova maggioranza» pronosticata alla vigilia dai più raffinati fattucchieri. La stessa che ora vuole ridisegnare le presidenze delle commissioni dell’Ars, ieri azzerate dal mefistotelico Miccichè. E poi? Con l’asse Meloni-Musumeci sempre più isolato, si vedrà. Del vertice fra la leader di FdI e Salvini per ora non se ne parla più, la clessidra del voto scorre inesorabile: la rottura è vicina, i “modelli” magari verranno dopo. «Ma d’ora in poi nulla sarà più come prima», gongola in serata il leghista Sammartino, regista dell’ultimo film horror della (ex?) maggioranza alla Regione.

Twitter: @MarioBarresi

COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA